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Home ›La battaglia del Libano - Un'altra tappa della guerra del petrolio
La terra dei cedri crocevia degli interessi interimperialistici
Migliaia di morti soprattutto fra gli strati più poveri della popolazione civile. Un intero paese, il Libano, ridotto a un cumulo di macerie, per non dire poi delle centinaia di combattenti che hanno perso la vita da una parte e dall’altra. E tutto questo, stando alle dichiarazioni ufficiali, per liberare due soldati israeliani catturati dagli hezbollah. Una reazione, quella israeliana, che a molti, a cominciare dal neo ministro degli esteri italiano D’Alema, è apparsa giustificata (chissà poi perché dato che Israele ha fatto del sequestro e dell’uccisione mirata di miliziani e dirigenti politici palestinesi e libanesi una pratica di ordinaria quotidianità) ma sproporzionata. E appare ancor più sproporzionata ora che è stato decretato il cessate il fuoco senza che i due soldati sequestrati il 12 luglio scorso siano stati liberati. Con tutta evidenza, come per tutte le guerre a cominciare da quella di Troia, il sequestro dei due soldati è stato il classico casus belli invocato per dare inizio a una guerra preparata e programmata da tempo e per motivi molto più prosaici della liberazione di due soldati, probabilmente neppure belli come la leggendaria Elena.
Per Israele, un Libano alleato e allineato avrebbe significato, da un lato, confini più sicuri e, dall’altro, una tessera in più in quel mosaico progettato dagli Usa che prevede, fra l’altro, di porre sotto il proprio controllo tutto il Mediterraneo orientale da una parte e dall’altra tutti gli accessi verso il Mar Rosso e l’Oceano indiano per poter esercitare il più rigoroso controllo sul petrolio proveniente dal Caucaso attraverso il Mar Caspio e dal Mar Caspio medesimo. Secondo alcuni analisti e in particolare M. Chossudovsky (vedi: La guerra al Libano e la Battaglia per il petrolio - comedonchisciotte.org ), non sarebbe stato neppure un caso che i bombardamenti israeliani sul Libano siano iniziati proprio il 13 luglio, cioè lo stesso giorno in cui è stato inaugurato l’oleodotto (costruito da un consorzio a guida BP di cui fanno parte, fra gli altri anche gli Usa e Israele) Baku - Tblisi - Ceyan (BTC) che collega il Mar Caspio al Mediterraneo Orientale bypassando completamente il territorio della Federazione Russa. Pur essendo molto probabile che si sia trattato di una coincidenza, l’insinuazione, però, appare tutt’altro che peregrina se si tiene presente che il mosaico prevede anche l’apertura di un corridoio petrolifero che dovrebbe congiungere, attraverso un oleodotto sottomarino, Ceyan con il porto israeliano di Ashkelon e da qui direttamente con il Mar Rosso e che Israele e la Turchia hanno in corso trattative per costruire, condotte per il trasporto di acqua dalle riserve a monte del Tigri e dell’Eufrate in Anatolia, elettricità e gas naturale. Si tratta di un progetto multimiliardario che implica necessariamente il controllo totale del tratto di mare interessato dove però affacciano anche la Siria e il Libano che non sono certamente, soprattutto la prima, partner amichevoli e affidabili. Dall’altra parte, poi, c’è l’Iran un concorrente molto agguerrito che costituisce un pericolo ancor più grave sia perché, per la sua collocazione geografica si presta a fungere da corridoio petrolifero alternativo al BTC e a quelli progettati dalla Turchia al Mar Rosso sia perché è uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio. Riportare l’Iran nell’alcova statunitense o a più miti consigli è pertanto di straordinaria importanza nella lotta per il controllo del mercato petrolifero mondiale e del processo di formazione del suo prezzo.Chi riesce in questa impresa si assicura profitti giganteschi derivanti sia dalla vendita del petrolio in quanto materia prima sia della rendita finanziaria che si genera a favore del paese che emette la valuta in cui il suo prezzo viene denominato. Ora questa è appannaggio soprattutto degli Usa in quanto il prezzo del petrolio è prevalentemente denominato in dollari. Ed è stata proprio la tendenza emersa negli ultimi anni da parte di alcuni produttori a quotare il petrolio anche in euro, a inasprire e a dilatare a livello mondiale la guerra per il petrolio.
Uno scontro senza esclusione di colpi e senza alcuna remora: basta che un paese sia o possa anche solo potenzialmente diventare un possibile corridoio petrolifero perché su di esso si accentrino le mire delle maggiori potenze imperialistiche e in primo luogo della superpotenza statunitense. Figuriamoci poi se si tratta di un paese produttore. Il Libano ha purtroppo la sfortuna o la fortuna, a seconda degli esiti che questo scontrò avrà se mai ne avrà, di aver più di uno di questi requisiti e per questo fa gola a tutti. Agli Usa e a maggior ragione, al confinante Israele. Ma anche all’Iran che ha, a sua volta, tutti i requisiti per poter diventare una potenza subimperialistica regionale di tutto rispetto. Infine, interessa non poco a Russia e Cina. La prima perché qualora il mosaico statunitense si completasse, non solo rimarrebbe completamente tagliata fuori dal Medioriente, ma si troverebbe costretta a dover passare sotto le forche caudine degli Usa e di Israele anche per l’immissione sul mercato di buona parte della propria produzione petrolifera e di gas. Ben conscia di questo pericolo, infatti, ha stipulato un accordo con la Siria che prevede la costruzione di una base navale russa nel porto di Tartus e il dispiegamento di un sistema di difesa aereo (S-300PMU) capace di fornire protezione alla base stessa e a buona parte del territorio siriano. La seconda perché data la sua forte dipendenza dalle importazioni di petrolio, ha tutto l’interesse a che si costituisca sul mercato mondiale un’offerta più diversificata di quella attuale che essendo denominata quasi esclusivamente in dollari la vincola fortemente alle politiche monetarie della Federal Reserve e agli andamenti della congiuntura economia statunitense.
Il Libano, come tutta l’area mediorientale, è dunque al centro di un intreccio di interessi contrastanti in cui le ambizioni subimperialistiche locali, a cominciare da quelle israeliane e iraniane, si fondono con il più generale scontro per il controllo a scala mondiale della produzione del petrolio e delle altre fonti energetiche e del loro mercato. Che è come dire il controllo dell’economia mondiale.
Attaccando il Libano, Israele sperava di poter prendere i famosi due piccioni con una fava. Mirava, infatti, indicandolo come il responsabile della guerra, a isolare e indebolire Hezbollah. Infatti, con Hezbollah disarmato e ridotto ai minimi termini sarebbe stato poi un gioco da ragazzi la costituzione di un governo più fidato e più forte di quello di Seniora, capace di garantire effettivamente una maggiore sicurezza ai confini meridionali e ai progettati oleodotti ed acquedotti che dovrebbero congiungere la Turchia con il Mar Rosso. Se il colpo fosse riuscito è evidente che Israele, sostenuto e incoraggiato come non mai dal protettore e socio statunitense, avrebbe altresì inferto un duro colpo a Iran e Siria che Hezbollah sostengono e ai loro più o meno occulti sostenitori.. Ma per le stesse ragioni, seppure di segno opposto, Iran e Siria e i loro sponsor a questo scontro si erano preparati da tempo e non è da escludere che in qualche misura lo abbiano anche provocato. Di certo c’è che Hezbollah non è stato sconfitto. La guerra invece ha messo in luce l’incapacità di Israele, almeno in questo momento, di battere il nemico sul piano militare. Hezbollah, anziché cadere nell’isolamento ne è uscito rafforzato e sta dimostrandosi, anche nella fase della ricostruzione dopo quella della guerra, la forza politica e militare con la più ampia base sociale, meglio organizzata e più vicina alla popolazione civile e probabilmente anche maggioritaria. Insomma, un vero e proprio stato nello stato. Dall’esito della battaglia ovviamente ne hanno tratto vantaggio Iran e Siria che, se non altro, almeno per il momento, hanno ridotto di molto le probabilità di subire un attacco diretto da parte degli Usa e dello stesso Israele e tutti gli altri briganti che si contendono, con le loro emanazioni locali, il controllo del Medioriente, in primis quella vecchia e derisa Europa della zona dell’euro, proprio di quell’euro che contende con sempre maggior forza al dollaro il ruolo di mezzo di pagamento internazionale per eccellenza. Senza sparare un solo colpo di pistola, essa è riuscita a reinserirsi nel gioco mediorientale con un ruolo autonomo e ben distinto da quello statunitense e a dislocare nella zona, seppure sotto le bandiere dell’Onu, uno dei più numerosi e meglio armati contingenti militari. Di fatto, è stata posta fine a quell’unilateralismo che durava dal crollo dell’Urss e si è aperta una nuova fase in cui le tensioni interimperialistiche sono destinate ad acuirsi. I corifei dell’imperialismo europeo parlano ovviamente di ciò come del trionfo della “comunità internazionale” e pronosticano come imminente una lunga e duratura pace facendo finta di non vedere che in Medioriente si accalcano ormai più eserciti che nel resto del mondo intero e tutti con l’evidente scopo di non mollare neppure un brandello della preda contesa. In verità, con tanti conti in sospeso e con la fame di profitti che si aggira per il mondo, l’incognita non è se ci scatenerà, ma solo quando si scatenerà la prossima e probabilmente più grande guerra.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #9
Settembre 2006
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