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Home ›Le politiche razziste della Lega Nord
Grande la confusione, sopra e sotto il cielo di pari passo con la crisi che inarrestabile continua la sua marcia. Quale miglior terreno fertile per tutte quelle forze reazionarie che, ben prezzolate dal capitale, hanno tra i loro compiti l'indicare ai proletari nell'immigrato il nemico da combattere per sopravvivere alla crisi stessa? Proprio di questi giorni (primi di maggio) è l'annuncio di Maroni del respingimento di altri 240 immigrati rispediti a Tripoli, seguito dalla nota che il governo continuerà su quella che chiama la strada della “fermezza”. Del resto, lo stesso Berlusconi ha affermato che il governo non vuole un'Italia multirazziale.
Vale la pena sottolineare che sui barconi viaggia solo una minima parte dei migranti, il 13% secondo dati del ministero dell'interno. Da loro però arriva metà delle domande complessive di asilo politico. Infatti sono costretti a queste traversate disperate quelli che non possono ottenere un visto d'ingresso per turismo o altro, dato che spesso si tratta di perseguitati o profughi. Insomma, il governo ha preso di mira i più disgraziati tra i disgraziati, sfruttando peraltro un meccanismo disumano - quello dei respingimenti - introdotto dalla legge Turco-Napolitano varata dal centro-sinistra.
Quanto alla Lega in particolare, anche se raccoglie non pochi voti operai, essa era e rimane l'espressione politica di settori della piccola e media borghesia del Nord, che in molte delle loro piccole e medie imprese, specie nel Nordest, sfruttano migliaia di immigrati, sottopagati o in nero perché ricattabili con la minaccia della revoca del permesso di soggiorno.
Ora, però, la Lega Nord punta in alto come si evince dalle dichiarazioni dei suoi leader, sgrossandosi ma non del tutto da quel provincialismo che la caratterizzava come forza esclusivamente regionale. Inoltre il Carroccio cerca di trascinare le sue ruote fino al Sud, ponendosi in concorrenza, in regioni come l'Abruzzo, con lo stesso Popolo delle Libertà. Tenendo furbamente su molte questioni il piede in due scarpe, Alessandri, presidente federale della Lega, ha affermato:
“Se dobbiamo rappresentare le ragioni sociali, diventiamo più a sinistra della sinistra; se invece dobbiamo batterci per quelle identitarie, siamo più a destra della destra.”
Populismo e promesse da una parte, identitarismo celtico-padano dall'altra. La ricetta sembra sempre attuale: lisciare il pelo ai meno abbienti e portare questi a identificarsi non come classe, bensì col territorio su cui vivono (in chiave nazionalista o regionalista, non importa). Cosa si può offrire di meglio in pasto a quelle frange di proletariato che, private già da decenni dopo il crollo dell'Urss della fiducia in un'alternativa, vedono nel capitalismo un dato di fatto, l'unico orizzonte “naturalmente” possibile e che, ai primi albori di una crisi, si gettano tra le braccia di chi gli dice all'orecchio: “Abdul ti frega il lavoro”? Oggi in pochi percepiscono la sicurezza come certezza di un reddito, di una casa, di un'istruzione accessibile per i propri figli. Nessuno scatena pogrom e ronde contro i padroni, nonostante ogni giorno siano responsabili della morte di tanti padri di famiglia sul lavoro. Eppure basta che a rendersi responsabili di episodi di cronaca siano immigrati, e la rabbia esplode: mai verso l'alto, sempre verso il basso o all'interno dello stesso livello della scala sociale. E a farne le spese, ovviamente, non sono i responsabili del fatto di cronaca in sé, ma tutti gli esponenti di una data comunità etnica, come i rom, per esempio. La cosa è tanto più grave, in quanto questa rabbia “spontanea” è incoraggiata dall'alto con proposte becere, come quella della costituzione di ronde o quella di negare assistenza sanitaria e scuola ai clandestini, denunciandoli. Già negli anni 1990 la Lega aveva patrocinato le prime ronde, ma ora può lanciarle in grande stile, magari affiancata da altre organizzazioni razziste come Forza Nuova con cui già da anni le squadracce di Volontari Padani vanno a braccetto. E pensare che ai tempi del primo governo Berlusconi nel 1994, uno schifiltoso Bossi tuonava: “coi fascisti al governo mai!”. Eppure come si può definire se non fascista la misura di prendere le impronte ai figli dei rom? La paranoia leghista anti-immgrazione raggiunge poi livelli tra il patologico e il grottesco quando dà voce a istanze a tutela di tutto ciò che è “made in Italy” contro le presunte minacce di contaminazione che vengono da fuori: in altre parole, più casseoula, meno kebab. Ridicolaggini alle quali però in periodi di crisi, di incognite per il futuro e di mancanza di riferimenti di classe, un proletario disorientato può abboccare. La crisi e l'insicurezza sociale hanno un'unica matrice, quella capitalistica: è a causa dello stesso capitalismo che milioni di persone, che dallo stesso sono state depredate a casa loro, salpano per venire a “godere” almeno degli avanzi, delle briciole e degli ossi elargiti dal sistema, che ormai stanno cominciando a scarseggiare. Invece di azzannarci con loro come cani, noi proletari italiani dovremmo almeno iniziare a ringhiare contro il padrone che, insieme a loro, ci tiene avvinti alla catena.
ibBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #6
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