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Home ›Il crollo della sterlina: il fronte inglese della crisi economica
Nei primi giorni di febbraio 2009 la Banca d’Inghilterra ha abbassato il tasso di sconto all’un percento, una cifra che i sudditi di sua Maestà britannica non vedevano addirittura dal 1694. Oltre tre secolo son quindi passati prima di avere di nuovo tassi d’interessi così bassi. La storica decisione della Bank Of England è stata con tutta evidenza determinata dalla gravissima crisi che sta mettendo in ginocchio l’intera economia capitalistica su scala internazionale, e tale ulteriore taglio al tasso di sconto è stato fatto con l’intento di rilanciare l’asfittica economia inglese che più di altre sembra soffrire i morsi della crisi.
Quando nell’estate del 2007 si è manifestata in tutta la sua virulenza la crisi sui mercati finanziari mondiali, in conseguenza dello scoppio bolla speculativa dei mutui subprime statunitensi, economisti e politici borghesi si erano affannati nel tranquillizzare gli investitori che temevano di perdere i propri risparmi; per lor signori si trattava in definitiva della solita raddrizzata tipica dei mercati finanziari che, dopo gli anni dell’euforia, inevitabilmente devono reintrodurre elementi di razionalità nella gestione dei risparmi. Nulla era da temere in quanto gli indicatori dell’economia reale puntavano tutti verso l’alto e nelle previsioni iniziali con la seconda metà del 2008 i mercati avrebbero ritrovato l’equilibrio necessario tanto che la crisi determinata dai mutui subprime sarebbe passata presto nel dimenticatoio. Mai profezia è stata smentita così clamorosamente dalla dura legge della realtà; il capitalismo su scala globale sta vivendo infatti una delle più gravi crisi della sua secolare storia. Sicuramente è la più grave crisi che ha colpito il capitalismo nella sua maturità e che sta ponendo all’ordine del giorno un completo capovolgimento nelle vecchie gerarchie imperialistiche che finora hanno governato il mondo.
Questa è una crisi che necessariamente sposterà gli equilibri consolidatisi nello scacchiere imperialistico negli ultimi 60 anni, dopo la chiusura del secondo conflitto mondiale. Se l’epicentro della crisi è Wall Street e l’economia statunitense, chi sta pagando un prezzo altissimo a questa crisi è l’economia inglese che più di ogni altra a livello mondiale è legata a quella americana, non solo per tradizione storica ma anche per scelte strategiche operate dalla borghesia britannica. Senza voler rifare in questa sede la storia economica della Gran Bretagna degli ultimi decenni, per comprendere l’attuale crisi economica inglese che ha determinato il crollo della sterlina nei confronti del dollaro e soprattutto dell’euro, è opportuno ricordare come la politica economica statunitense e quella inglese abbiano marciato di pari passo a partire dalla fine degli anni settanta. Fu in quel periodo che con l’ascesa al potere di Margaret Thatcher, si è avuta la svolta nella gestione della crisi del terzo ciclo d’accumulazione, con la completa liberalizzazione dei mercati finanziari. In pochissimo tempo Stati Uniti e Inghilterra, grazie al loro peso imperialistico e al ruolo giocato dal dollaro e in parte anche dalla sterlina, si sono posti al centro del sistema che ha fatto della produzione del capitale fittizio la leva per sostenere i processi d’accumulazione del capitale, messi in difficoltà a causa della caduta dei saggi di profitto nei settori industriali. Per oltre 30 anni l’economia inglese ha tratto quasi gli stessi vantaggi imperialistici degli Stati Uniti, sia in relazione alla rendita petrolifera sia per il ruolo giocato dalla piazza borsistica londinese, una sorta di Wall Street europea. Nell’arco di questi tre decenni le scelte di politica economica del governo britannico e americano sono state identiche, e stesso tenore si può osservare in quelle politiche e militari. Grazie alla presenza del petrolio a largo del Mare del Nord l’Inghilterra ha tratto enormi vantaggi dalla scelta strategica statunitense di imporre il proprio dominio imperialistico nella gestione del prezzo dell’oro nero, tanto che in tutte le guerre per la gestione del petrolio Stati Uniti e Inghilterra sono stati i più solerti a impugnare le armi. Stessa identità d’interessi è possibile coglierla nel processo di trasformazione delle due economie a partire dalla fine degli anni settanta, quando interi settori industriali sono stati abbandonati per privilegiare le attività finanziarie. Tutto questo è stato possibile grazie al ruolo imperialistico giocato dal dollaro e in misura minore dalla sterlina, che pur non svolgendo più la funzione di moneta guida nel panorama mondiale ha mantenuto in questi ultimi decenni un ruolo di primo piano nel contesto monetario internazionale.
Per la sterlina e in generale l’economia inglese un primo importante contraccolpo negativo è stato l’apparire sui mercati monetari mondiale della nuova moneta europea, l’euro, che di fatto ha reso la vecchia sterlina una moneta con una base economica troppo ristretta per sostenere con qualche probabilità di vittoria la lotta per il dominio dei mercati valutari. L’euro ha dato un'ulteriore spallata al traballante potere della sterlina sui mercati valutari del vecchio continente, ponendo nel medio e lungo periodo la borghesia britannica di fronte alla scelta di entrare o meno nell’Unione Monetaria Europea oppure continuare a vivere all’ombra del potere del dollaro ancora per qualche tempo. La crisi che sta imperversando globalmente sul capitalismo internazionale ha accelerato questo processo e non è proprio un caso che proprio con il primo manifestarsi della crisi la sterlina sia clamorosamente colata a picco, svalutandosi in pochi mesi rispetto all’euro di oltre il trenta percento. Per comprendere le conseguenze di tale svalutazione si consideri che a causa di tale svalutazione il reddito pro capite inglese è diminuito del 35% nel corso del 2008, tanto che gli italiani sono diventati, grazie alle disgrazie altrui, più ricchi degli inglesi in termini di reddito pro capite. È in momenti di crisi come l’attuale che s’inasprisce la concorrenza imperialistica per la spartizione della rendita finanziaria. Per la borghesia britannica è ormai tempo di fare delle scelte di campo ben precise: aderire all’euro o andare avanti con la propria autonomia monetaria, legando ancor di più la sterlina al dollaro. A prescindere dalla decisione finale della borghesia inglese a pagare le maggiori conseguenze di tale scelta sarà come sempre il proletariato, che sarà costretto a subire un ulteriore e pesantissimo attacco alle già precarie condizioni di vita e di lavoro.
lpBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #2
Febbraio-marzo 2009
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