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Home ›Brevi note sui lavoratori dell’Atesia
Cambiano i governi, ma la musica è sempre quella
La tormentata vicenda dei lavoratori Atesia - il più grande call center d’Italia - continua a tenere banco sulle pagine dei giornali grazie alla “bomba ad orologeria” innescata più di un anno dal combattivo “Collettivo Precari Atesia” e scoppiata negli ultimi giorni d’agosto tra le mani di governo, padroni e sindacati. I fatti sono noti, ma vale ugualmente la pena di rinfrescare la memoria.
Nella primavera dello scorso anno, cinque compagni del Collettivo (di cui solo uno sopravvissuto in azienda alla rappresaglia del licenziamento) chiesero l’intervento degli ispettori del lavoro affinché certificassero con tutti i crismi istituzionali ciò che tutti sanno, cioè che i cococo/cocopro, considerati autonomi dalle leggi vigenti (legge Treu e legge 30), in realtà non sono altro che lavoratori dipendenti, costretti a subire le più odiose forme di sfruttamento all’insegna della precarietà più sfrenata.
Nel frattempo, cambia il governo e sulla poltrona del ministro del lavoro appoggia le sue parti nobili nientemeno che un ex sindacalista della CGIL, il diessino Damiano. Ma, ad onta e scorno di tutti coloro che, votando Ulivo, credevano in buona fede ad una svolta radicale almeno sul tema del lavoro, invece di udire la “Cavalcata delle Valchirie” contro la legge 30, si sente intonare il celebre duetto del “Don Giovanni” di Mozart: “Là ci darem la mano, là mi dirai di sì...”. Infatti, a giugno di quest’anno, Damiano compie l’opera rimasta in sospeso “per motivi tecnici” di Maroni ed emana una circolare - per l’appunto già predisposta dall’ex ministro leghista - con la quale fa finalmente chiarezza sulla controversa questione lavoro-autonomo-lavoro subordinato, a cominciare da quello dei call center. Naturalmente, si tratta di una chiarificazione in puro spirito legge 30, che ribadisce cioè le ipocrisie di fondo nel non riconoscere il carattere subordinato di tantissimi “autonomi”, a tutto vantaggio - va da sé - dei padroni. Secondo la circolare, solo gli inbound (coloro che ricevono le telefonate) devono essere considerati dipendenti, con tutto quello che ne consegue per quanto riguarda i contributi, ecc.; al contrario, gli outbound (coloro che telefonano ai clienti con proposte commerciali) sono - sempre per Damiano - autonomi e quindi l’azienda non ha, nei loro confronti, alcun obbligo in termini previdenziali, assicurativi e via dicendo.
Tutto a posto, dunque, ma... il 22 agosto arriva la relazione finale degli ispettori del lavoro che, contrariamente al Damiano-pensiero, stabilisce il carattere dipendente del lavoro in Atesia, ingiunge all’azienda di assumere direttamente tutti i 3200 lavoratori e le impone di pagare i contributi a 8000 - 10000 telefonisti transitati nel call center dal 2001 in poi.
Stavolta sì che si scatenano le “Valchirie”, ma contro i poveri ispettori, colpevoli di aver eseguito scrupolosamente il loro dovere nel rispetto delle leggi borghesi. Da Capezzone, che non perde mai un’occasione per dare addosso al proletariato, alle immancabili UIL e CISL, contrariate perché gli ispettori avrebbero fatto un’entrata a gamba tesa in un gioco che non li riguarda, allo sciame molesto di ex sindacalisti annidatisi quasi equamente nei due “Poli”, a riprova - se mai ce ne fosse bisogno - dell’integrazione del sindacato nei meccanismi dello stato borghese. E la CGIL? Al solito, si produce in uno dei suoi sperimentati numeri di “cerchiobottismo” di cui è maestra, come provano i tanti che ancora ripongono speranze nel sindacato “difensore dei lavoratori”. Alcune realtà di questo sindacato, più o meno critiche e anche organizzate, ma - ovviamente - marginali e marginalizzate, plaudono all’azione dell’ispettorato; invece, il settore largamente maggioritario, a cominciare da Epifani e dai segretari delle categorie più direttamente interessate (SLC), nella sostanza sposano la tesi di Damiano. Il che, se è in formale contraddizione con i roboanti enunciati del congresso CGIL di qualche mese fa contro la precarietà, è in perfetta coerenza con la reale pratica sindacale, che sottoscrive ogni genere di accordo peggiorativo per i lavoratori di qualunque settore, non ultimo quello di Atesia della primavera scorsa, che accoglieva e addirittura rivedeva in peggio la stessa legge 30. Per inciso, l’accordo, rifiutato a grande maggioranza, non è mai stato sottoposto all’assemblea dei lavoratori (cosa normalissima, per altro).
Allora, l’ispezione dell’INPS è una vittoria del “Collettivo Atesia” e di tutti i lavoratori? In un certo senso lo è, momentaneamente, ma sostanzialmente dal punto di vista dell’immagine, perché ha pubblicizzato la loro lotta, perché potrebbe aver scosso dall’apatia altri schiavi del ricevitore sparsi un po’ ovunque. Ma non bisogna farsi eccessive illusioni sull’efficacia delle leggi borghesi che, nel migliore - e assai raro - dei casi possono al massimo costituire un debole argine contro le forme più vistose - perché pubblicizzate sui mas media - di sfruttamento. Intanto, come hanno sottolineato i membri del Collettivo, “l’ultima parola spetta al tribunale del lavoro” e sappiamo tutti come, in genere, vanno a finire queste cose (senza contare che, nel 1998, un’ispezione che raggiunse le stesse conclusioni non ebbe nessun seguito). A parte la macchinosità della “giustizia”, se si tratta di casi singoli, si può anche vincere, ma quando ci sono in ballo questioni collettive il cui carattere politico appare immediatamente, allora è tutta un’altra faccenda: la triplice alleanza padroni-governi-sindacati mette in campo la sua enorme “potenza di fuoco”, cacciandosi sotto i piedi, o cambiandole, le leggi. Nello specifico, riconoscere ai precari Atesia lo statuto di lavoratori dipendenti vorrebbe dire aprire una breccia nel muro della precarietà attraverso la quale si infilerebbero i tanti finti autonomi del cosiddetto lavoro atipico rivendicanti lo stesso trattamento, il che, per la borghesia e i suoi tirapiedi, è inaccettabile. L’uso della forza-lavoro usa e getta è una necessità primaria del capitale, che non è disposto a derogare da questo “sacro principio”. Insomma, come ha ribadito il ministro Damiano, la legge 30 (e nemmeno il pacchetto Treu, aggiungiamo noi) “non si abbatte”, al massimo si ritocca, ma solo là dove si è dimostrata inutile, magari scambiandone le forme più vistose e impopolari con altre meno appariscenti, ma egualmente efficaci.
Anche se a qualcuno potrebbe sembrare uno slogan rituale, non è dalle leggi borghesi che i lavoratori possono attendersi la soluzione dei loro problemi, immediati e futuri: solo la lotta collettiva autorganizzata, oltre e contro la logica sindacale, l’intelligenza, la fantasia, politicamente incanalate e dirette dal partito di classe possono zittire l’osceno duetto dei falsi amici e degli aperti nemici della nostra classe.
cbBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #9
Settembre 2006
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