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La crisi del capitalismo esige più concentrazione del potere
L'approvazione in Senato della riforma costituzionale è stata accompagnata da tafferugli tra gli schieramenti, insulti reciproci e sventolio di simboli patriottici in una corsa senza esclusione di colpi per mostrare chi era più attaccato ai colori nazionali.
Quanto era auspicato dalla Lega, almeno formalmente, è stato realizzato. Infatti, i ministri del carroccio avevano minacciato di andarsene e di fare saltare il governo e la coalizione nel caso la riforma non fosse stata approvata in tempi brevissimi, cioè prima delle elezioni regionali.
Questa operazione è frutto esclusivamente degli accordi tra Berlusconi e Bossi. Il primo per mantenere il potere a tutti i costi, zittendo gli alleati e costringendoli con autorità ad approvare la riforma in fretta e furia, il secondo per dare un contentino ai propri elettori e per rispolverare una finta combattività delle origini, visto il placido accomodamento alle tanto vituperate poltrone romane.
L'esito è un momentaneo compromesso, la nuova Carta dovrà essere confermata dal referendum non prima del prossimo anno, se davvero si ricorrerà alle urne e non succederà qualcos'altro nel frattempo. Per il momento chi si è visto se visto, il referendum può aspettare all'infinito, e avanti con la bagarre elettoralistica tra centrodestra e centrosinistra.
I punti sostanziali della riforma riguardano il parlamento, composto dalla Camera e dal Senato federale, l'iter legislativo supererà il bicameralismo perfetto. Camera e Senato legifereranno per le rispettive materie di competenza, e vi sarà un reciproco controllo incrociato, mentre in altri casi e su altre materie saranno entrambe abilitate a promulgare leggi.
L'argomento tanto caro alla Lega, ovvero la Devolution, vedrà l'esclusiva competenza delle regioni su assistenza, sanità, sull'organizzazione scolastica, la gestione della polizia amministrativa regionale e locale. Le prerogative delle regioni possono essere bloccate, clausola voluta da Alleanza nazionale, da non meglio precisati superiori interessi nazionali. Il governo ha in ogni modo la supremazia rispetto alle regioni e può invalidarne le leggi se lo ritiene opportuno.
Però il passo più importante riguarda il premier, i cui poteri aumenteranno notevolmente. Praticamente sarà eletto direttamente e avrà la facoltà di nominare e revocare i ministri e di sciogliere la Camera, attribuzioni che in precedenza aveva il presidente della repubblica, le cui funzioni - qualora la riforma passasse - risulterebbero fortemente ridimensionate. Inoltre, il primo ministro determinerà la politica del governo e potrà porre in qualsiasi momento la questione di fiducia.
Sostanzialmente tutta la faccenda è una bufala funzionale al gioco delle parti, al di là del guazzabuglio ridicolo delle quattro fonti legislative, ciò che veramente emerge, già da parecchio tempo e indipendentemente da chi è al potere, basta ricordare il governo D'Alema, è la necessità per l'esecutivo di liberarsi dai mille vincoli che ne frenano la rapidità decisionale e d'azione, ridimensionando ulteriormente il ruolo del parlamento e degli altri organi di controllo.
In linea con quanto oggi richiede il capitalismo e la sua dinamica di crisi contraddittoria e in continuo mutamento. Mentre il patto del '48 rifletteva il momento storico postbellico di ripresa del ciclo economico, dove era possibile inquadrare il conflitto tra le forze sociali all'interno dell'alveo democratico in una prospettiva di lungo periodo, oggi tutto questo non è più possibile. Il capitale in crisi deve attaccare costantemente il proletariato, si infischia di diritti e sicurezza, cavalli di battaglia tanto cari alla sinistra borghese.
L'intesa Berlusconi-Bossi ha creato dissensi all'interno di Alleanza nazionale e indifferenza nell'Udc di Follini, perché la devolution, anche se specchietto per le allodole, è comunque indigesta alla cultura nazionalistica della destra, e questo la dice lunga sulle reali intenzioni all'interno della Casa delle libertà rispetto a questa riforma.
Naturalmente ben diversa è la reazione nel centrosinistra, qui la storia, la tradizione e la propaganda sono profondamente legate al mito dell'Italia repubblicana e antifascista, di cui la Costituzione ne sintetizza principi e valori. Adesso che al potere è il centrodestra gli intellettuali di sinistra riscoprono quanta importanza è data dalla attuale Carta costituzionale al lavoro, quale base di tutto l'edificio sociale.
Dopo che il centrosinistra e i sindacati hanno contribuito in modo determinante allo smantellamento dello stato sociale, alla precarizzazione dei rapporti di lavoro ecc, assecondando le necessità del capitale in crisi, ora si domandano se tutto ciò era proprio necessario:
C'è il ritorno del lavoro dipendente a pura merce, una vaporizzazione dei diritti, una teorizzazione della società di proprietari in cui il lavoratore è concepito come proprietario della propria competenza, che si presenta da solo sul mercato.
il manifesto, 23.03.05
Da qui ne deriva la richiesta all'Unione di riscoprire la civiltà basata sul lavoro e non sul capitale finanziario e d'impresa.
Ma perché prima era forse diverso? Vivevamo in un altro mondo o nel capitalismo? Con incurante faccia tosta l'opportunismo fa finta di scendere dalla luna, confermandosi il baluardo di sempre della società borghese.
cgBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #4
Aprile 2005
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