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Home ›Gli affari finanziari dell’islam
Nella “finanza etica” c’é posto per tutti
Nonostante la rivelazione fatta da Allah a Maometto:
O voi che credete! Temete Dio! Rinunciate, se siete dei credenti, a ciò che vi resta dei profitti dell’usura. Se vi pentirete, avrete salvo il vostro capitale
Sura II, 279
... come resistere alla tentazione di un buon affare, visto che il capitale (in dollari o in euro) abbonda fra le classi al potere nel Golfo Persico, dove i rincari del petrolio dal 2002 in poi avrebbero portato nelle loro casse 300 mld di dollari più del previsto? Cifre da capogiro che - secondo il Fmi - vanno ad ingrossare la massa dei capitali che nel mondo faticano a trovare investimenti redditizi. Tornando ad Allah e secondo i dettami del Profeta, il rifiuto di usura (riba), interesse e monopolio, viene oggi facilmente aggirato.
All’ombra della shariah, la legge islamica, prosperano quindi affari finanziari da capogiro anche in quell’Arabia Saudita che figura come culla dell’Islam e patria dell’ideologia wahhabita puritana. Il Clemente e Misericordioso Allah è pronto al perdono in cambio di qualche lauta beneficenza: la zahat prescritta dal Corano che, come tassa, risparmiava la vita a cristiani ed ebrei in tempi antichi. (Anche il suicidio sarebbe nel Corano un peccato mortale, ma nella sua forma “attiva” - cioè esplosiva e con il contorno di vittime inermi - è oggi il distintivo del martire e il passaporto immediato per il Paradiso islamico.)
Dunque, gli affari sono affari; il sacro e il profano possono anche convivere, soprattutto quando l’americana Citibank, la più grande banca islamica al mondo, registra transazioni finanziarie per 6 mld di dollari; la saudita Bank Alijazira vanta entrate per circa 80 mln di dollari e la filiale turca della Hsbc ha accresciuto i crediti alle imprese da 50 mln di dollari nel 2001 a 438 mln nel 2004. Dunque, ben venga il profitto poiché - conclude il mufti d’Egitto:
nessun versetto del Corano o detto della Sunna lo vieta.
Non è forse questo l’insegnamento fornitoci in casa nostra anche da Santa Romana Chiesa e dalla finanza cattolica? Con il beneplacito di Allah, dunque, la finanza cosiddetta islamica sta conquistando i mercati finanziari internazionali a 40 anni dall’idea messa in atto da uno dei figli del re Kahled dell’Arabia Saudita, seguendo i principi etici della Shariah e quindi prendendo le distanze, ma non troppo, da attività proibite: armi, consumo di carne di maiale e di alcool (solo in paradiso scorreranno fiumi di vino...), pornografia, gioco d’azzardo e altre peccaminose abitudini degli infedeli. Con i quali però si aprono joint venture, e altro, purché diano utili per “lo sviluppo del Medio Oriente”: via libera alle obbligazioni a riscatto, mutui casa, leasing, fondi comuni, carte di credito, ecc. Gli specialisti della shariah garantiscono il rispetto della legge coranica, per cui, vista la crescita della Finanza Islamica a ritmi del 15% annuo, le maggiori Banche mondiali d’Occidente si danno da fare con le consorelle banche del Libano, Egitto, Siria, Marocco, Tunisia, Sudan, Emirati Arabi, Dubai e Iraq (liberato e democratizzato). Pari opportunità, dunque, per i finanzieri di ogni fede religiosa. Oggi anche il trasferimento automatico di fondi si fa interessante, visti i flussi di rimesse degli immigranti arabi in Italia, gestiti dalla Western Union. La quale - i radical-riformisti s’indignano - pretende commissioni “esose” dal 6 all’8%, che invece, anche con un solo punto percentuale in meno, potrebbero fare gli interessi dei nostri banchieri nazionali e in fondo degli stessi clienti (arabi, africani, cinesi, sud-americani, ecc.) trattandoli con maggior riguardo... Intanto il Giappone, in collaborazione con la Malesia, si fa avanti con la Jbic (Banca di cooperazione internazionale) per il lancio di obbligazioni coraniche (sukuks) per un valore tra i 300 e i 500 mln di dollari e rispettose del diritto islamico: nessun tasso di interesse ma una rendita derivata dagli investimenti e con recupero, dopo cinque anni, della somma versata inizialmente.
Dopo tutto, questo è anche il programma della finanza equa e solidale, al quale si aggrappa la “sinistra“ alla ricerca di “nuovi principi e valori capaci di attivare il consenso culturale”. Quello piccolo borghese, o meglio del “nuovo soggetto politico” che dovrebbe accomunare sfruttati e sfruttatori, proletari e banchieri, imprenditori, azionisti e commercianti, purché l’abbraccio solidale trovi un clima di maggior comprensione economica ed educazione civile: spirito del capitalismo onesto, se ci sei batti un colpo, in Occidente e in Oriente!
dcBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #10
Ottobre 2006
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