"Nuove" relazioni capitale-lavoro per spremere i lavoratori

Dal 2007 al 2009 la produttività in Italia sarebbe crollata di oltre il 5% (dati Istat) e, nonostante i salari risultino “piatti” da almeno 15 anni, l’industria perde competitività poiché il costo del lavoro per unità di prodotto aumenta rispetto, per esempio, a Francia e Germania, dove nello stesso periodo la produttività è aumentata dal 5 al 10%. Ce ne è abbastanza per alimentare il pianto greco della nostra borghesia e dei suoi condottieri, che invocano nuovi sistemi di contrattazione e di relazioni industriali, introducendo la massima “flessibilità” di orari e salari, legando tutto alla produttività di ciascuna azienda. Misure sui cui risultati anti-crisi sistemica del capitalismo e di fronte ad una situazione che vede sempre più in eccesso la capacità produttiva delle varie industrie, farebbero ridere i polli se avessero un po’ di raziocinio oltre che di appetito. Di certo e purtroppo faranno piangere i proletari, se questi non troveranno la forza e l’organizzazione in grado di opporsi efficacemente a questa ennesima spremitura della loro forza-lavoro, imposta ad alcuni mentre altri vanno ad ingrossare l’esercito dei precari e dei disoccupati. Le leggi del movimento capitalista, se non saranno superate in modo radicale e definitivo, condurranno alla miseria e alla fame il proletariato internazionale e, proseguendo di questo passo, l’intera umanità. Quanto alla cosiddetta “sinistra progressiva” (quel poco che costituzionalmente rimane con l’illusione di frenare le crescenti insofferenze sociali), il suo sguardo spento è sempre fisso sulla “conciliazione fra aumenti salariali e competitività attraverso un aumento della produttività”, quale ultima e vana speranza di un toccasana per i mali del capitale.

Intanto, fra i salari degli operai e gli stipendi dei manager e di tutti i servi del potere economico e politico del capitale, e quindi fra i loro rispettivi “tenori di vita”, le sperequazioni e le ingiustizie (per usare termini da salotti borghesi e non da … seminterrati eversivi!) sono a livelli insopportabili. Tuttavia non ancora sufficienti per Marchionne e soci, il cui motto - “divide et impera” - guida delocalizzazioni e suddivisioni aziendali, per sfruttare gli operai e strappare maggiori profitti. Ufficialmente, per la pacificazione tra capitale e… lavoro e la fine della lotta di classe! Al fondo del barile non c’è mai fine.

Ed in sordina - ma non troppo (la notizia fu riportata da alcuni quotidiani, fra cui la Repubblica del 3 agosto) - la Fim e la Uilm avevano già prontamente, un mese e mezzo fa, preso “contatti telefonici” con la Federmeccanica “per studiare un nuovo contratto per i dipendenti del settore auto”. A riprova che spesso i peggiori nemici della classe operaia sono proprio quelli che fingono di marciare alla loro testa e, in questo caso, anticipando persino le intenzioni dell’amministratore delegato Fiat! (La Fim, al massimo dell’ipocrisia sindacale, dichiarava però di “preferire - ad un nuovo apposito contratto - una flessibilità del contratto metalmeccanici adattandolo alle specificità del settore auto”…) Ed ecco che al 7 settembre la Federmeccanica ha colto la palla al balzo e recesso ufficialmente il contratto metalmeccanici, chiedendo di negoziare deroghe per il comparto auto. Il gioco è fatto! In coda al “modello Marchionne” si è mossa l’Associazione industriale di Brescia, l’Unindustria di Treviso, la Indesit (prevista la chiusura di due stabilimenti), la Sirti, il gruppo siderurgico Riva (in Germania ha già abbandonato la Confindustria tedesca), la Elettrolux di Forlì, Ducati Motor e Lamborghini.

Il sindaco di Torino, Chiamparino, da parte sua, si fa in quattro per soddisfare le esigenze della Fiat e chiede la “affidabilità” dei sindacati (quella attuale non basta…) e il buon funzionamento delle fabbriche, altrimenti (testuale, sempre da la Repubblica) “chi glielo fa fare a Marchionne di investire 20 miliardi di euro in un Paese in cui, bene che vada, è sopportato?”. Gli “ingrati” operai degli stabilimenti Fiat si facciano a questo punto un bell'esame di coscienza e valutino con attenzione (per il bene loro… e di individui come Chiamparino e soci) le proposte degli stessi sindacati. A cominciare da quelle della Cisl che, con Bonanni, salta apertamente la trincea di un inutile e infruttuoso antagonismo e chiede l’introduzione di forme di partecipazione dei lavoratori nell’indirizzo e nel controllo della produzione. E magari anche poteri decisionali… per assicurare adeguati profitti alla finalmente concretizzata unità fra capitale e lavoro… La crisi - la borghesia lo afferma anche se con qualche certezza in meno - si dovrebbe superare con la “partecipazione di tutti”, e quindi anche i lavoratori si assumano consapevolezza e responsabilità! Figuratevi la gioia di Sacconi, ministro del “Welfare che non c’è più”: eccolo volare alto nei cieli della partecipazione dei lavoratori agli utili aziendali. Perciò, basta con gli incentivi pubblici (che in verità servono alle consorterie ministeriali per i propri affari privati, come dimostrano le tante mani immerse nei vasi di marmellata e scoperte da qualche magistrato “eversivo”…) e avanti con la disponibilità dei lavoratori sia ad una maggiore produttività sia a qualche sacrificio in più. Cosa non si farebbe per la salvaguardia dell’economia nazionale e la conservazione del capitale!

DC

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.