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Home ›L'incerto futuro degli operai Fincantieri
Tra amorazzi sindacal-padronali e speculazioni politicantesche
L'articolo che segue era già stato scritto, quando è arrivata la notizia del suicidio di un operaio di una ditta appaltatrice di Fincantieri a Castellammare di Stabia. Da mesi era disoccupato e lo sconforto lo ha sopraffatto. Nonostante Finmeccanica si sia affrettata a specificare che non era un suo dipendente diretto, anche questa morte, una morte-omicidio di classe, va ascritta alla direzione aziendale, ai politicanti che le reggono il sacco, alla complicità sindacale, in una parola, al sistema borghese. Ai suoi cari, ai suoi compagni di lavoro va la nostra solidarietà di comunisti internazionalisti.
Sarà anche finita, la crisi, ma di certo la classe operaia ancora non se n'è accorta, né, presumibilmente, se ne accorgerà per un po' di tempo. La cassa integrazione continua a viaggiare su livelli elevati, la disoccupazione non scende e, se scende, è solo perché sono messi in atto trucchi statistici, come quello di non conteggiare i cosiddetti scoraggiati, cioè coloro - e sono una marea - che ormai smettono di cercare un posto di lavoro, perché disperano di trovarlo. Per non parlare della minaccia di chiusura degli stabilimenti che incombe su migliaia e migliaia di lavoratori, ma anche questo fa notizia solo se gli operai mettono in atto azioni clamorose, dal punto di vista mediatico, o se sono interessati grossi centri produttivi. È il caso dello “scoop” realizzato da Repubblica il 18 settembre scorso, col quale si svela ciò che le maestranze di Fincantieri (costruzioni navali, al 100% di proprietà statale) intuivano da tempo, ossia un progetto di radicale ristrutturazione degli impianti italiani, a beneficio della filiale statunitense dell'impresa. Il piano prevedeva, infatti, la chiusura dei siti di Castellammare di Stabia e di Riva Trigoso, il dimezzamento di Sestri Ponente, la cassa integrazione a zero ore per un anno nei cantieri di Palermo. In tutto, i posti di lavoro diretti cancellati erano 2450, ma con l'indotto la cifra saliva di parecchio. Nel piano “segreto” di Fincantieri si prospettava, è vero, la dismissione “morbida” di migliaia di proletari tramite prepensionamenti, mobilità ecc., ma, a parte il fatto che gli ammortizzatori sociali sarebbero pagati - come sempre - dall'insieme della classe operaia, sarebbero rimasti fuori gli operai indiretti (appalto, indotto) e, in ogni caso, la chiusura sarebbe uno tsunami sociale che si abbatterebbe su di un proletariato già duramente provato dalla crisi e da decenni di ristrutturazioni industriali, che hanno desertificato economicamente territori interi, spianando la strada, al Sud, alla borghesia delle varie mafie.
È il tracollo delle attività economiche legate alle navi da crociera che ci costringe a ventilare radicali tagli di personale, se si vuol salvare il salvabile: diceva (o pensa...) la direzione di Fincantieri. Che il settore crocieristico stia subendo, forse più di altri comparti industriali, gli effetti negativi della crisi è un dato di fatto: di questi tempi, generi “voluttuari” come le crociere sono i primi a risentirne. Ma quando le imprese cantieristiche marciavano a pieno ritmo, ovviamente non si sognavano nemmeno di ridistribuire, neanche in parte, i profitti ai lavoratori, al contrario, chiedevano loro di moderare le richieste salariali, di tendere anima e corpo allo spasimo per accrescere la famigerata produttività; in breve, si chiedevano sacrifici affinché l'azienda non perdesse le opportunità offerte dai “mercati”. Ma siccome la classe operaia era troppo mollacciona per vincere le battaglie della concorrenza internazionale, ecco i cantieri navali popolarsi di operai immigrati costretti a lavorare a condizioni decisamente peggiori sotto ogni punto di vista. È risaputo che, almeno in certi cantieri come a Mestre-Marghera o Monfalcone, i dipendenti diretti di Fincantieri sono stati ampiamente superati da quelli delle ditte appaltatrici, in genere immigrati dall'Est europeo o dal Nord Africa.
Tuttavia, i livelli pazzeschi di sfruttamento, alias produttività, non sono riusciti a preservare, appunto, la cantieristica dalla caduta verticale degli ordinativi e, di conseguenza, la sua forza-lavoro dallo spettro del licenziamento di massa.
Tra gli effetti collaterali della crisi c’è lo sbugiardamento di una classe politica miserabile (niente di nuovo sotto il sole) che, per esempio in Campania, ha speculato sulla paura degli operai per farsi mettere sulle poltrone del potere locale, facendo promesse che sapeva di non mantenere, trincerandosi dietro il silenzio e le cariche delle forze dell’ordine borghese, guardie armate di parassiti, lenoni, sfruttatori e bastonatrici di proletari. D’altra parte, è una classe politica - locale e nazionale - che ha ben poco da offrire al proletariato, oltre alle chiacchiere e al bastone, perché, con la crisi, di carote, nel magazzino del riformismo, ne sono rimaste ben poche. Prodiga di parole, dunque, ma restia a mantenere gli impegni, tutto sommato lievi, che essa stessa aveva sottoscritto: detto in altri termini, a tirare fuori i soldi per finanziare gli accordi stipulati. Era stato lo smemorato di Collegno - il fu ministro Scajola - ad assicurare, nel dicembre 2009, la continuità produttiva degli stabilimenti, inquadrati nel mirino della strategia aziendale, ma il denaro annunciato evidentemente s’era perso per strada. Presa dunque in contropiede dal servizio di Repubblica (la strategia antioperaia, probabilmente, non era ancora stata messa a punto), Finmeccanica, nell’incontro congiunto coi sindacati il 27 settembre, ha detto che non alzerà la falce su Riva Trigoso, né su Castellammare di Stabia, ma, a leggere bene il comunicato uscito dalla riunione, la direzione aziendale non ha escluso le soluzioni più drastiche, al contrario: tutto dipenderà dall’evoluzione delle commesse. Siccome però, come si è accennato, gli ordinativi nella cantieristica a livello mondiale sono diminuiti fino all’80%, è possibile che il temporale si sia solo allontanato, ma non dissolto.
Ancora una volta, dunque, in assenza di una vera ripresa, lo stato dovrebbe intervenire con investimenti ben più massicci di quelli promessi, a riprova che, nella nostra epoca “neoliberista”, il capitalismo di stato continua a giocare un ruolo fondamentale ossia che senza l’intervento dello stato il capitalismo farebbe ancora più fatica ad amministrare le proprie contraddizioni. Non è detto, dunque, che di qui a qualche mese Finmeccanica non ritenti il colpo, magari proponendo il solito scambio ossia difesa (anche parziale) dei posti di lavoro contro maggiore produttività, cioè un altro passo verso le condizioni di lavoro cui è sottomessa la classe operaia immigrata: tante ore, poco salario, poca sicurezza e briglie sciolte al comando padronale. Il “signorsì” di Cisl e UIL è scontato, ma anche la ritrosetta CGIL si sta stancando di fare la faccia imbronciata al padronato: non per niente, Emma e Guglielmo si sono scambiati cortesie al convegno di Confindustria del 25 settembre, a due passi dai cantieri liguri. Chissà che molto presto non tornino a sussurrarsi, come un tempo, “I love you”.
CBBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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Ottobre 2010
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