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Home ›Il treno è stato privatizzato e... non arriva più
Come si affossano i servizi pubblici
Dal 1977 ad oggi le British Railways, le ferrovie inglesi, hanno accumulato ritardi per complessivi 11.000 anni. Questo ed altri strabilianti risultati sono ascrivibili al processo di privatizzazione che imperversa nelle B. R. e sul quale il regista Ken Loach in un suo film, "Paul, Mick e gli altri", aveva posto l'accento descrivendo una realtà, che superava largamente la finzione scenica, fatta di condizioni di lavoro sempre più deteriorate, di progressivo aumento dell'insicurezza delle linee e di crescita esponenziale dei profitti. A partire dal 1994 le B. R. si sono convertite al credo liberista che privilegia, a prescindere da ogni altro vincolo, la "redditività "; da ciò ne è conseguita la loro privatizzazione o, sarebbe meglio dire, il loro smembramento in un centinaio di settori del tutto indipendenti e legati tra di loro soltanto da rapporti di ordine contrattualistico. Servizi viaggiatori dati in franchising, imprese inedite che operano prendendo a noleggio il materiale ferroviario e che traggono i loro utili dalle entrate tariffarie. Imprese che chiedono sovvenzioni allo stato allorquando si tratta di gestire linee o treni poco redditizi e che possono, a loro volta, subaffittare servizi di stazione a negozianti o ristoratori. Il core business sembra abbia preso nuove connotazioni in quanto questi speculatori hanno potuto trarre profitti considerevoli scaricando il costo delle loro inefficienze sulla solita collettività: incidenti, ritardi o annullamento di treni, assenza di informazione, sporcizia dei locali e delle vetture, rincaro delle tariffe. Forse sono state tali e tante le nefandezze compiute da queste compagnie di giro che il governo Blair, forse in un soprassalto di resipiscenza, nel luglio scorso ha deciso per la ri-nazionalizzazione delle ferrovie inglesi che passerebbero quindi dal controllo della Strategic Rail Authority organismo tanto pomposo quanto vuoto, a quello diretto del ministero dei trasporti. Il management delle ferrovie italiane, invece, fermo nei suoi tetragoni convincimenti, continua a percorrere questa deriva liberista soprassedendo cinicamente sui guasti di una gestione che, con la riforma istitutiva dell'Ente Ferrovie dello Stato del 1985 che la equiparava a qualsiasi impresa che consegua i propri fini con criteri di economicità ed efficienza, ha portato avanti un programma di progressivo smantellamento di una delle più grandi aziende d'Europa. Gli accadimenti di questi giorni sono figli di una logica di demolizione e di smembramento portata avanti da politici di tutti gli schieramenti con l'avallo sindacale e che ha visto a tuttoggi la nascita di più di cento imprese private o pseudo-tali con compiti tra i più disparati come, per fare un esempio, per le pulizie, per cambiare l'inchiostro alle obliteratrici, per sostituire le lampadine nelle carrozze oltre a quelle più prettamente ferroviarie. Tutto questo veniva un tempo fatto da ferrovieri ora viene dato in appalto, con quali ricadute sugli aggravi di costo è facilmente deducibile. Ma tant'è: per portare avanti la razionalizzazione e il contenimento dei costi il numero dei ferrovieri, in soli 15 anni, è stato ridotto da 216.000 a circa centomila; il che ha significato meno macchinisti, conduttori, operai, meno biglietterie, officine e stazioni. In compenso sono stati assunti dall'esterno miriadi di manager che si distinguono per la crassa ignoranza di cose ferroviarie e per i loro emolumenti da capogiro. Il loro numero è addirittura superiore a quello degli addetti alla manutenzione e a questi professionisti del nulla cos'altro si può chiedere che non sia la delibera di chiusura di uno scalo merci, di una stazione o la più remunerativa assegnazione di appalti? Quanto ha a che fare col trasporto in senso tecnico è per loro materia da alieni e i risultati si vedono in tutti gli ambiti: nel settore merci si trasporta il 35% in meno che negli anni '80, si sono allungati mediamente i tempi di percorrenza dei treni, sono stati disattivati sistemi elettrici di sicurezza in quanto i costi erano troppo alti. Sono ancora freschi nella memoria, oltre a quello recente di Crevalcore, gli incidenti di Scaletta Romea e di Piacenza dove nel gennaio del '97 il sistema che, in automatico, avrebbe dovuto rallentare il treno era stato criminosamente rimosso per far guadagnare qualche secondo sulla tabella di marcia. Dei tecnici incaricati, dopo questo tragico evento, monitorarono lo stato delle ferrovie e redassero un rapporto che costituiva un autentico cahier de doleances: assenza di collegamenti telefonici in galleria, mancanza in molte tratte di appositi sistemi di sicurezza, intere linee degradate e fatiscenti nonché tantissime a binario unico. L'amministratore delegato, Cimoli, prese il solenne impegno che entro il 2001 tutte queste incongruenze sarebbero state sanate e che, in termini di sicurezza,7.000 km di rete sarebbero stati messi in Automatic Traffic Control. La scorsa estate Cimoli si è dimesso dalle ferrovie e in A. T. C. erano stati messi solo 240 km! È bello, edificante, dopo ogni incidente sparare oscenità e promettere cose che non potranno essere mantenute in quanto è a livello di centri decisionali che le ferrovie non contano affatto. O meglio, contano solo quei segmenti di ferrovia che possono offrire margini di profittabilità e sono quindi appetibili ai pescecani di turno. Tutto il resto è zavorra di cui liberarsi senza troppe remore. A farne le spese siano i pendolari che quotidianamente, per ragioni di lavoro o di studio, debbono prendere il treno ed a cui viene offerto un servizio con locomotori che si fermano quasi ogni giorno in quanto il 50% di essi ha più di 45 anni e con materiale rotabile obsoleto. Viene offerto un "sovraffollamento programmato" unitamente a disagi, ritardi e incuria. Resta inteso che tutto ciòè conseguenza delle politiche sia dal governo di centro-sinistra che nel 1998 con la sua finanziaria "leggera" tagliava i finanziamenti a favore delle ferrovie per 700 miliardi l'anno per tre anni e sia dall'attuale governo che ha anch'esso sancito il crescente taglio di risorse destinate agli investimenti. Lo scopo dichiarato di questi campioni di liberismo è di continuare a spostare flussi di denaro pubblico verso le tasche private, peggiorando il servizio e dichiarando il proprio personale in esubero quando le mansioni da coprire vengono affidate a lavoratori in affitto, o part-time o a tempo determinato. Del diritto alla mobilità ci si può bellamente disinteressare.
ggBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #3
Marzo 2005
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