Il conflitto balcanico si sposta in Macedonia - Alle strette la guerriglia albanese

Inesorabilmente tutte le ex Repubbliche della dissolta Jugoslavia sono state risucchiate nella spirale della guerra. Ora è la volta della Macedonia dove si confrontano le forze governative e la guerriglia albanese. E come sempre al di sopra dei contendenti locali vi sono le attenzioni interessate e le manovre delle grandi potenze.

Sostanzialmente questa volta non sono in gioco interessi economici o strategici immediati di fondamentale importanza per gli Stati Uniti da una parte e per l'Unione europea dall'altra. Sotto il comune cappello Nato vi è la necessità di entrambi di impedire che il conflitto si allarghi ai vicini Stati, soprattutto per gli europei che hanno il problema in casa. Quindi quasi certamente la guerra e le velleità della guerriglia avranno breve durata.

Però allo stesso tempo le contraddizioni interimperialistiche scavano quel solco che oramai separa gli interessi economici europei da quelli statunitensi. Per cui ogni pretesto che possa sancire una necessaria autonomia, o il consolidamento di questa dalla tutela americana, è un passo avanti nella prospettiva di una effettiva integrazione e coesione europea.

Non dobbiamo dimenticare che la guerra del Kosovo è rientrata nel disegno complessivo della super potenza d'oltre oceano di controllo e gestione delle risorse petrolifere mondiali. Gli Usa hanno impedito che si potesse aprire un corridoio che dall'area del Mar Caspio portasse il greggio nel Mediterraneo, attraverso la zona meridionale della ex Jugoslavia, così come era nelle intenzioni europee.

Ancora una volta le aspirazioni del vecchio continente sono state frustrate, come già era avvenuto in precedenza con la guerra del Golfo, dove accordi e contratti con i paesi produttori di petrolio sono andati in fumo per la decisa volontà del gendarme americano di non volere condividere con nessuno l'oro nero e la rendita finanziaria da esso derivante.

A seconda delle circostanze le pedine da utilizzare possono cambiare, gli amici di ieri diventano i nemici di oggi e viceversa, così l'Uck (Esercito di liberazione nazionale) degli albanesi del Kosovo finanziato e armato dagli Usa nel 1998 contro la Serbia, è nuovamente tornata ad essere considerata una formazione terrorista, dopo che è stato accordato il permesso alle milizie jugoslave di insediarsi nella zona cuscinetto tra Kosovo e Macedonia, come previsto dallo stesso accordo di pace di Kumanovo del giugno 1999.

Praticamente è stata restituita parte della sovranità alla Jugoslavia sul suo stesso territorio per contrastare gli indipendentisti albanesi dell'Ucpmb (Esercito di liberazione di Presevo, Medvedja e Bujanovac) nella valle di Presevo nella Serbia del sud. Allo stesso tempo Usa e Ue hanno deciso di aiutare militarmente il governo macedone contro l'Uck locale, che opera nelle campagne di Tetovo a nord del paese, roccaforte dell'irredentismo albanese, e di impedirne sconfinamenti e appoggi nelle retrovie in Kosovo.

Riassumendo il tutto, nell'area opera la guerriglia albanese dell'Ucpmb che vorrebbe annettere il Presevo al futuro Kosovo indipendente, allo stesso fine è ispirata la condotta dell'Uck macedone nella parte nord occidentale del paese. Entrambe le formazioni sono appoggiate dal "disciolto" Uck del Kosovo, il cui disegno complessivo è quello di realizzare il progetto di una grande Albania, che magari nel corso del tempo inglobi tutti i territori dei vari Stati della regione dove è forte la presenza dell'etnia albanese.

Qui siamo di fronte alla solita lotta tra fazioni borghesi per la spartizione delle risorse e del potere. Venuti meno i vecchi equilibri tra le potenze imperia-listiche, e con l'aggravarsi della crisi del processo di accumulazione capitalistico a scala internazionale, che ha fatto sentire pesantemente le sue ripercussioni soprattutto nella periferia del capitalismo, nelle aree più deboli, si è prodotto un disfacimento del precedente tessuto sociale.

Un terremoto di questa portata ha messo in discussione il vecchio sistema di potere a favore di gruppi emergenti che aspirano a sostituirsi quale classe borghese dominante, o quantomeno a integrarsi con la precedente, utilizzando allo scopo il più reazionario strumentario nazionalista a base etnica. Se qualche decennio fa i movimenti di liberazione nazionale potevano apparire (precisiamo che questa visione era solamente parolaia e ancora di più illusoria) portatori di un tentativo di sviluppo delle forze produttive autonomo e indipendente dalle centrali imperialistiche, oggi questo miraggio neppure viene preso in considerazione.

Si tratta di semplice gangsterismo per arraffare quanto più si può sulla pelle dei disperati, aizzando quelle popolazioni ai propri fini per sfruttarle, prima e reprimerle selvaggiamente poi, una volta giunti al potere. La micro borghesia guerrigliera albanese già la vediamo in opera nei suoi traffici di armi e droga, conquistare un proprio Stato significherebbe oltre che appropriarsi di quel poco che c'è nell'economia reale, soprattutto creare una specie di territorio franco sul quale sviluppare, questa volta sì in modo consistente, le proprie attività affaristico-mafiose.

A riprova che qualsiasi nazionalismo non è altro che il paravento degli interessi borghesi, citiamo una frase da una recente intervista del Corriere della Sera ad un leader albanese moderato il cui partito è presente nel governo mace-done, il quale lamenta tra le altre cose: "Siamo stati esclusi dal processo di privatizzazione delle aziende di Stato. Insomma, i motivi per sentirci cittadini di serie B sono centinaia".

Da comunisti ribadiamo che oggi, ed è palese più che mai, non è possibile appoggiare o tifare per nessuna fazione della borghesia, sia essa al potere o che aspiri a conquistarlo. I proletari da un coinvolgimento su questo terreno hanno tutto da perdere. Lotta deve essere, ma esclusivamente su un terreno di classe internazionalista, contro il capitale e contro tutte le forze borghesi.

cg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.