Iraq: restare o non restare, questo è il dilemma - Intanto il triciclo conta i voti

Tra i tanti effetti della criminosa guerra in Iraq ce n'è certamente uno che ha a che fare con l'atteggiamento delle forze politiche del cosiddetto centrosinistra italiano. Non che si siano mai eccessivamente distinte per coerenza e decisione nel portare avanti i loro programmi ma quello che sta avvenendo per quanto riguarda la vicenda irakena ha dell'assurdo e insieme dello scandaloso soprattutto nel cosiddetto Triciclo, raggruppamento eterogeneo che si distingue più che altro per le rivalità tra Fassino e Rutelli o la voglia di primeggiare di Amato e D'Alema. A prima vista può sembrare una politica fatta di esitazioni, volteggiamenti e prese di posizione tra loro contrastanti. E non potrebbe neppure essere diversamente considerate le varie anime che convivono in questa sorta di contenitore, ognuna delle quali ha referenti che prediligono il basso profilo, chi il capo dello Stato, chi il presidente della commissione europea Prodi, chi il Vaticano, ognuno dei quali a vario titolo assertore di un più ampio coinvolgimento dell'ONU senza per questo dover ritirare il contingente italiano. Questa presa di posizione si è fin qui basata su di una formula che simboleggiava il massimo dell'ipocrisia e del cinismo: "noi non volevamo la guerra, però visto che ormai siamo qui... ". Era come voler prendere le distanze da una guerra criminale e ripugnante che offriva quotidianamente una galleria ininterrotta di orrori ed al contempo difendere e quindi riconoscere la funzione di peace-keaping del contingente italiano che alla bisogna ha provveduto a intervenire attivamente nelle operazioni belliche spargendo la sua parte di sangue. Questa logica perversa ha avuto modo, a suo tempo, di trovare concreta espressione quando il parlamento ha dovuto votare sul rifinanziamento delle missioni militari in Afghanistan, Kosovo ed in Iraq. Quale migliore occasione sarebbe stata per marcare la distanza dalle posizioni arroganti e servili del governo Berlusconi, per dare un segnale forte e coerente coi vari pronunciamenti, tanto più che l'Italia stava conducendo una guerra che il parlamento non aveva deliberato e che non avrebbe mai potuto deliberare in base a quanto disposto dall'art.11 della Costituzione. Il cosiddetto Triciclo, invece, si è guardato bene dal votare contro limitandosi ad una astensione connotata di tanta vigliaccheria. È pervasiva in tutto ciò una parossistica volontà a ingraziarsi il mitico "centro", questa galassia residuale e moderata che ha tuttora, ciòè vero, una sua significativa presenza nel panorama politico italiano. Sarebbe pertanto sicuramente andato avanti su questa falsariga se non fossero intervenuti degli elementi che hanno stravolto il senso della prospettiva. È un dato di fatto che i DS, la Margherita e gli ex craxiani di Boselli si facciano carico delle istanze di certo capitalismo italiano per il quale restare in Iraq e dare una mano, nei fatti, con un proprio contingente all'occupazione militare anglo-americana era visto come un'occasione per realizzare profitti sia in termini di proventi petroliferi, basti pensare alla concessione rilasciata all'Eni già dalle parti di Nassiriya, sia in termini di appalti concessi ad imprese italiane nel grande affare della ricostruzione. Tuttavia a far crollare tutte queste congetture ha provveduto Bush con la risoluzione presentata al consiglio di sicurezza dell'ONU e con la quale, non concedendo neanche le briciole a chicchessia e ribadendo la ferma intenzione di mantenere per il futuro il contingente militare USA e di volersi tenere ben stretto il rubinetto del petrolio, intende ottenere una copertura formale che dia legittimità a questo efferato crimine denominato "guerra di liberazione dell'Iraq". Di fronte a questi più che espliciti intendimenti venivano automaticamente meno i presupposti, quelli veri, che motivavano la presenza militare italiana per cui è stato consequenziale per il Triciclo, in un soprassalto ipocritamente moralistico legato ufficialmente alle tristi vicende del carcere di Abu Ghraib, optare per la scelta ultimativa del disimpegno non senza qualche residuo mal di pancia da parte soprattutto di Giuliano Amato che rimane tuttora nettamente contrario al ritiro delle truppe. La decisione, giova rimarcarlo, è stata presa con un tempismo più che sospetto sol che si consideri che di qui a poco ci sarà la tornata elettorale, assai importante per i futuri assetti politici italiani in chiave interna ma soprattutto europea, e mai come in questo momento la parola "ritiro" riesce ad infiammare la gente. Da tenere in debito conto che una tale priorità non è appannaggio esclusivo del cosiddetto popolo di sinistra ma comincia a farsi strada anche nell'elettorato del centro destra, il che la dice lunga sulla preoccupazione e sull'insicurezza che pervade questo particolare frangente storico. È evidente come in questo balletto sconcio l'unica verità che si fa strada è che la guerra in Iraq rappresenta solo una fase della lotta che contrappone le varie fazioni del capitalismo italiano e che le terapie liberiste, messe in atto in maniera radicale o pervase da un certo moderatismo riformista, hanno pesanti ricadute, tra le altre cose, soprattutto sulle condizioni di vita dei lavoratori.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.