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Home ›Lotte e condizione operaia nel mondo
Turchia
Duecento lavoratori occupati nello stabilimento Pirelli Lastikler di Ismit, presso Istanbul, sono stati licenziati in tronco dopo aver deciso di iscriversi ad un sindacato per cercare di far rispettare almeno i propri diritti elementari. Ma l'impresa che li aveva ingaggiati, la Ekolas, una sorta di agenzia di lavoro interinale, non ci ha pensato neanche un attimo prima di licenziarli tutti, senza neppure preoccuparsi di informarli. I lavoratori, che svolgevano le mansioni più svariate, dalle pulizie alla produzione, dal lavoro di magazzino a quello di import-export, hanno appreso del licenziamento solo dai loro colleghi dipendenti Pirelli, quando la mattina hanno trovato i cancelli per loro chiusi. Sono stati quindi invitati a restituire i tesserini d'ingresso e lasciare le tute (uguali per dipendenti e interinali, anche se questi ultimi devono accontentarsi di 150 euro al mese). Dopo aver cercato inutilmente di parlare con i dirigenti dell'azienda, alla fine hanno deciso di organizzare un picchetto di protesta davanti ai cancelli, ricevendo come risposta getti di acqua di scarico della fabbrica, usati nel tentativo di disperderli. Ma i lavoratori hanno resistito, accampandosi lì, sostenuti anche dalla solidarietà del quartiere e dalle donne delle "case del popolo" (donne dei quartieri proletari, maggiormente colpiti dal terremoto del 1999, che da allora si sono organizzate per portare cibo e acqua agli sfollati). In seguito hanno portato la protesta anche davanti al consolato italiano di Istanbul, dove hanno però trovato ad aspettarli solo un imponente spiegamento di circa 1400 poliziotti. Il caso della Ekolas comunque non è affatto isolato, ma rappresenta piuttosto la prassi in Turchia, dove chiunque può costituire una società per fornire lavoro in affitto a terzi; se qualcosa poi va male o semplicemente la commessa scade, allora la società chiude i battenti dalla sera alla mattina, lasciando i lavoratori per strada, senza lavoro e senza alcun diritto o sussidio.
Corea
Va avanti da più di due mesi lo sciopero dei dipendenti coreani della Nestlè, che protestano per il rinnovo del contratto e gli aumenti salariali necessari a coprire l'aumento del costo della vita. Lo sciopero, oltre alla chiusura degli uffici della Nestlè a Seoul, ha portato al completo blocco della produzione nello stabilimento di Cheongju, nella provincia settentrionale dello Chungchong, dove vengono prodotti caffè solubile, alimenti per neonati e per animali. La Nestlè, dopo aver ventilato l'ipotesi di una chiusura imminente della fabbrica e dello spostamento della produzione altrove, ha in seguito dovuto smentire la notizia (il comportamento evedentemente andisindacale aveva suscitato una grossa eco), senza però mancare di sottolineare sibillinamente che comunque "le rivendicazioni dei lavoratori non fanno che diminuire la competitività dell'azienda".
Brasile
La Volkswagen, dopo aver annunciato un piano che prevede una riduzione della forza lavoro impiegata in Brasile, che comporterebbe circa 4mila licenziamenti, e il contemporaneo aumento degli investimenti in Messico e Cina, ha lanciato a tutti i propri dipendenti del paese sudamericano, che ovviamente rifiutano il piano e si preparano alla lotta, una aperta e chiarissima minaccia: "Chiunque si metterà in sciopero sarà licenziato". Di fronte a tali episodi, dove troveranno la faccia tosta i tanti lacchè del sistema, di destra o di sinistra che siano, per poter dichiarare ancora: "L'interesse dell'azienda coincide con quelli dei lavoratori", "Dobbiamo fare tutti dei sacrifici"? La verità è che in una fase di profonda crisi economica come quella attuale, le uniche aziende che possono sopravvivere sono quelle che più delle altre riescono a spremere i lavoratori, e che più rapidamente delle altre riescono a disfarsene quando questi non risultano più abbastanza produttivi, in semplici termini di profitto.
Stati Uniti
L'economia americana nell'ultimo trimestre ha registrato una crescita cha su base annuale equivale ad un amento del PIL del 3,1%. Accanto a questi dati però ci sono anche indicazioni di segno opposto: il numero di disoccupati continua a salire senza che si intraveda alcun segnale di una inversione di tendenza. Ogni settimana circa 400mila lavoratori, a seguito dei nuovi licenziamenti, vanno ad ingrossare le file di coloro che sopravvivono solo grazie ai sussidi di disoccupazione. Inoltre la crescita degli investimenti, pari all'8% contro un calo del 4,4% del periodo precedente, risulta trainata da una impressionante impennata della spesa pubblica, aumentata nel complesso del 25,2%. Il dato più preoccupante è quello relativo alla spesa bellica, che ha segnato addirittura un aumento del 45,9%, evidenziando come il capitalismo conosca un'unica via per allontanare la crisi di profitti registrata dalle sue imprese: la guerra.
Polonia
Ancora tagli occupazionali per i minatori, questa volta tocca alla Polonia. Il governo ha infatti annunciato l'intenzione di licenziare circa 28mila occupati entro il 2006. La decisione è legata alla prospettiva di adesione della Polonia all'Unione Europea, prevista nel 2004. Infatti il risanamento del settore minerario, in particolare l'industria del carbone, è una delle condizioni necessarie perchè la candidatura venga valutata positivamente. Il programma di ristrutturazione, che prevede la chiusura di almeno 4 miniere nel sud del paese, comporterà circa 14mila prepensionamenti. Gli altri dovranno sostanzialmente arrangiarsi: per loro non è previsto nient'altro che un sostegno per la riqualificazione professionale ossia, secondo quanto avvenuto in casi analoghi, qualche corso di addestramento che apra la porta a lavori precari, dequalificati e malpagati.
Repubblica Ceca
Più di 20mila persone hanno manifestato a Praga contro il piano di tagli alla spesa che il governo sta approntando, che danneggerebbe soprattutto i dipendenti pubblici. Oltre all'aumento dell'età pensionabile da 62 a 63 anni, sono infatti previste drastiche e generalizzate riduzioni delle detrazioni fiscali, che ovviamente andrebbero a colpire maggiormente i redditi più bassi. Alla manifestazione potrebbe seguire uno sciopero generale, anche se per ora il sindacato sembra riuscire a mantenere sotto controllo il malcontento dei lavoratori, preparandosi ad incanalarlo sullo sterile terreno delle sfilate in piazza e degli scioperi isolati e annunciati con largo anticipo.
Israele
Si annuncia una nuova ondata di scioperi nel settore pubblico, estesa ad uffici governativi, enti locali, trasporti e ospedali, contro i tagli alla spesa previsti dal governo. Il ministro delle finanze Netanyahu ha annunciato, oltre ad una diminuzione della spesa per assistenza, pensioni e sanità pari al 5%, anche l'intenzione di non rinnovare i contratti a tempo determinato per oltre 2mila dipendenti statali. Nel frattempo la disoccupazione nel paese continua a crescere all'impressionante ritmo dell'1,2% al mese, portando a 107mila il numero di sussidi di disoccupazione erogati quest'anno, contro i 40mila del 2000.
Kenya
Si preparano ormai allo sciopero generale ad oltranza i 17mila dipendenti del comune di Nairobi, dopo più di un anno trascorso nella vana attesa di ricevere i loro stipendi arretrati, segnato da un estenuante serie di trattative con gli amministratori e da altrettante promesse disattese. Il comune ha mancato di versare gli stipendi a gran parte degli impiegati dal gennaio all'agosto del 2002, per un ammanco complessivo nelle tasche dei lavoratori pari a più di 6 milioni di euro.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #10
Ottobre 2003
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