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Home ›Elezioni regionali, che ceffone al centrodestra!
La crisi economica sempre negata affonda il governo di Berlusconi
La sorpresa della sconfitta di Berlusconi è stata solo nei numeri, nell'entità dell'episodio, non nelle aspettative. Il presidente del consiglio era riuscito a trasformare la consultazione per le regionali in una sorta di referendum politico sulla sua persona e sul suo operato politico; eccolo servito. Presunzione, personalismo e arroganza a parte, che pur tanto ruolo hanno giocato nella iconografia di questo anomalo rappresentante del capitalismo nostrano, il clamoroso insuccesso è dovuto a un concorso di situazioni che hanno prodotto la perdita di quasi 2 milioni e mezzo di voti. Un'enormità se si considera che a perderli non sono stati i partiti alleati all'interno della Cdl ma la sola Forza Italia, il partito del presidente del consiglio. Le stesse situazioni hanno portato alla crisi di governo e alla formazione dell'incredibile Berlusconi bis che ha lasciato le cose esattamente come prima.
Il dato generale di partenza è che il governo, nei suoi quattro anni di gestione del potere, è riuscito a scontentare tutti. L'indecente e reiterata occupazione privata del potere pubblico, a fronte del disinteresse per le impellenti necessità di sopravvivenza del capitale, hanno fatto storcere il naso ai poteri forti che, dopo una brevissima luna di miele, hanno preso le necessarie distanze. Da Fazio a Montezemolo, dal governo delle Regioni del sud al Piemonte, dalla piccola imprenditoria al grande capitale, il coro si è levato unanime: via Berlusconi e il suo inefficiente governo!
Nei quattro anni d'esercizio berlusconia --
no, all'insegna della bella favola del tutto va bene madama la marchesa, l'economia italiana è scesa negli ultimi posti in Europa in tutti i dati macroeconomici. I resoconti della Bce e del Fmi sono impietosi: si va dal deficit pubblico che non scende, al disavanzo statale, dalle riforme annunciate e mai realizzate all'incapacità di attrarre capitali esteri. L'unico dato positivo riguarda l'aumento della occupazione, per il solo motivo che vengono computati i lavori parziali come se fossero a tempo indeterminato, e la diminuzione della disoccupazione che analogamente si giova del fatto che, molti lavoratori, soprattutto al sud, non si iscrivono nemmeno più alle liste di disoccupazione.
La maldestra farsa della riduzione delle tasse, fortemente voluta dal premier in funzione elettorale, che ha finito per agevolare i ricchi, (chi ha un reddito superiore ai 75 mila euro annui), e ha lasciato pressoché nelle medesime condizioni i redditi medio bassi, il mancato rinnovo del contratto nel pubblico impiego dopo un anno e mezzo di vertenze, la disillusione dei lavoratori del mezzogiorno e la vergognosa pantomima della partecipazione alla guerra non guerra in Iraq, hanno fatto il resto.
Persino i suoi alleati più fidati hanno preso le distanze dal grande condot-tiero, non certo per resipiscenze dell'ultimo minuto sul programma politico svolto, ma per paura di perdere immediatamente il potere e per avere il tempo necessario a preparare, con più comodo, il dopo Berlusconi. Ma ciò che ha fatto da acceleratore alla crisi del governo è stata la sempre più precaria situazione economica. Per chi lavora otto - dieci ore al giorno, che ha di fronte la sicurezza dell'incertezza del posto di lavoro, che percepisce un salario inferiore ai mille euro che, se giovane, vede la pensione come un obiettivo irraggiungibile e che soffre della cosiddetta sindrome della quarta settimana, cioè non riesce ad arrivare alla fine del mese, le belle favole del governo di Berlusconi sono diventate inascol --
tabili. Certo la devolution, la riforma della giustizia funzionale ai suoi processi, il suo programma politico copiato da quello della P2 (presidenzialismo, sottomissione della magistrature, abbandono della concertazione in chiave antisindacale. Ma quanti se ne sono accorti?) hanno avuto il loro peso, ma come spesso succede, sono la tasca e lo stomaco che dettano i ritmi di un consenso o di un rifiuto politico. Se per milioni di lavoratori lo sfruttamento aumenta, i salari diminuiscono, la precarietà del lavoro diventa la normalità del futuro e la qualità della vita, tra ticket sanitari, scuola sempre più cara e servizi sempre meno efficienti, arretra quotidianamente, il rifiuto politico diventa una certezza.
Tutto bene quindi, il centro destra si appresta, salvo miracoli dell'ultima ora, a perdere anche le politiche del 2006 e il centro sinistra a vincerle mandando a casa il sempre meno sorridente despota e la sua corte dei miracoli? No! Il centro sinistra potrà arrivare al potere ma non saranno tutto rose e fiori, anzi! Il suo programma è quello d'essere più solerte del centro destra nel soddisfare le ineludibili necessità del sistema Italia, facendo quadrato attorno alle priorità economiche che stanno drammaticamente sul tappeto.
Questioni come la produttività, la competitività su scala internazionale, l'ulteriore e definitiva manomissione delle pensioni, il completamento dell'atipicità del lavoro, già a buon punto tanto che l'Italia è considerato il paese più avanzato in materia, sono da tempo nell'agenda di Prodi e compagni. Non va dimenticato che tutto questo bagaglio di normative contro il mondo del lavoro è iniziato proprio nel primo mandato del centro sinistra, quando a dettare la musica era il governo D'Alema. In agenda ci sono nuove finanziarie che graveranno come macigni sul proletariato italiano. Il futuro politico del nuovo governo si annuncia pieno di lacrime e sangue, più di quelle procurate dal centro destra. Per il proletariato non c'è scampo, il percorso è segnato dalla crisi economica e dalle conseguenti necessità del capitalismo, sempre più vaso di coccio tra vasi di ferro. Non è assolutamente sufficiente cambiare il conducente, la strada è già stata tracciata, il mezzo di trasporto è sempre lo stesso, ciò che può cambiare, e solo per intensità, è la forza motrice, cioè i lavoratori, che dovranno sopportare il peso del trasporto erogando più forza lavoro, a salari più bassi, con meno previdenza, meno assistenza e con la prospettiva che la precarietà lavorativa sarà l'insuperabile regola per loro e per le generazioni future. Il tutto con una sostanziale differenza su cui il capitale fa grande affidamento: eliminata l'anomalia Berlusconi, i sacrifici imposti saranno tanto più sopportabili quanto più di sinistra apparirà essere il governo, sempre che il gioco non si rompa nella mani di chi lo conduce, sia per l'aggravarsi della crisi, sia per una possibile ripresa della lotta di classe al di fuori dei terreni imposti dalle compatibilità del sistema e del sindacalismo che, di queste compatibilità, è lo strenuo difensore nella società capitalistica e nel cuore dello stesso proletariato.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #5
Maggio 2005
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