Un uragano s'abbatte sulla spesa sociale - Facciamo i conti di quanto ci costa la crisi del capitalismo

I dati nel V rapporto della SPI CGIL sul welfare locale confermano ciò che percepiamo quotidianamente nella nostra vita lavorativa: stiamo vivendo un trend di riduzione della spesa sociale.

La spesa sociale pro capite che nel 2002 era di 168 euro è stata ridotta nel 2003 a 162 euro. La riduzione, come vedremo, mette in evidenza una forte differenza tra il nord ed il sud del paese cosicché nel meridione i tagli arrivano al 20%.

Cerchiamo di spiegare che cosa è accaduto: con la riforma del titolo V della costituzione che ha introdotto il federalismo e la competenza legislativa esclusiva in materia di assistenza alle regioni e con la legge quadro 328 che disciplina il sistema integrato di interventi e servizi sociali, lo stato si è disimpegnato dal finanziamento e dalla gestione diretti della spesa sociale.

Allo stato centrale spetta oggi solamente la definizione dei livelli sociali essenziali (Liveas) ai quali i servizi erogati devono attendere ed il finanziamento del fondo nazionale della politiche sociali finalizzato a cofinanziare interventi di promozione sociale.

Il tavolo tecnico per la definizione dei livelli non si riunisce dal novembre 2003 mentre il fondo nazionale è passato da 1.300 milioni di euro del 1997 a 1.000 milioni nel 2004. La legge 328 ha visto invece passare i suoi fondi da 1,53 miliardi di euro del 2003 a 1,22 del 2004.

Riguardo il finanziamento agli interventi sociali delle regioni, che al 2005 si trovano scoperte per 504 milioni di euro (soldi che ancora devono arrivare), Vasco Errani, presidente della conferenza delle regioni, il 19 ottobre ( regioni.it ) al termine di una riunione con il governo ha dichiarato che non solo è confermato un taglio di 500 milioni del fondo nazionale per le politiche sociali per il 2005 (50%) ma il trend dei tagli è confermato fino al 2008.

È almeno dal 2002 che lo stato sta riducendo i trasferimenti agli enti locali i quali, per fare fronte alle minori entrate da trasferimenti hanno dovuto incrementare le entrate tributarie (tassazione dei cittadini che nel 2003 ha visto un incremento dell’11%) e che in generale è passata dai 416 euro pro capite del 2000 ai 574 del 2003.

Maggiore pressione tributaria per fare fronte ai minori trasferimenti. Questo meccanismo ha portato con sé almeno due profonde contraddizioni, la prima è che la situazione occupazionale e di ricchezza nel nostro paese non è omogenea, così è stato ancora una volta il sud (con un entrata tributaria di 385 euro pro-capite rispetto ai 650 del nord) ad essere ulteriormente penalizzato ed a dovere ridurre del 20% l’erogazione di spesa sociale per fare fronte alle minori entrate.

Ad oggi vige infatti la simpatica logica che l’erogazione della spesa sociale, nell’autonomia finanziaria delle regioni, non dipende dal bisogno reale ma dalla disponibilità di cassa degli enti. In una parola le regioni più ricche hanno maggiori entrate e possono mantenere i livelli di erogazione di servizi precedenti, quelle più povere, con meno entrate, non possono che iniziare a vedere dove tagliare. Lo stesso meccanismo si ripresenta tra piccoli comuni e capoluoghi laddove i capoluoghi possono ridurre lo stato sociale allargato (sport, cultura, spettacolo...) toccando meno l’assistenza alla persona mentre i piccoli comuni devono decidere tra assistenza alla persona ed... illuminazione delle strade.

La seconda contraddizione è invece che ora gli enti locali dovranno decidere se tagliare i fondi sociali andando a penalizzare i proletari che di tali servizi usufruiscono così come quelli che vi lavorano oppure aumentare la pressione fiscale andando a colpire il, già di per se abbastanza colpito, potere d’acquisto delle famiglie ancora una volta proletarie. Non è un mistero per nessuno infatti che essendo la società divisa in classi è ai borghesi che vengono tagliate le tasse e concessi finanziamenti mentre siamo noi proletari che in un modo o nell’altro ci dobbiamo sobbarcare i costi della crisi.

A giustificare poi la ridotta erogazione di fondi si va ad aggiungere un “patto di stabilità” economica (e di instabilità sociale) che prevede numerosi vincoli alle spese correnti e che spesso viene sbandierato come alibi da amministratori molto zelanti quando si tratta di trovare giustificazioni, un po’ meno quando si tratta di individuare responsabilità.

Per quanto riguarda il nostro futuro la finanziaria 2006 nella sua prima presentazione prevedeva un taglio alla spesa corrente degli enti locali del 6,7% che si andrebbe a tradurre in un taglio alla spesa sociale tra il 10 ed il 30% ma tocca aspettare la sua stesura definitiva per avere dei dati certi.

Il rapporto conclude sostenendo che il 2005 è l’anno nero per le politiche di contrasto alla povertà ed all’esclusione sociale. Rispetto all’anno precedente le famiglie hanno perduto contributi per circa 700 milioni di euro (assegni familiari, contributo per la prima casa, fondo sociale per gli affitti...), ai quali andranno aggiunti i tagli al fondo nazionale di cui sopra.

Nel 2004 1/3 delle città capoluogo aveva già tagliato la spesa sociale, il 70% al sud. Veltroni il 29 settembre ha sostenuto che a fronte del prossimo taglio di 312 milioni di euro alla spesa corrente del comune di Roma (30% del bilancio) sarà costretto a tagliare... di tutto.

Insomma questa è grosso modo la situazione che la attuale crisi economica ci porge come dessert dopo anni di portate principali nelle quali ci avevano abituato a scordarci il posto fisso, le pensioni, a farci sfruttare in silenzio in attesa di un futuro migliore... e sullo sfondo di un simile banchetto si levano i fumi delle periferie francesi che stanno bruciando a causa dell’esclusione sociale e dell’emarginazione alla quale la “pianificazione” economica del capitale le ha sottoposte, la stessa pianificazione che ha lasciato che le splendida New Orleans venisse spazzata via perché i costi di manutenzione degli argini erano troppo onerosi. Sono tanti piccoli segnali di un sistema in decadenza rispetto al quale noi come lavoratori del sociale e come proletari rappresentiamo l’alternativa storica, nelle lotte che dovremo mettere in campo per arginare questo uragano, insieme a tutti gli altri settori proletari che sono sottoposti alle medesime condizioni, così come nel coraggio che dovremo avere nel proporre un modello di società altra.

mr

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.