Il Likud si spacca, il falco Sharon dà vita a Kadima il nuovo partito di centro

Sotto la spinta dell'imperialismo Usa si rompono gli equilibri politici in Israele

La montagna ha partorito il topolino? Sembrerebbe proprio di no, la rottura di Sharon con il Likud, partito che egli stesso ha contribuito a costituire nel 73, è sì il frutto di una profonda polemica interna alla destra israeliana, ma è anche la premessa per una nuova strategia che interessa il futuro d’Israele e la permanenza degli Usa nell’intero settore medio orientale.

Formalmente la crisi che ha portato Sharon a fare lo storico passo di dare vita ad un partito centrista, nasce dalla decisione di abbandonare gli insediamenti della striscia di Gaza e di quattro colonie in Cisgiordania, decisione che ha visto la strenua opposizione della destra del suo stesso partito e dei partiti religiosi ultra ortodossi, e che è stata vissuta da questi ultimi come un vero e proprio tradimento. Nei fatti la crisi ha avuto più ampi contorni. Sharon, sotto la pressione del governo americano, che è arrivato a minacciare la riduzione dei finanzia-menti allo stato di Israele, si è confermato lo strumento degli interessi di Washington nella zona, pace (tanto necessaria all’imperialismo americano in questo periodo) in cambio di territori ai palestinesi, pur mantenendo quasi tutti gli insediamenti più importanti, in primis quelli della Cisgiordania, il controllo delle fonti idriche e dei territori più fertili, quali quelli inglobati dalla costruzione di oltre seicento chilometri di muro. Per Washington, sanare in qualche modo la questione palestinese è oggi di vitale importanza. Le vicende irachene, che continuano a promettere nulla di buono all’imperialismo americano, l’instabilità della Giordania, da sempre alleato fedele degli Usa, e anche per questo attraversata da opposizioni interne sempre più forti, la sempre meno affidabile Arabia saudita, hanno spinto il governo Bush a lanciare l’ennesima promessa, due popoli, due stati. Il tutto nel tentativo di ottenere nell’area un successo d’immagine, che gli manca da sempre, e di creare le condizioni perché, almeno in questa nevralgica zona del medio oriente, la pax americana possa esprimersi secondo le strategie programmate e ottenere quei successi sinora mancanti.

Mentre la destra del Likud e i piccoli partiti ultra ortodossi rimanevano ancorati alla cieca politica del tutto a Israele e niente ai palestinesi, mettendo pesantemente in crisi i rapporti con gli Usa, Sharon ha intelligentemente raccolto il messaggio, ha finto di dare qualcosa alla borghesia palestinese, ha concesso (amministrativamente) Gaza, per lasciare tutto il resto come prima. Ha assunto agli occhi dell’opinione pubblica interna ed internazionale il ruolo di uomo di pace e, soprattutto, ha rinsaldato i legami politici con l’amministrazione americana. Doveva impostare una strategia che gli consentisse di concedere poco per ottenere tanto, doveva scegliere tra i deboli e tradizionali alleati interni e il grande alleato esterno. Sharon la scelta l’ha fatta, netta, inevitabile, quasi scontata.

La mossa lo ha oltretutto rafforzato nell’immagine e nel ruolo politico, nell’immediato e in proiezione futura. Ed ecco nascere, apparentemente dal nulla Kadima, il nuovo partito. Le proiezioni lo danno già largamente in vantaggio nei confronti dei laburisti e dei rimasugli del Likud. Per le elezioni del prossimo marzo, i sondaggi ritengono che il neo nato partito di Sharon, certamente aiutato dai finanziamenti sotto banco provenienti da oltre oceano, coccolato dall’amministrazione Bush, politicamente elevato al ruolo di salvatore della pace, potrà facilmente arrivare a conquistare 33/35 seggi sui 120 disponibili nel parlamento israeliano, mentre ai laburisti ne andrebbero 28 e al Likud di Netanyahu solo 13. Se le cose andassero in questi termini, il gioco sarebbe fatto, e al meglio. Alle piccole cessioni territoriali corrisponderebbero significativi vantaggi sul terreno della coesione politica interna e del rinsaldamento dei rapporti con il governo americano.

Lo spostamento al centro di Sharon, la possibile alleanza con i laburisti del neo eletto segretario Peretz, lasciare al suo destino il partito del Likud, sta creando consensi anche tra la popolazione araba di Israele e simpatie da parte degli arabi dei territori occupati. La borghesia palestinese, guidata da abu Mazen, grida alla vittoria, scambiando la nuova strategia di Kadima come la strada maestra da percorrere per arrivare alla costituzione di uno stato palestinese con capitale Gerusalemme. Allo stato palestinese ci potrà anche arrivare, nei termini concordati dall’imperialismo americano e dall’ex falco Sharon che, per l’occasione, si è trasformato in colomba senza però rinunciare al becco e agli artigli da rapace. Oltre alla striscia di Gaza, potrà ottenere qualche territorio della Cisgiordania, ma mai si ritornerà alle frontiere del 67, perché questo è il prezzo che la borghesia palestinese deve pagare all’alleanza tra Sharon e il governo Bush. Il prezzo che deve pagare il proletariato palestinese è ancora più caro. Chiuso nella triplice morsa del grande imperialismo americano, del suo alleato israeliano, e ancora succube delle ambizioni, benché ridotte all’osso, della sua corrotta borghesia, non riesce ad uscire dalle secche di un miserabile nazionalismo. Mentre la sua borghesia potrà godere, forse, delle briciole che la pax americana lascerà sul tavolo delle trattative con l’alleato Sharon, per i proletari e sotto proletari di Gaza non ci sarà un futuro se non quello di continuare ad essere oggetto di brutale sfruttamento da parte delle due borghesie, quella autoctona e quella israeliana, esattamente come prima, peggio di prima se si considera la deriva della crisi economica internazionale.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.