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Home ›I partiti in lotta per le fondazioni bancarie
L'odore dei soldi orienta la lotta politica
Nel patto segreto firmato a suo tempo fra Berlusconi e Bossi, assieme alle altre clausole che "verranno rese note al momento opportuno" (così diceva il Senatur), si trova anche la riforma delle Fondazioni bancarie, con l'intenzione di rivedere le regole del gioco, fissate ai tempi della DC nel settore economico e finanziario del paese. Le Fondazioni sono proprietarie di importanti quote di capitale di banche di rilevanti dimensioni. Dichiarate oggetto di diritto privato, il tentativo di ripubblicizzarle per dare alle attuali consorterie governative il controllo della nomina degli organi collegiali, dei settori di intervento, ecc., è stato ed è uno degli obiettivi politico-economici più interessanti per alcune fazioni borghesi, presenti nel governo di centro-destra. Le attuali 89 Fondazioni di origine bancaria sono nate dalla trasformazione delle casse di risparmio e degli istituti di diritto pubblico in società per azioni controllate da banche. Dovrebbero, tendenzialmente, contribuire al cosiddetto "progresso sociale ed economico", liberandosi da ogni condizionamento politico. I forzieri custodiscono un patrimonio di circa 36 miliardi di euro, sul quale, indubbiamente, la "tradizione popolare e religiosa degli italiani" ha fino a ieri - attraverso la mano indisturbata dei suoi rappresentanti politici democristiani e socialisti, nonché nazional-comunisti - proficuamente operato.
Su questi forzieri vorrebbero mettere le mani quelle Regioni nelle quali ciascuna Fondazione ha sede e limitando così le aree geografiche del suo intervento. Si parla inoltre di almeno 19 miliardi di euro immobilizzati in partecipazioni bancarie (Unicredito, San Paolo IMI, Banca di Roma, Monte dei Paschi di Siena, Intesa BCI). Il grosso del malloppo - che la Lega in particolare guarda con interesse - è detenuto dalle Fondazioni del Nord. Per tutte non vi è alcun obbligo di trasparenza e di rendimento, né sugli utili complessivi annuali di 2/3 miliardi né sui "contributi" erogati per centinaia e centinaia di miliardi di euro ad una clientela ufficialmente operante nel campo artistico e culturale, volontariato, istruzione, assistenza sociale, sanità e, naturalmente, partiti...
Dopo le sue trascorse esperienze quale Studio Tremonti e Associati (poi Vitali Romagnoli Piccardi e associati) in qualità di commercialista fiscalista, l'ex ministro Tremonti aveva tentato di consegnare al Tesoro le suddette Fondazioni col proposito di trasformarle in una cassaforte degli enti locali, nettamente separata dalle banche e trasferendo così l'accaparramento di soldi e poteri non più formalmente alla "società civile" dei privati borghesi ma a Regioni, Province e Comuni. Alle fazioni borghesi oggi al potere converrebbe infatti imporre alle Fondazioni (fino a ieri soggetti di diritto privato) una maggioranza di nomine politiche, stabilendo fra l'altro che nella raccolta di soldi per i vari progetti governativi un minimo di fondi venga reinvestito per la realizzazione di infrastrutture regionali. Limitando la loro autonomia e accresciuti i poteri del ministro del Tesoro e della Economia, le Fondazioni sarebbero messe in buona parte al servizio degli interventi pubblici in perenne crisi di fondi, con indicazioni e paletti posti ai loro fin qui "privati" interventi. Oltre 1500 le poltrone in gioco (consigli amministrativi e società operative): il 66% dei Consiglieri d'Amministrazione verrebbe nominato dagli Enti Locali mentre alla "società civile" rimane una presenza molto più limitata che nel passato. Tremonti avrebbe voluto far propria anche la scelta delle Società di Gestione del Risparmio incaricate di gestire i pacchetti azionari delle Fondazioni e diventando quindi le loro nuove casseforti. Di "gare europee", secondo le richieste di Bruxelles, non se ne è mai parlato.
Prima ancora delle sue dimissioni forzate, Tremonti si vedeva negato il suo tanto desiderato potere discrezionale che, sia pure indirettamente, mirava a disturbare i maggiori gruppi creditizi del paese. La Corte Costituzionale sgambettava Tremonti sancendo la parziale incostituzionalità della sua riforma. In cambio concedeva l'ingresso delle Fondazioni nella nuova Cassa Depositi e Prestiti per finanziare le infrastrutture. Rimane aperto il contenzioso di fondo: le Fondazioni hanno carattere di organo di diritto pubblico (che oggi fa comodo al centro-destra) oppure mantengono la natura e autonomia privatistica? In tutti i casi continua la lotta "democratica" - tutta interna ai gruppi di interessi privati e pubblici, di destra e di sinistra - per accaparrarsi quote di potere ed occupare poltrone ai vertici delle Fondazioni. In nome dell'interesse nazionale, sia chiaro. Nel frattempo, il proletariato continua a frugare nelle proprie tasche trovandole sempre più vuote.
dcBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #3
Marzo 2005
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