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Dramma e funzioni dei lavoratori stranieri nella piana del Sele
L'Osservatorio sui conflitti etnici del l'università di Salerno ha recentemente svolto una interessante analisi del lavoro, sfociata in un volume a cura di Vittorio Cotesta, "Nuovi conflitti metropolitani" nel quale, fra altre cose interessanti, si legge: "La Campania subisce un doppio sfruttamento e un doppio dominio: quello della malavita emergente tra gli immigrati e quello della camorra locale. Lo spaccio di droga, con lo sfruttamento della prostituzione, è il circuito più redditizio e organizzato. Mentre le forze criminali mirano ad avere l'egemonia di aree sempre più vaste, la popolazione, come assopita, ignora o assiste indifferente. In Campania l'immigrato si accetta perché utile all'economia del posto, del quartiere, del solo clan. Il dominio delle forze malavitose nell'economia include la capacità di gestire i problemi posti dalla presenza di un così alto numero di immigrati"
Nella Piana del Sele, dove si registrano circa 2000 presenze, le attività lavorative sono prevalentemente svolte in nero con una retribuzione giornaliera che è anche al di sotto della paga sindacale. Qui uno stipendio mensile equivale in genere a 600 mila lire.
Secondo il rapporto, sul solo territorio di Eboli, il 67% delle presenze è di origine nordafricana, il 18,3% proviene dall'Europa orientale, il 7,1% dall'Asia, il 5% da Senegal e Somalia, il 2,7% dall'America latina. Senegalesi e tunisini sono occupati in parte nell'edilizia ma il grosso dell'immigrazione marocchina, senegalese e algerina che giunge in quest'area è impiegata invece in agricoltura.
Rumeni ed ucraini, principalmente donne, lavorano nell'assistenza domiciliare agli anziani o come colf. In Campania, dove pesa ancora l'incubo del caporalato, l'immigrato, sia esso regolare o clandestino, non si ferma. Le terre del sud sono solo un luogo di passaggio, al seguito dei flussi di raccolta dei prodotti agricoli. Mete successive sono le vicine Calabria e Puglia, per la raccolta di uva e arance. Vera e propria caratteristica della regione è la predominanza di lavoro disponibile di tipo stagionale e non stabile. Il trasferimento nelle aree del centro nord, alla ricerca di condizioni lavorative più stabili, diventa così un passaggio obbligato. Lo sfruttamento della manodopera, qui, è ancora il compromesso fondante nel rapporto tra i padroni di terre, fabbriche e case da una parte, e i lavoratori immigrati dall'altra. Necessari, proprio perché clandestini e proprio perché senza diritti, all'aumento dei profitti grazie alla riduzione del costo lavoro. Ma il rapporto parla anche di un'offerta di lavoro che nella Piana del Sele punta, seppur in misura minore, su alcuni settori del terziario non qualificato, come i servizi alle persone, la ristorazione, il turismo e l' ambulantato. Dall'analisi svolta dall'Osservatorio sui conflitti etnici dell'Università di Salerno e sfociata nel testo Nuovi conflitti metropolitani (a cura di Vittorio Cotesta), emerge una forte "cooperazione tra camorra e immigrati malavitosi". Il reclutamento per molti avviene giornalmente in punti prestabiliti. Spesso gruppi nazionali diversi hanno creato propri clan criminali sul territorio che gestiscono lo sfruttamento della manodopera immigrata. "La Campania - si legge nell'analisi - subisce un doppio sfruttamento e un doppio dominio: quello della malavita emergente tra gli immigrati e quello della camorra locale.
Lo spaccio di droga, con lo sfruttamento della prostituzione, è il circuito più redditizio e organizzato. Mentre le forze criminali mirano ad avere l'egemonia di aree sempre più vaste, la popolazione, come assopita, ignora o assiste indifferente. In Campania l'immigrato si accetta perché utile all'economia del posto, del quartiere, del solo clan. Il dominio delle forze malavitose nell'economia include la capacità di gestire i problemi posti dalla presenza di un così alto numero di immigrati".
Nissan chiude, si prevede un picco di suicidi
Nissan, azienda giapponese di costruzione auto, è in serissima crisi. Con un nuovo general manager franco-brasiliano tenta il risanamento riducendo la produzione da 2,4 milioni di auto a 1,6 e chiudendo tre stabilimenti in Giappone e liberandosi di 21 mila lavoratori. Il primo degli stabilimenti ha chiuso il 30 marzo a Murayama "liberando" 2400 dipendenti.
L'ipocrisia dei capitalisti giapponesi è tale che nessuno figurerà licenziato: saranno trasferiti (a 200 km minimo di distanza), mobilizzati ad altre imprese o incentivati a restarsene a casa. Ma è comunque licenziamento ed è un trauma drammatico per chi era abituato a pensare all'azienda famiglia e all'impiego a vita. Non è certo la Nissan a segnare la fine di quel sistema, che è del 1998. D a allora, i suicidi "economici" di chi si trova impossibilitato a far fronte agli impegni familiari sono aumentati del 250 per cento. L'anno scorso si sono suicidate più di 38 mila persone, una media di più di 104-105 al giorno. Finché i proletari, di fronte agli attacchi del capitale al lavoro, si suicidano - fisicamente come in Giappone o politicamente come altrove - il capitale potrà sopravvivere imbar-barendo l'intera società.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #4
Aprile 2001
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