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Home ›Il Giappone in crisi - Il paese del Sol Levante rischia di affondare in un mare di debiti
A oltre dieci anni dallo scoppio della bolla finanziaria la crisi dell'economia giapponese non è stata ancora superata; anzi, proprio in questi ultimi mesi arrivano dall'estremo oriente gli echi dell'aggravarsi del quadro economico-finanziario. Nonostante la gravità della crisi economica l'ottimismo di facciata ha regnato sovrano nell'incontro tenutosi a Washington tra il dimissionario primo ministro giapponese Yoshiro Mori e il neo presidente americano Bush. Durante la sua visita negli Stati Uniti, il premier nipponico ha rassicurato l'amministrazione americana che il suo governo s'impegnerà a fondo su tre fronti: ripulire il sistema bancario dalle incrostazioni burocratiche che di fatto limitano la concorrenza finanziaria; deregolamentare l'industria attraverso la privatizzazione di importanti segmenti di quella pubblica; massima apertura del paese agli investitori stranieri, in particolar modo a quelli statunitensi. Durante lo stesso vertice il presidente Bush ha assicurato una riduzione delle tasse per permettere agli Stati Uniti di rilanciare la propria economia ed evitare che il paese scivoli nella recessione.
Secondo la propaganda borghese basta seguire queste ricette per far uscire gli Stati Uniti ed il Giappone da una crisi che le cui dimensioni rischiano di essere ben più vaste di quanto si poteva immaginare solo qualche mese addietro.
Giusto per smentire le ottimistiche previsioni dei commentatori di regime, qualche giorno dopo il vertice nippo-americano, le borse di tutto il mondo sono state travolte da un'ondata di ribassi che ha portato gli indici azionari a perdere in un solo giorno mediamente il 5% del proprio valore. Ad essere penalizzata maggiormente è stata la borsa di Tokyo, che ha visto l'indice Nikkei scendere sotto la soglia psicologica dei 12 mila punti, con una perdita di quasi il 50% rispetto ai massimi livelli raggiunti nel mese di marzo dello scorso anno. Nonostante il perdurare della crisi anche gli economisti borghesi più illuminati insistono nell'imputare la corruzione del sistema politico come l'unico responsabile di queste continue cadute borsistiche. In realtà i crolli finanziari rappresentano solo un aspetto della crisi economica che trae origine, come ogni crisi, dalle contraddizioni del sistema capitalistico.
La crisi finanziaria che ha colpito il Giappone in quest'ultimo decennio ha determinato il formarsi di una montagna di debiti, i quali rischiano di travolgere l'intera economia nipponica. Proprio per i debiti accumulati nel "decennio maledetto" (così viene definito dai giapponesi il decennio scorso) nell'anno passato sono fallite delle multinazionali di enormi dimensioni come la Sogo, la Daiei e la Kumagai Gumi. Ma è il sistema bancario che rischia di rimanere schiacciato sotto il peso dell'indebitamento. Con la caduta della borsa e la svalutazione degli immobili, le banche si trovano nella condizione di non poter più recuperare i crediti concessi ai privati ed alle imprese prima dello scoppio della bolla speculativa. La situazione è ancor più grave se consideriamo gli intrecci che esistono tra le diverse banche giapponesi; in sostanza ogni banca detiene partecipazioni azionarie di altre banche. Ora, dopo gli ultimi crolli dell'indice Nikkei le banche si trovano ad avere in bilancio delle azioni acquistate per esempio a cento ma che attualmente valgono soltanto 40; ciò ovviamente costituisce una voragine nei già disastrati rendiconti bancari. In conseguenza degli intrecci è tutto il sistema bancario a dover fare i conti con buchi nel bilancio di migliaia di miliardi di yen. Lo scorso mese di marzo, in concomitanza con la chiusura dell'anno fiscale, il governo giapponese ha deciso di intervenire sul mercato azionario acquistando dalle banche e dagli altri istituti finanziari quelle azioni che più delle altre si erano svalutate. In sostanza lo stato per evitare la monetizzazione delle perdite ed il conseguente crollo dell'intero sistema ha deciso, alla faccia del libero mercato, di accollarsi le perdite delle banche. Se in passato l'intervento dello stato nell'economia si è concentrato soprattutto nelle attività produttive, con la costituzione di imprese pubbliche e il finanziamento di imprese private, in questa particolare fase della crisi del capitalismo l'intervento statale ha compiuto un salto qualitativo ponendosi al centro anche delle attività finanziarie. Si spiega in tal modo il parziale recupero dell'indice Nikkei, che subito dopo l'azione del governo ha recuperato terreno rispetto ai minimi livelli di qualche giorno prima.
La crisi del Giappone non è solo di natura finanziaria ma investe l'intera economia del paese. Gli ultimi dati disponibili indicano che nel mese di gennaio la produzione industriale ha subito una riduzione del 4,2% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente, confermando che il Giappone, dopo la ripresina dell'anno scorso, è alle prese con una recessione economica violenta le cui conseguenze sociali cominciano a lasciare il segno. Infatti, il tasso ufficiale di disoccupazione è salito nel mese di febbraio al 6%, il livello più alto di questo dopoguerra, e molte aziende hanno annunciato massicci licenziamenti per rilanciare la compe-titività delle merci giapponesi sui mercati internazionali.
La crisi del Giappone non è un fenomeno isolato nel panorama dell'economia mondiale, ma va inquadrata nel contesto di una crisi planetaria del capitalismo, il cui epicentro va ancora una volta ricercato negli Stati Uniti. Il rallentamento dell'economia americana, per il ruolo trainante che svolge nell'ambito di quella mondiale, è alla base della pesante recessione che sta colpendo il Giappone ed il resto del sud-est asiatico. Ai paesi asiatici sta mancando una voce importante della propria domanda aggregata costituita dalle esportazioni verso gli Stati Uniti. Per fare un esempio, quasi il 10% dell'economia del Giappone dipende dalle esportazioni verso gli USA; è facile immaginare le conseguenze economiche su paesi così strutturati di una recessione negli Stati Uniti. La crisi americana, come in un grande effetto domino, produce i propri effetti nefasti su tutti quei paesi che dipendono in qualche modo dalla sua domanda.
In una congiuntura economica recessiva, l'indebitamento giapponese rappresenta una vera e propria bomba ad orologeria pronta ad esplodere in qualsiasi momento. Il Giappone vive l'apparente contraddizione di essere il maggior creditore finanziario del pianeta, e nello stesso tempo uno dei paesi più indebitati al mondo. Tale contraddittorietà è solo apparente per il fatto che sia l'indebitamento che i risparmi sono entrambi delle fonti di finanziamento dell'economia. Ovviamente nel medio-lungo periodo i debiti devono essere pagati, pena la dichiarazione di fallimento. Non avendo il Giappone il peso imperialistico di cui possono disporre gli Stati Uniti, il periodo in cui i debiti devono essere pagati si accorcia sensibilmente rispetto a quello di cui possono disporre i debitori statunitensi. Se consideriamo il livello altissimo dell'indebitamento globale del Giappone ed il suo ruolo nell'ambito dei flussi finanziari su scala mondiale possiamo immaginare le conseguenze di una bancarotta nipponica. La prima sarebbe che il tesoro americano non potrebbe più contare sui maggiori sottoscrittori dei titoli del proprio debito pubblico, con l'effetto di mandare gambe in aria l'intero sistema finanziario internazionale.
plBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #4
Aprile 2001
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