Nuove fusioni bancarie

Concentrazione del capitale e falsa propaganda liberista

Dopo la fusione dello scorso anno tra Unicredit e la tedesca Hvb, quasi certamente seguirà nei prossimi mesi quella tra Banca Intesa e San Paolo Imi, con la conseguente costituzione in Italia dei due maggiori colossi finanziari, tra i primi anche a livello europeo. Come se non bastasse viene auspicata la nascita di un terzo polo di dimensioni internazionali dall’accorpamento (ipotesi più o meno fantasiosa allo stato attuale) di Capitalia con Montepaschi e altri minori.

Banca Intesa e San Paolo Imi insieme costituiranno il primo istituto italiano con un valore in borsa di oltre 65 miliardi, poco superiore a Unicredit, con oltre 100mila dipendenti e più di 7mila sportelli. L’operazione favorita dal governo è stata voluta soprattutto dal governatore di Bankitalia Mario Draghi, un uomo con una chiara visione europeista e consapevole dello scontro interimperialistico in atto a scala planetaria, non a caso apprezzato e voluto da Prodi alla successione dell’ormai logoro e screditato predecessore Antonio Fazio.

Allo scopo di facilitare le decisioni dei banchieri, il nuovo governatore ha annunciato l’abolizione dell’obbligo di comunicare il progetto di fusione all’organo di vigilanza per l’autorizzazione prima che esso venga sottoposto al consiglio di amministrazione dei soggetti interessati. Inoltre la recente riforma del diritto societario degli organi di governo delle società per azioni, il cosiddetto sistema duale, già introdotto in Germania, fa piazza pulita della vecchia gestione familiare tipicamente italiana, e affida a un consiglio di gestione composto da manager stipendiati (profumatamente ovviamente) con un contratto di lavoro subordinato, la responsabilità della conduzione aziendale.

Questi eventi si collocano nel periodo di massima esaltazione e propaganda borghese, a destra come a sinistra, del liberismo come rimedio universale ai mali del capitalismo. Governo e opposizione concordano nel ritenere imprescindibile necessità appoggiare quelle strategie che permettano al capitale nazionale ed europeo di affrontare le sfide della globalizzazione.

Naturalmente poi c’è la solita demagogia del riformismo, che come al solito vorrebbe la botte piena e la moglie ubriaca: per esempio Rifondazione, Comunisti italiani, sindacati e sinistrume vario pur valutando positivamente in prospettiva il rafforzamento economico e politico dell’Unione europea, specialmente in chiave antiamericana, allo stesso tempo dichiarano di essere preoccupati che operazioni di questo tipo tra banche o aziende potrebbero dar luogo ad esuberi di personale e ai conseguenti licenziamenti. Infatti, sono a rischio circa 15 mila posti di lavoro e la chiusura di 400 filiali.

Il processo di concentrazione del capitale finanziario italiano attraverso le fusioni comincia i primi anni ’90, ma solo recentemente ha subito una forte accelerazione, in ritardo rispetto alle dinamiche dei paesi economicamente più avanzati. I primi istituti bancari a portare avanti grossi processi di fusione sono stati quelli giapponesi, seguiti dagli americani. Mentre in Europa sono nati successivamente i grandi colossi in Francia e Germania.

La sostanza di quanto accade conferma nei fatti l’assunto marxista che vede nell’evoluzione del processo di accumulazione capitalista il continuo ingigantirsi ed esasperarsi degli aspetti parassitari e speculativi del sistema. Ovvero la finanziarizzazione dell’economia e l’assoggettamento del capitale industriale al dominio di quello finanziario.

Mentre in precedenza le banche finanziavano gli investimenti delle grandi imprese. Oggi, invece, sono direttamente le banche e le assicurazioni che gestiscono i fondi utilizzati per la capitalizzazione delle imprese, appropriandosi di buona parte del plusvalore prodotto dalla classe operaia sotto forma di interessi e sancendo una volta di più la totale sottomissione del sistema ai mercati finanziari.

La lotta per la sopravvivenza tra i grandi predoni imperialisti diventa sempre più accanita. L’Europa delle multinazionali e dei grandi gruppi economico-finanziari tenta di predisporsi alla feroce concorrenza tra le grandi potenze concentrandosi e cercando a livello decisionale di centralizzare le proprie scelte politiche. Ne è una conferma la penetrazione del capitale europeo verso est. In Estonia, Slovacchia e Croazia la quasi totalità degli istituti bancari è controllata da gruppi stranieri, di cui i due terzi del mercato sono appannaggio dei maggiori paesi europei, tra cui l’Italia. Questa è la direzione privilegiata dell’espansionismo europeo, ma non solo, non vi è angolo della terra di un qualche interesse che sfugga alla logica predatoria dell’imperialismo.

La conclusione evidente è che la borghesia e i suoi servi, dai media ai politicanti, esaltano il liberismo in mala fede. Il capitalismo è costretto a concentrarsi e per spuntare saggi di profitto adeguati all’enorme grado di accumulazione raggiunto dal capitale deve costantemente attaccare il proletariato. La libertà di tagliare lo stato sociale e i salari, precarizzare il lavoro e intensificare lo sfruttamento, e tutti gli altri misfatti perpetrati dal capitale quotidianamente sotto i nostri occhi, è la vera essenza della campagna ideologica borghese.

cg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.