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Home ›Il conflitto in Kosovo nei giochi dell'imperialismo Usa
Ubbidisce alla stessa logica lo schema che accomuna tutte le guerre locali sparse per il globo: le lotte per il potere delle élite dominanti fanno leva e pescano tra le fasce più arretrate della popolazione e sugli elementi più retrivi, la feccia della società, per costituire le proprie bande armate. I signori della guerra il più delle volte creano il terrore e massacrano la popolazione civile mascherandosi con le ideologie del più becero nazionalismo etnico, mentre dietro di loro manovrano per i propri interessi le grandi potenze imperialistiche.
Il canovaccio negli ultimi tempi si palesa anche per il Kosovo, un fazzoletto di terra nei Balcani sconosciuto ai più, in cui la guerra tra serbi e la maggioranza albanese del luogo, cominciata in sordina e nella scarsa attenzione generale, approda agli onori della cronaca man mano che entrano in gioco gli Stati uniti e l'Europa. Dopo la disintegrazione della ex Jugoslavia sono stati riesumati antichi sogni di gloria come la grande Serbia e la grande Albania, mettendo mano alla storia dei secoli passati e falsificandola per giustificare il conflitto la cui essenza è la spartizione delle risorse e del territorio.
La questione vede da una parte i serbi di Milosevic che dal 1989 hanno accentuato il controllo e la repressione nel Kosovo privandolo dell'autonomia precedentemente ottenuta. Dall'altra la Lega democratica del Kosovo di Rugova che chiede il ripristino di un'ampia autonomia e successivamente una consultazione popolare per decidere il proprio futuro, e il più radicale Esercito di liberazione del Kosovo (Uck) di Jashari che attraverso lo scontro armato vuole ottenere da subito la separazione e l'indipendenza.
La guerra si è intensificata in quest'ultimo anno quando gli americani hanno deciso di sostenere energicamente l'Uck armandolo e finanziandolo, almeno 10 mila uomini sono stati messi in campo dai ribelli, utilizzando allo scopo lo stato Albanese e naturalmente la mafia albanese sempre disponibile a collaborare quando si tratta di fare affari sul traffico di armi e droga. Dopo la tregua dello scorso ottobre e la minaccia da parte americana di bombardare la Serbia, la situazione di stallo stava nuovamente precipitando recentemente, l'allarme veniva dai movimenti di truppa e dalla ripresa degli scontri tra le due parti, il vertice di Rambouillet a febbraio ha visto il segretario di stato americano Albright prendere in mano la situazione e puntare i piedi per imporre ai serbi e ai kosovari di trovare un accordo entro il prossimo 15 marzo, minacciando altrimenti l'intervento militare diretto della Nato.
Ancora una volta la vicenda ha messo in luce le contraddizioni dell'Unione europea, tra aspirazioni a diventare soggetto determinante sullo scenario mondiale capace di contrastare l'egemonia Usa e l'incapacità effettuale a mettere insieme una posizione omogenea e perseguirla con la forza che solamente un potente apparato militare può dare. Non basta procedere all'integrazione economica per dettare legge, se manca la coesione politica e soprattutto militare per imporsi sul piano imperialistico.
Quest'ultimo aspetto ovviamente è osteggiato dagli Usa che contano di rimanere l'unica super potenza mondiale. Infatti, la decisione americana di rompere gli indugi e di intervenire va vista sotto diversi punti di vista. Un motivo è ostacolare il tentativo europeo di costituirsi come polo antagonista, sia sul piano finanziario-commerciale sia su quello militare, ribadendo la propria supremazia anche in Europa attraverso una presenza puntuale ogni volta lo richiedano le circostanze. A tal fine gli Usa puntano ad estendere la Nato nei paesi dell'ex impero sovietico tentando di coinvolgere gli alleati che in questo organismo sono in chiara posizione di subordine.
Un altro punto cruciale della faccenda è di impedire che il conflitto del Kosovo si estenda e sfoci in un indistricabile groviglio dalle conseguenze imprevedibili. Mentre la Casa bianca è impegnata in una partita di vitale importanza per imporre i propri giochi nella regione del petrolio, non ha certamente nessun interesse che proprio nel bacino del Mediterraneo si aprano situazioni che possono degenerare. Bisogna tenere presente che la questione albanese non riguarda solamente il Kosovo, il disegno dei nazionalisti più oltranzisti di riunire tutti i "fratelli" mira alla nascita di una grande nazione che comprenda oltre all'Albania e al Kosovo, parte del Montenegro e della Macedonia sino ad un pezzo della Grecia. Per impedire una tale evenienza gli americani vogliono imporre una soluzione che preveda una larga autonomia del Kosovo all'interno del territorio della Serbia.
Da parte europea ci sono stati i soliti mugugni contro i piani totalitari americani, ma il tutto come al solito è finito nel nulla. La partita sarà decisa dalle armi e dalla diplomazia di Washington. È da notare come da tempo l'Onu non conti più assolutamente niente. Gli ultimi bombardamenti contro l'Iraq e l'attuale vicenda del Kosovo vedono l'azione diretta della Nato. Gli Stati Uniti non vogliono più perdere tempo e avere impicci prodotti dal velleitarismo europeo, ma spingono per agire come e quanto fa loro comodo.
Tutto questo prospetta scenari inquietanti per il futuro. Un eventuale strappo europeo all'egemonia americana, sollecitato dalle necessità della crisi economica di scompaginare l'attuale assetto, vede il proletariato internazionale impreparato a rispondere sul proprio terreno di classe al dilagare della barbarie capitalista. La lotta contro i rigurgiti nazionalistici è oggi un'urgente terreno di battaglia per i rivoluzionari, far conoscere le posizioni comuniste a sostegno dell'unità di tutti i lavoratori, indipendentemente dal paese di origine, può sottrarre dal tragico inganno i tanti proletari immigrati.
cgBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #3
Marzo 1999
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