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Home ›Nel paradiso capitalista viene prima il profitto e poi la salute
L'industria dei farmaci ingrassa e il malato muore
Seconda e ultima parte - La prima parte è stata pubblicata in Bc n.5/2004
Lo studio epidemiologico sulla tubercolosi del demografo inglese Mc Keown, a cui abbiamo fatto riferimento nella prima parte di questo articolo apparsa su BC 5/2004, peraltro noto già da molto tempo (è stato pubblicato a Oxford nel 1991), mostra con tutta evidenza che il sistema migliore per garantire una buona salute è quello che consente la combinazione degli interventi mirati alla prevenzione delle malattie e al miglioramento delle condizioni igienico-ambientali, e più in generale di quelle socio-economiche, all'adozione di farmaci sempre più efficaci insieme al miglioramento e affinamento delle tecniche e dei presidi diagnostici. È del tutto evidente, cioè, che anche il migliore antibiotico nulla può contro la mancanza di un sistema fognario che impedisca l'inquinamento delle acque bianche per cui, per esempio, non è il cancro, ma la diarrea la prima causa di morte dei bambini di gran parte dell'America del Sud. Lo stesso cancro, peraltro, che insieme alle malattie cardiovascolari, è una delle più frequenti cause di morte nei paesi industrializzati, è innanzitutto il prodotto dell'inquinamento ambientale che va da quello atmosferico a quello elettromagnetico per non parlare delle sofisticazioni alimentari; eppure la stragrande maggioranza degli investimenti è indirizzata verso la ricerca farmacologia mentre per il risanamento ambientale non si fa assolutamente nulla e quel che è peggio è che si continua a indebolire il sistema sanitario pubblico che è l'unico che potrebbe, almeno in via teorica, provvedervi in quanto, trattandosi di interventi necessariamente sistemici è impensabile che possano essere determinati per motu proprio dal mercato per cui, alla fine, nonostante i nuovi farmaci disponibili queste patologie sono in costante crescita e con essa la spesa che complessivamente viene sostenuta per curarle o limitarne i danni. Il fatto è che nella società capitalistica a orientare le forze produttive, ma più in generale tutte le risorse della società, ivi compresa la ricerca scientifica e le sue applicazioni tecnologiche, è solo la logica del profitto.
Il mercato dei farmaci -- scrivono ancora P. Vineis e N. Dirindin nel libro che abbiamo già citato -- è uno degli esempi più clamorosi di come gli interessi privati possano interferire grossolanamente con la disponibilità di tecnologie sanitarie e con la spesa pubblica. Dieci industrie multinazionali del farmaco, nel 2000, avevano introiti superiori a 9,8 miliardi di dollari; i profitti delle 11 case farmaceutiche indicate in Fortune 500 (le 500 industrie più ricche del mondo) erano nello stesso anno pari al 19% degli introiti, mentre la media per le altre imprese era del 5%. Dal 1982 le industrie farmaceutiche hanno sempre occupato il primo posto nella classifica di Fortune 500. Per garantirsi ritorni così elevati le industrie farmaceutiche sembrano preferire la pubblicità agli investimenti in ricerca e sviluppo: nel 2000 le 11 imprese di Fortune spendevano il 30% dei loro introiti in marketing e spese amministrative e solo il 12 per cento in ricerca e sviluppo. La stessa ricerca sembra volta spesso a trovare farmaci più redditizi sul mercato (varianti di molecole già conosciute) piuttosto che farmaci realmente efficaci. La spesa in pubblicità ha un ritorno considerevole e immediato, almeno sul mercato americano dove si calcola che ogni dollaro speso in pubblicità diretta all'utente... consente un ritorno di 5-6 dollari; nel 1998 la Shering-Plough ha speso in pubblicità per il solo Claritin più di quanto ha speso la Coca Cola.
Op. cit. pag.19
Insomma, la famosa mano del mercato sarà anche invisibile ma non è cieca, per cui i soldi o meglio i milioni - come diceva E. De Filippo - vanno dove ci sono gli altri milioni infischiandosi altamente della salute della collettività; anzi, proprio perché questo è il suo scopo essa favorisce l'emergere costante di sempre nuovi fattori patogeni. Molte forme di cancro, come quello della mammella o del polmone, le leucemie per non dire dell'Aids sono malattie che oltre ad alcuni fattori genetici, che pur esistono, possono, nella stragrande maggioranza dei casi, essere considerate malattie proprie di questa fase del capitalismo. Basti pensare solo ai danni che l'inquinamento dovuto al traffico automobilistico arreca al sistema respiratorio o a quelli che arreca all'apparato digerente l'assunzione, mediante l'alimentazione, delle sostanze tossiche usate nell'agricoltura, per rendersi conto di come lo stile di vita (nella sua accezione più ampia) determinato dai rapporti di produzione vigenti incida sulla salute degli individui. Il mix fra stili di vita semplicemente disumani e i condizionamenti che questi stessi rapporti di produzione - come abbiamo già visto - determinano sull'orientamento della ricerca scientifica e in ultima istanza della stessa medicina, fanno sì che per molti aspetti la malattia nel sistema capitalistico non sia un nemico da combattere ma un fenomeno da alimentare. Per esempio, ci informano ancora P. Vineis e N. Dirindin:
È stato stimato che 100.000 persone muoiono ogni anno nei soli Stati Uniti a cause di reazioni avverse ai farmaci.
Op. cit. pag.19
E questo perché dopo la commercializzazione di un farmaco, le industrie che lo producono non hanno alcun interesse a studiare adeguatamente i suoi effetti collaterali né le sue conseguenze.
Su 122 nuovi farmaci -- scrivono ancora i nostri autori -- approvati dall'ente federale di controllo americano (FDA) tra il 1990 e il 1994, nel 1999 solo 11 erano stati oggetto di indagini post-marketing sugli effetti collaterali.
Op. cit. pag 19-20
Per non dire poi che anche i pochi studi che vengono effettuati sono finanziati dalle stesse case farmaceutiche per cui sono quasi sempre poco attendibili quando non del tutto fuorvianti. Nel 1998 l'American Medical Association ha pubblicato uno studio in cui venivano analizzati i risultati a cui i ricercatori pervenivano a proposito della relazione fra fumo passivo e cancro del polmone a seconda che fossero o meno sponsorizzati dall'industria farmaceutica; ebbene è risultato che ben il 94% di quelli sponsorizzati affermava che il fumo passivo non è cancerogeno mentre a tale conclusione giungeva solo il 13 per cento dei ricercatori non sponsorizzati (vedi op. cit. pag.21).
Insomma, profitti e salute e contenimento della spesa non vanno d'accordo: questa è la verità nuda, cruda e ampiamente dimostrata.
Chi, con la scusa che per contenere la spesa sanitaria, esalta l'efficienza del mercato e propone l'ulteriore privatizzazione dell'assistenza sanitaria, in realtà pensa soltanto a un modo per scaricarla sulle tasche dei lavoratori costringendoli a contrarre costosissime polizze assicurative e nel contempo a favorire i profitti delle grandi imprese farmaceutiche e delle case di cura private a discapito, però, della salute dei più poveri e in generale della collettività. Infatti, venendo ineluttabilmente meno gli interventi sistemici sull'insieme delle condizioni socio-economiche e igienico-ambientali, le malattie non potranno che prosperare anche quelle che si ritenevano sconfitte da tempo come la tubercolosi della quale l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ne ha già rilevato anche negli Usa una significativa ripresa.
gpBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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