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Il mondo del lavoro salariato spinto nell'inferno del più feroce sfruttamento
Tutto era prevedibile. La crisi del settore metalmeccanico, all'interno della crisi dell'intero sistema capitalistico, alla ricerca del profitto perduto, sta imponendo l'unica legge possibile alla sopravvivenza del capitale: più sfruttamento per il mondo del lavoro, meno garanzie contrattuali e minori salari.
A dettare la linea è stata la Fiat di Marchionne con la vertenza di Pomigliano. O si accettano le condizioni imposte dalla necessità aziendali o si chiude per andare da qualsiasi altra parte. Niente investimenti, niente occupazione. O il proletariato metalmeccanico accetta di lavorare a salari e a condizioni lavorative di Serbia, Polonia ecc. oppure la produzione migra là dove il costo del lavoro è minore e le tutele sindacali sono nulle o quasi (per quanto siano già deboli in Italia).
Indicata la strada, peraltro scontata, la Federmeccanica ha seguito immediatamente l'esempio. La disdetta dell'accordo nazionale del 2008 è praticamente cosa fatta. L'obiettivo è quello di cancellare anche quelle poche (residue) garanzie sindacali per avere mano libera nei contratti settoriali dove i rapporti di forza tra l'impresa e i lavoratori sono ancora più a favore della prima. In concreto, occorre ripulire il campo da tutti quei vincoli giuridici e normativi che ostacolano la ripresa dei profitti aziendali, spogliando la forza lavoro di ogni garanzia a tutela del posto di lavoro: una sorta di “nuovo patto sociale” in cui la variabile lavoro sia alle assolute dipendenze del capitale.
Il che significa potenziamento della precarietà, salari più bassi, allungamento della giornata lavorativa, più mano libera nei licenziamenti, flessibilità dell'orario lavorativo a seconda delle esigenze produttive, rinuncia agli aumenti salariali e agganciamento del salario stesso alla produttività dell'azienda e, ciliegina sulla torta, giro di vite sul “diritto” di sciopero. Il tutto senza ostacoli di sorta perché il capitale ha bisogno, oltre al super sfruttamento della forza lavoro, del suo totale asservimento: oltre alla braccia, ne vuole l'anima.
All'interno di questo quadro, letteralmente devastante per i lavoratori, i sindacati hanno, come al solito, dato prova del loro senso di responsabilità, ovviamente a favore del capitale, accettando le necessità imposte dalla crisi, facendosi paladini della linea Marchionne-Confindustria-Federmeccanica, quale unica strada possibile da percorrere. L'unica voce fuori dal coro è quella della Cgil-Fiom. “Bene, almeno qualcuno si oppone”. Nemmeno per idea. Epifani e company ciurlano ancora una volta nel manico per non perdere del tutto quella poca credibilità che ancora hanno all'interno del mondo del lavoro. Al dunque, la loro strategia è quella di non toccare il contratto nazionale, di non concedere le trattative di settore ma di trattare le eventuali deroghe ai contratti all'interno di quello nazionale. In altri termini Cgil e Fiom sono disponibili all'ennesima politica dei sacrifici, imposta dalla crisi, senza toccare il contratto nazionale ma trovando al suo interno tutte le soluzioni (deroghe) funzionali alle necessità volute dal capitale. È come pretendere di salvare la forma (faccia) dell'involucro, acconsentendo però a modificarne completamente il contenuto.
Intanto, e questo è l'aspetto più preoccupante, le sirene della lotta di classe tacciono o suonano sommessamente. Ma il peggio sta arrivando proprio adesso. I morsi feroci della crisi devono ancora affondare più profondante nelle carni dei lavoratori, metalmeccanici e non. La via della ripresa economica, se e quando ci sarà, si proporrà come il solito contenitore di lacrime e sangue sotto forma di disoccupazione, di maggiore sfruttamento per chi ha la “fortuna” di avere un posto di lavoro anche se precario, di pensioni che si allontanano, di giovani che non riescono ad entrare nel mondo del lavoro. Solo questo può dare il capitalismo. Prima la crisi con le sue devastazioni sociali fatte di fame e miseria per milioni di proletari, poi i tentativi di ripresa del sistema economico capitalistico, che, per essere efficaci, devono ulteriormente mettere il mondo del lavoro nell'inferno del più feroce sfruttamento, riducendo al minimo - o spazzando via - le già precarie barriere difensive, usando i sindacati come strumento di condizionamento borghese in campo proletario, mettendo i lavoratori gli uni contro gli altri. I precari contro i garantiti, i disoccupati contro gli interinali, i giovani contro gli anziani, quelli nazionali contro gli stranieri, facendo della guerra tra i poveri il terreno di coltura dei germogli di una nuovo modello di sviluppo che, per i Marchionne e i dirigenti di Federmeccanica di turno, sarebbe sinonimo di progresso economico e sviluppo sociale.
Le sirene della lotta di classe non si odono ancora, ma quando torneranno a far sentire la loro voce,
occorre che l'avanguardia politica abbia la forza di inserire all'interno delle sacrosante rivendicazioni economiche, un rinnovato senso dell'alternativa sociale. A questa società capitalista non solo non bisogna concedere le opportunità di scaricare il peso della crisi sulle spalle di chi lavora, ma occorre iniziare il cammino rivoluzionario verso la costruzione di una società basata su di un nuovo modo di produrre e distribuire ricchezza sociale. Non più basata, come nel capitalismo, sul profitto, sull'iniquo rapporto tra capitale lavoro, ma sulle necessità sociali, di chi lavora e produce. Una alternativa sociale, il comunismo, che riprenda l'esperienza della rivoluzione d'Ottobre depurandola dalla feroce dittatura dello stalinismo, che, una volta eliminata l'opposizione di classe, ha contrabbandato il capitalismo di Stato per comunismo.
FD, 2010-09-11Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #10
Ottobre 2010
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