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Home ›L'economia mondiale va male e quella italiana ancora peggio
Il Pil non cresce, i consumi calano, ma la Cina non c'entra
Nella legge finanziaria 2005 il governo italiano aveva ipotizzato una crescita del Pil del 2,1 per cento. Che fosse una previsione piuttosto rosea, necessaria per giustificare la manovra di riduzione delle aliquote fiscali a favore dei redditi più alti, era apparso sin dalla sua prima formulazione del tutto evidente, ma ora che l'Istat ha reso noto i dati relativi all'andamento del Pil nell'ultimo quadrimestre del 2004, quel rosa è diventato perfino sgargiante tanto la previsione è risultata distante dall'andamento reale dell'economia italiana. Nel quadrimestre in questione, infatti, Il Pil non solo non ha fatto registrare alcun apprezzabile segnale d'inversione di tendenza, ma è risultato in calo dello 0,4% rispetto al trimestre precedente. Ora, il ministro dell'economia Siniscalco, che pure è stato l'autore della sballata previsione, scommette che la crescita non sarà inferiore al 1,5%, ma gli analisti dei vari istituiti e centri di ricerca sono di parere diverso e ipotizzano una crescita compresa tra lo 0,8 e l'1% sempre che nel frattempo si registri un'inversione di tendenza dell'economia mondiale che in verità non appare proprio dietro l'angolo.
L'ex ministro del tesoro Tremonti e il raffinatissimo club di economisti della Lega Nord addebitano il cattivo andamento dell'economia italiana alla concorrenza sleale della Cina e non passa giorno che non inveiscano contro l'Ue che si oppone all'introduzione di dazi protettivi. Sennonché un'analisi solo un poco più attenta dei flussi commerciali fra la Cina e il resto del mondo e con l'Europa in particolare, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo dimostra che il pericolo non viene proprio da quella parte. Come rileva, infatti, su il Manifesto del 24 marzo, J. Halevi: " Il surplus cinese - stimato sui 35 - 38 miliardi di dollari nel 2004 - è realizzato principalmente nei confronti degli Usa il cui deficit nei confronti della Cina ammontava, sempre nel 2004, a 162 miliardi di dollari. L'altro aspetto della crescita industriale cinese è il deficit nei confronti dei paesi asiatici, incluso il Giappone, nonché quello con i paesi produttori di materie prime. Il resto del surplus cinese proviene prevalentemente dalle esportazioni nette con l'Europa. Tuttavia 35 miliardi di dollari di surplus sono pochi. Singapore, ad esempio, con 4 milioni di abitanti ha un'eccedenza di 15 miliardi di dollari. " È evidente che se esistesse una relazione diretta fra l'import e l'export di merci dalla e con La Cina e l'attuale andamento del ciclo economico italiano, e non solo italiano, l'economia giapponese dovrebbe attraversare un periodo di particolare floridezza visto il surplus della sua bilancia commerciale con la Cina invece, il Giappone annaspa e sono sempre più numerose le previsioni che lo vedono avviato verso una nuova fase recessiva se non proprio di stagnazione economica. Lo steso discorso vale per la Germania, che pur avendo nel corso degli ultimi anni accresciuto il suo surplus commerciale con la Cina, naviga comunque in acque procellose così come tutta l'economia mondiale. L'Italia ovviamente soffre di più perché paga il gap di un apparato industriale tecnologicamente arretrato troppo a lungo compensato con il contenimento del costo del lavoro mediante una politica di bassi salari; dello stato fatiscente delle sue infrastrutture e di un sistema commerciale piuttosto antiquato, ma, salvo queste specificità, la crisi in cui si dimena è la stessa in cui si dimena l'intera economia mondiale. Perfino quella statunitense, che pure ha fatto registrare nel 2004 un crescita del Pil del 4,4 %, la più alta dopo lo scoppio della bolla speculativa del 200-2001, non ha di fronte a sé un futuro tranquillo. Si è trattato, infatti, di una crescita fondata su due fattori: l'incremento senza precedenti della spesa militare, che abbiamo già più volte documentato, e di una nuova bolla speculativa, quella del mercato immobiliare. La Federal Reserve sia per contenere i costi del finanziamento degli ormai famosi "debiti gemelli" che il deficit della bilancia commerciale ha mantenuto basso il tasso di sconto determinando così la svalutazione competitiva del dollaro e lo spostamento degli investimenti finanziari dal mercato mobiliare a quello immobiliare. Ne è scaturita una forte crescita dei prezzi delle case tanto che nel corso del 2004 è risultata pari a cinque volte il tasso di inflazione delle altre merci. "A New York (le case n. d. r.) - ci informa M. Ricci su La Repubblica del 31 marzo 2005 (L'economia americana corre, ma la bolla immobiliare è a rischio) - sono cresciute del 26 per cento. Il ritmo delle compravendite si è fatto frenetico: 29 miliardi di dollari nei primi due mesi del 2005, il doppio di un anno prima. " In presenza di questa forte rivalutazione dei valori delle case, i consumatori americani hanno pensato bene di venderle o di rinegoziare i mutui su di esse in relazione al loro accresciuto valore ottenendo un fiume di denaro fresco con cui hanno continuato a finanziare i loro consumi, consumi che costituiscono il 70 per cento dell'intero Pil statunitense. A febbraio però l'inflazione è cresciuta del 2,4 per cento e risulta in crescita anche al netto del rincaro dei prezzi petroliferi. Non si sa per quanto tempo ancora Greenspan, il presidente della Federal Reserve, potrà mantenere il tasso di sconto agli attuali livelli, ma quel che è certo che con l'inflazione in crescita prima o poi dovrà necessariamente alzarlo e allora saranno dolori per tutti: per gli indebitati consumatori americani che si troveranno senza casa e con mutui più costosi sulle spalle e per l'economia di tutti quei paesi come la Cina e i paesi del Sud-est asiatico che si reggono sulle esportazioni verso gli Usa. E non meglio andranno le cose per i paesi dell'Ue e per l'Italia che certamente dalla ulteriore generalizzazione della crisi non hanno nulla da guadagnare. La Cina, c'entra dunque davvero poco. La crisi che sta vivendo l'economia italiana affonda le sue radici in quella più generale del sistema capitalistico mondiale. Le contraddizioni da cui essa si origina sono in realtà le stesse che determinano il susseguirsi di queste immense bolle speculative e dei disastri che ne conseguono ogni volta che esplodono; sono cioè quelle proprie del processo di accumulazione del capitale e certamente essa non potrà certo essere superata ricorrendo a politiche protezionistiche o ad altri palliativi simili.
gpBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #4
Aprile 2005
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