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Home ›A Fallujah usate armi al fosforo
Finalmente trovate le armi di distruzione di massa, ma ad usarle erano gli Stati Uniti
Se non ci fosse da rimanere costernati di fronte alle ultime vicende della guerra in Iraq non sarebbe di certo fuori luogo scomodare i meccanismi teatrali della farsa o quelli ancor più complicati della psicologia criminale per dare una pur plausibile spiegazione agli orrori di cui stiamo venendo a conoscenza.
Ma come? Si scatena una guerra contro un dittatore sanguinario per due ordini di motivi: liberare la popolazione irachena dall’oppressione di Saddam Hussein e far fuori l’arsenale di armi di distruzione di massa, tra cui le armi biologiche e chimiche; si allestisce una coalizione di “volenterosi” formata dai sodali di sempre (USA e Inghilterra) e da sguatteri di complemento, si viene a capo di niente dopo lunghe e reiterate ricerche per poi scoprire, alla fine, che le armi di distruzione di massa esistevano, sì, ma erano state usate dai cosiddetti “liberatori”. Intendiamoci, nulla che non si sapesse o quanto meno non si immaginasse.
Le armi di distruzione di massa sono state usate sin dallo scoppio della guerra a Nassiriya nel 2003 così come nel novembre 2004 durante l’assedio di Fallujah. In Iraq viene testata una versione del Napalm, chiamato MK77, vengono sganciate migliaia di Cluster bombs e usati bombe e proiettili al fosforo bianco, vezzosamente chiamato Willy Pete. Vero è che quest’arma chimica non costituisce una esclusiva della macchina bellica americana poiché ad usarla per la prima volta nel 1860 sono i nazionalisti irlandesi nelle guerre contro gli inglesi che,a loro volta, impiantano fabbriche di bombe al fosforo bianco durante il primo macello mondiale. Lo stesso aggressivo chimico viene usato dall’Italia fascista in Etiopia e dalla aviazione nazista nel bombardamento su Guernica. Il massimo viene raggiunto coi bombardamenti aerei di Coventry, Dresda e Amburgo che mietono più vittime di Hiroshima e Nagasaki messe insieme.
Non si tratta certamente di disquisire sull’uso “primario” del fosforo bianco e sugli effetti secondari che esso produce. Non è questo che a noi interessa. A noi interessa, invece, rimarcare come le potenze imperialiste operanti in Iraq usino, in nome della loro “democrazia”, tali armi in totale dispregio delle Convenzioni da esse stesse firmate.
Tali armi sarebbero dovute essere bandite a voler quantomeno credere a quanto disposto dalla “Convenzione contro l’uso di sostanze incendiarie” del 1980 e da quella contro l’uso di armi chimiche alla quale gli USA hanno aderito nel 1997 ed invece, fatta salva ipocritamente la forma, nella pratica di guerra le cose hanno continuato come sempre se nel numero di marzo 2005 di “Field Artillery”, rivista ufficiale dell’artiglieria americana, tre militari che hanno partecipato alla battaglia di Fallujah raccontano con dovizia di particolari come le armi al fosforo bianco siano state usate contro obiettivi umani. Da notare che l’editore della rivista è l’esercito degli Stati Uniti.
Ed allora vien da chiedersi: perché tutto questo viene fuori solo ora? E perché proprio ora? Di certo è da un po’ di tempo che l’amministrazione Bush parla di “exit strategy” però, considerando il vero motivo per cui gli USA si sono imbarcati in questa avventura nonostante non abbiano ricevuto alcun mandato internazionale, siamo quanto meno scettici che tutto ciò possa aver a che fare con un riconoscimento tardivo della propria resipiscenza strategica.
Giocano senz’altro un ruolo non secondario fattori quali le perdite americane in Iraq che hanno raggiunto i 2100 morti. Nel solo mese di novembre se ne sono registrati 82. Il contraccolpo psicologico sui soldati e sull’opinione pubblica dev’essere certamente forte specialmente se rapportato al fatto che, entrando in Iraq, si aspettavano folle festanti con in mano le bandierine “stars and strikes”. La realtà, che fa sconti a nessuno, li vede immobilizzati in un pantano dal quale è sempre più problematico districarsi e con una resistenza armata sempre più decisa e incattivita.
La retorica bolsa del cow-boy texano evidentemente tiene sempre meno per cui il Pentagono, più per necessità che per scelta, si vede costretto a programmare il ritiro di una parte delle truppe (ad inizio 2006 scenderanno da 150.000 a 138.000 unità) per evitare di dover ricorrere alla leva obbligatoria con le più che probabili ripercussioni a livello sociale.
Tutto ciò è anche suffragato dal diverso atteggiamento del Congresso che preme anche in questa direzione e dello stesso partito repubblicano i cui deputati e senatori temono di dover pagare un conto assai salato alle prossime elezioni per il rinnovo del parlamento del novembre 2006.
Naturalmente non sfugge come il ridimensionamento numerico preluda e copra tutta una strategia di lungo respiro per mezzo della quale rimanere presenti nell’area. L’amministrazione americana metterà a disposizione delle autorità irachene 20 miliardi di dollari per la ricostruzione delle infrastrutture.
Da notare il paradosso insito in questa partita di giro: Washington dona all’Iraq 20 miliardi di dollari, ossia parte di quell’immensa ricchezza irachena rubata dagli USA, per opere di ricostruzione che saranno affidate a ditte americane, Halliburton tra queste. E non è tutto: le più importanti società petrolifere (Chevron, Shell, Exxon e BP), che nel 1972, all’epoca della nazionalizzazione del petrolio, erano state mandate via, ambiscono, avvalendosi del nuovo ordine, a diventare parte attiva nel ridisegno globale della politica energetica del nuovo governo iracheno intendendo, con questo, aggiudicarsi i diritti per lo sfruttamento dei nuovi giacimenti le cui riserve assommano a 115 miliardi di barili.
Considerati i rapporti di vassallaggio del governo iracheno nei confronti di Bush e Blair non è utopistico prevedere come si potrà verosimilmente evolvere il tutto, con l’Iraq che dovrà mettere a bilancio una perdita di 74 miliardi di dollari se tali diritti saranno ceduti per i prossimi 25 anni, cifra che assommerebbe a 194 miliardi se il contratto sarà di 40 anni. E allora sì che tutte le dissertazioni sul libero mercato e sul libero scambio riveleranno tutta la loro carica di tragica ironia rimanendo in tutta la sua brutale essenzialità un modello economico di puro saccheggio.
ggBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #12
Dicembre 2005
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