Chi sceglie la denuncia, chi la mala fede - A proposito di due recenti film sul caso Moro

Qualche mese fa, un po' in sordina, è uscito nelle sale cinematografiche "Piazza delle Cinque Lune", un film di Renzo Martinelli (il regista di "Porzus" e "Vajont") sul caso Moro.

Evitando qui giudizi estetici di sorta, ci preme invece rilevare che questo film ha il merito di denunciare apertamente (con tanto di nomi e cognomi) l'evidentissimo coinvolgimento dei servizi segreti italiani e, con ogni probabilità, anche di quelli americani, nel sequestro da parte delle Brigate Rosse dell'allora presidente della DC Aldo Moro. In alcuni passaggi la storia del film diventa niente più che un'occasione per svelare come le BR di Moretti fossero palesemente manovrate da forze dello Stato che, riuscendo a rimanere sempre nell'ombra, hanno diretto il brigatismo degli "omicidi eccellenti" per servire le loro oscure trame.

Vi era insomma una convergenza di interessi fra la miopia e la stupidità dei brigatisti che pensavano di fare la rivoluzione sparando ai simboli del potere borghese, e la determinazione di quegli apparati dello Stato che volevano evitare, attraverso l'eliminazione di Moro, l'ingresso del PCI al governo del paese. Non certo perché il PCI avrebbe voluto e potuto fare il comunismo, ma era ancora un partito saldamente legato all'Unione Sovietica, ossia al blocco imperialista contrapposto a quello occidentale, per cui, trovandosi l'Italia sotto stretta egemonia USA, un avvenimento del genere avrebbe procurato un grave squilibrio nella politica delle sfere di influenza pattuita a Jalta nel febbraio del 1945 (senza contare che il PCI, come forza di governo, avrebbe anche potuto accedere ai piani segreti della Nato).

Più di recente, sul caso Moro è uscito un altro film. Questo, però, è stato molto più pubblicizzato del primo e ha avuto anche puntati addosso i riflettori dell'ultimo Festival di Venezia. Si tratta di "Buongiorno, notte" di Marco Bellocchio.

Già l'impostazione generale del film lascia molto a desiderare, nel senso che cerca di affrontare non solo le implicazioni morali, ma anche quelle più strettamente politiche del sequestro Moro, dall'intimo punto di vista di uno dei sequestratori, senza avere tra l'altro alcuna velleità di ricostruzione oggettiva dei fatti. Ebbene, se il film di Martinelli risulta essere un veicolo per denunciare le oscure manovre di Stato che si nascondevano dietro il sequestro, quello di Bellocchio sembra invece un pretesto per screditare, beffare, ridicolizzare chiunque faccia uso delle categorie marxiste nell'analisi e nella critica della società. Ogni volta che nel film i brigatisti utilizzano termini come "proletariato", "borghesia", "lotta di classe", "rivoluzione", lo fanno in un contesto di delirio assoluto, di fanatica idiozia che spinge a uccidere e a bandire ogni pietà pur di servire i dettami di una specie di... religione comunista.

Nel film di Bellocchio, insomma, fanatismo e terrorismo sono perfetti sinonimi di marxismo e di lotta rivoluzionaria, mentre Moro è trasformato in un vero e proprio santo, un uomo saggio, buono e comprensivo, divenuto martire della follia comunista. Anche il papa fa una splendida figura, e c'è giusto qua e là un accenno alla freddezza dimostrata dai compagni di partito del sequestrato, senza comunque che si spenda mezza parola sul perché di tale comportamento.

Che dire. Bisogna solo constatare con amarezza che al veleno ideologico sparso quotidianamente dall'informazione di regime e dalla TV spazzatura, si aggiunge ora anche quello di un ex-stalinista che, volendo espiare il proprio passato militante, ha deciso di flagellarci con il suo anticomunismo cinematografico.

Ippolito

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.