L’Attentato di Mumbai

Ancora bombe sui treni, ancora sangue proletario

L’11 luglio, mentre in Libano cominciavano già a soffiare i venti di guerra e mentre la Russia si preparava ad ospitare la riunione del G8 di San Pietroburgo, l’attenzione del mondo intero è stata catturata dai terribili attentati che, con sette esplosioni in diverse stazioni ferroviarie e nella metropolitana di Mumbai, hanno provocato la morte di quasi 200 civili inermi e il ferimento di almeno altri 700, quasi tutti proletari che tra le 18 e le 18:30 locali affollavano i mezzi pubblici al ritorno dal lavoro.

I media si sono immediatamente focalizzati sul significato quasi cabalistico della data 11: l’11 luglio a Mumbai come l’11 marzo a Madrid e come l’11 settembre a New York, quasi che questo spiegasse già tutto, dimostrando la responsabilità di al-Quaeda. Ma pochi hanno analizzato più seriamente la vicenda, evidenziando ad esempio come, a differenza degli episodi citati, questa volta non si sia trattato di attentati kamikaze, essendo stati attivati gli esplosivi tramite timer o comandi a distanza.

I primi arresti operati dalla polizia indiana sembrano individuare una responsabilità diretta del SIMI (Students Islamic Movement of India) e del Lashkar-e-Taiba, un gruppo con base in Pakistan che si batte per la liberazione del Kashmir, unica regione indiana a maggioranza musulmana. Inoltre pare che parte degli attentatori e degli esplosivi siano giunti attraverso i confini con Nepal e Bangladesh.

Per capire il contesto degli attentati, bisogna innanzitutto notare come tutta l’India viva forti contrasti intercomunitari tra la maggioranza indù e la “minoranza” di 150 milioni di musulmani (seconda comunità al mondo) e soffra dell’attività di guerriglieri separatisti, in particolare tamil e kashmiri, oltre che di ribelli naxaliti, di ispirazione maoista.

Tuttavia secondo molti analisti la situazione interna non basterebbe a spiegare gli attentati, che avrebbero richiesto una organizzazione di tipo militare, e quindi appoggi esterni, probabilmente in settori deviati dei servizi segreti pakistani e in altre potenze straniere. Certo è che gli attentati sono intervenuti proprio in un momento in cui la politica indiana vive forti incertezze. A livello interno, il governo del Partito del Congresso risulta isolato e fragile, attaccato dall’opposizione del BJP e accusato di praticare una politica estera troppo filo-americana dal Fronte della Sinistra, che finora lo ha sostenuto dall’esterno. I falchi dell’esercito dal canto loro mal tollerano le recenti aperture ai nemici di sempre: Pakistan e Cina. In questa complicata situazione, il governo tenta nonostante tutto di continuare a praticare quella politica del “doppio forno” mantenendo aperti i canali sia con gli USA che con la Cina.

All’inizio di luglio, per esempio, è stato inaugurato il “treno celeste”, che collega Pechino con Lhasa attraverso il Passo di Tangula e dovrebbe proseguire fino alla frontiera indiana. Ci sono poi le iniziative russe e la proposta di Gazprom, che il 15 giugno scorso, per voce di Putin in persona, si è resa disponibile alla realizzazione dell’agognato “gasdotto della pace”, quello che attraverso il Pakistan dovrebbe connettere l’Iran all’India e poi alla Cina. Il progetto è realmente mastodontico, e solo le enormi risorse a disposizione di zar-gas Putin potrebbero renderlo realistico: si parla di una spesa preventivata di 7 miliardi di dollari. Inoltre, a margine dell’ultima riunione del G8, tenutasi dal 15 al 17 luglio a San Pietroburgo, India e Cina si sono dette favorevoli alla proposta russa del cosiddetto “G3” asiatico, ossia una rete di stretti rapporti a tutto campo tra le tre potenze.

Questi accordi segnalano senza dubbio l’indisponibilità indiana alle politiche di contenimento che Washington desidererebbe attuare ai danni di Pechino. Ma altri segnali, più positivi per gli USA, si sono potuti osservare, soprattutto dopo l’11 luglio.

Il progetto del gasdotto Iran-India ha ricevuto infatti un importante battuta d’arresto intorno al 24 luglio, quando i colloqui tra Iran e India si sono arenati, ufficialmente sul prezzo del gas. Più probabilmente ha influito negativamente il voto favorevole indiano presso la AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) alla mozione che chiedeva all’Iran di interrompere il processo di arricchimento dell’uranio. Il progetto, d’altro canto, è fortemente avversato dagli USA, che sostengono una pipeline alternativa Nord-Sud attraverso l’Afghanistan, ed è facile intuire che sul voto indiano abbiano pesato le pressioni di Washington. Tuttavia è probabile che l’India, un gigante con oltre un miliardo di abitanti, ritmi di crescita del pil attorno al 7% annui e un’enorme sete di energia, sia disposta a posticipare la realizzazione del gasdotto, ma non ad abbandonarne definitivamente l’idea.

Se, nonostante i timori diffusi, i rapporti inter-comunitari tra musulmani e indù sono rimasti sostanzialmente normali, a livello internazionale, invece, un risultato immediato e visibile degli attentati a Mumbai c’è stato: l’interruzione del processo di pace per il Kashmir, dove dal 1947 una situazione di perdurante instabilità si alterna a periodi di guerra aperta tra Pakistan e India. Al mantenimento di un clima utile al dialogo non ha contribuito certamente il ministro degli esteri pakistano Kasuri, il quale a caldo ha sottolineato come il miglior modo per evitare attentati terroristici sia quello di affrontare e risolvere la questione kashmira. Le sue dichiarazioni sono suonate in India piuttosto “ambigue”, quasi una velata minaccia, alla quale ha fatto seguito la stizzita risposta che “il Pakistan deve agire contro i gruppi terroristici”. A ciò è seguito un gelo nelle relazioni che ha portato all’inevitabile slittamento, sine die, dei colloqui di pace previsti per il 20 luglio. Vista la situazione, e visto lo sfumare delle possibilità di concreta realizzabilità del “gasdotto della pace”, un altro probabile risultato degli attentati sarà il maggiore isolamento dell’Iran

Ma la principale vittima degli attentati resta il proletariato, non solo quello di Mumbai coinvolto direttamente nelle esplosioni, ma quello mondiale, trascinato in violenze e conflitti per interessi imperialistici che non sono suoi.

Mic

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.