Reggio Calabria 1970

Quarant’anni fa scoppiava la rivolta urbana più lunga e controversa del dopoguerra italiano

Ho incontrato tanti compagni, operai, studenti, coloni, che dicevano: prima il capoluogo, poi si vedrà. E non riuscivano a comprenderci quando dicevamo loro che non esiste obiettivo per cui possa lottare padrone e operaio, agrario e colono, sfruttato e sfruttatore.

Un militante del PCI

Non è vero, come si afferma, che sulle piazze ci sono pochi fascisti facinorosi e teppisti, ma giovani, studenti e operai, anche di sinistra e financo nostri compagni, e che comunque quasi tutta la popolazione è pienamente solidale.

Cellula deposito locomotive PCI

Scioperi, barricate, morti di piazza e tritolo… dal luglio 1970 al settembre 1971 Reggio Calabria fu teatro di una rivolta urbana che coinvolse tutta la città e che venne duramente soffocata dall’intervento dell’esercito e dei cingolati. Una rivolta condannata dalla sinistra istituzionale, egemonizzata dalla destra e strumentalizzata dal neofascismo eversivo.

La rivolta ebbe inizio il 14 luglio 1970 per protestare contro la designazione di Catanzaro, e non di Reggio Calabria, a capoluogo di regione. La maggioranza dei reggini, e in particolare la piccola borghesia impiegatizia interessata agli eventuali posti di lavoro, si riteneva defraudata poiché Reggio, pur essendo la città di gran lunga più popolosa della regione, non fu scelta né come sede del capoluogo (Catanzaro) né come sede dell’università (Cosenza). Fino al suo esaurimento, la rivolta mantenne sempre la stessa parola d’ordine - per Reggio capoluogo - ma già dai primi giorni di scontri e barricate erano individuabili due elementi che trascendevano le motivazioni ufficiali della protesta, ossia:

  1. la presenza e il radicamento di gruppi neofascisti eversivi - Avanguardia Nazionale, Ordine Nuovo e soprattutto il Fronte Nazionale di Junio Valerio Borghese, legato alla ‘ndrangheta - che cercarono di inserire i disordini della rivolta in un più generale piano di destabilizzazione e di strategia della tensione (si ricordi in particolare la strage del Treno del Sole, Gioia Tauro, 22 luglio 1970, sei morti e cinquantaquattro feriti);
  2. la partecipazione di massa alla rivolta da parte degli strati popolari e proletari della città che, mossi da un generico quanto profondo “odio per lo stato”, per quattordici mesi impegnarono le forze dell’ordine in una guerriglia durissima, che arrivò all’assalto delle armerie e all’incendio della questura.

La Rivolta di Reggio sfugge insomma a una facile catalogazione.

Allorché sei indotto a escludere che il PCI c’entri per qualcosa nei movimenti di piazza, subito ti segnalano comunisti alla testa dei guerriglieri. La definisci una protesta piccolo-borghese e sei costretto a prendere atto che il suo epicentro è un quartiere, serbatoio di voti estremistici. Non c’è traccia ufficiale della presenza di maoisti sulla piazza ed è un maoista il capo del commando più deciso e abile nelle operazioni di guerriglia. Scrivono di teppisti e non c’è un caso di furto e di saccheggio.

Alfonso Madeo, 2 agosto 1970, Corriere della Sera
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La destra e i gruppi neofascisti riuscirono facilmente a cavalcare la rivolta non solo perché i contenuti erano fin dall’inizio populisti e assolutamente interclassisti, ma anche perché il principale partito d’opposizione e l’unico partito “di sinistra” che avesse un radicamento significativo nel proletariato della città, ovvero il PCI, si schierò fin da subito con lo stato e contro la rivolta, ignorando anche la ragionevole richiesta di imparzialità sulla questione del capoluogo, che poneva la sua base locale sempre più spaesata e in difficoltà. Ma il PCI doveva ancora una volta dimostrare, agli occhi della borghesia, di essere un partito riformista e affidabile. Non certo una forza anti-sistema.

All’epoca soltanto Lotta Continua cercò di distinguere la guida reazionaria della protesta dalle ragioni profonde che muovevano i suoi elementi più combattivi e che affondavano le radici nella miseria e nell’emarginazione del proletariato urbano meridionale.

Un vero partito comunista avrebbe dovuto fare questo e altro, ossia cercare di essere a fianco dei proletari sulle barricate contro la feroce repressione della celere e dei carabinieri, e tentare al contempo di indirizzare quella rabbia e quella radicalità su un terreno rivoluzionario e di classe, lontano tanto dalle trame neofasciste quanto dai cingolati del governo Colombo.

Secondo il “Pacchetto Colombo” annunciato il 12 febbraio 1971, in cambio del capoluogo a Reggio si sarebbe costruito il quinto polo siderurgico nazionale, a cui si sarebbe aggiunta un’altra importante fabbrica, la Liquichimica di Saline Joniche; il che avrebbe portato, in città e nella provincia, migliaia di posti di lavoro.

Il quinto polo siderurgico non fu mai costruito, mentre la Liquichimica sì… però non entrò mai in funzione. La rivolta si chiuse e la città non ottenne nulla.

A distanza di quarant’anni Reggio Calabria - e l’intero Meridione - continua a produrre povertà, disoccupazione ed emigrazione, e oggi ancor più di ieri la violenza della ‘ndrangheta e delle altre borghesie criminali prolifica e dilaga. Il Sud è ancora una polveriera sociale, ma se esplodesse ora nessuno può dire con certezza quale direzione prenderebbe.

Rafforzare il partito rivoluzionario è ciò che possiamo e dobbiamo fare oggi, per dare un senso e una prospettiva alle rivolte di domani.

GS

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.