Condizioni e lotte operaie nel mondo

Tailandia

Il 23 marzo circa 5mila operai hanno protestato a Chatuchak di fronte alla sede della PEA, l'autorità provinciale per l'elettricità. I lavoratori hanno aderito massicciamente allo sciopero, nonostante l'azienda avesse minacciato azioni legali e disciplinari, sostenendo che lo sciopero violasse le leggi sul lavoro.

La dimostrazione fa parte di una serie di proteste contro i piani governativi di privatizzare un numero consistente di aziende statali, tra cui i servizi idrici, i porti, i trasporti pubblici, gli impianti di produzione e distribuzione dell'energia. Di fronte al concreto peggioramento delle proprie condizioni e di fronte alla prospettiva di un possibile licenziamento, i lavoratori si sono mobilitati in marce e scioperi già dal mese scorso, inducendo finora il governo a rallentare l'attuazione dei programmi.

Già l'anno scorso sono state privatizzate parti della compagnia aerea statale, la compagnia telefonica, i servizi postali, gli aeroporti e l'industria petrolifera. Tutto questo nonostante le promesse elettorali, volte ovviamente semplicemente alla conquista del voto dei dipendenti pubblici, di non vendere alcuna azienda statale.

Kenia

Circa 4mila dipendenti comunali di Mombasa continuano a scioperare per ottenere il pagamento dei loro salari arretrati, nonostante le minacce di licenziamento sollevate nei loro confronti. Le minacce seguono una carica di forze anti-sommossa avvenuta il 17 marzo contro gli scioperanti, che si erano raccolti fuori dal municipio. Davanti al rifiuto di sciogliere il corteo, i poliziotti, armati di fucili, manganelli e gas lacrimogeni, non hanno esitato un attimo a caricare i lavoratori. Il consiglio comunale ha dichiarato illegale lo sciopero dal momento che non è stato preannunciato secondo i limiti "di legge", e intanto continua a rifiutare il pagamento dei salari "legalmente" dovuti, pari a circa 900mila US$. Ma, davanti all'impossibilità economica di mandare i figli a scuola, in alcuni casi anche davanti allo sfratto e alla mancanza di una abitazione, i lavoratori giustamente delle leggi borghesi ormai se ne importano poco, e portano avanti la lotta.

Stati Uniti

Una inchiesta condotta dalla Associated Press ha portato alla luce che i lavoratori messicani impiegati negli Stati Uniti meridionali e occidentali hanno una probabilità di morire sul lavoro quattro volte superiore a quella di uno statunitense. Il tasso di mortalità dei lavoratori messicani in tutti gli Stati Uniti è uno su 16 mila, mentre per gli statunitensi è uno su 28 mila. Mentre il numero di lavoratori messicani negli Stati Uniti è pari a uno su 24, questi contano per uno su 14 nelle morti sul lavoro. Bisogna poi naturalmente aggiungere tutti casi di lavoro nero e sommerso a cui spesso gli immigrati sono costretti, non solo negli Stati Uniti.

Tra le spiegazioni del fenomeno c'è sicuramente l'impiego degli immigrati nelle mansioni più pericolose, in particolare nei settori delle costruzioni e della macellazione. Ma i lavoratori messicani soffrono un maggiore tasso di mortalità rispetto agli statunitensi anche quando impiegati per lo stesso lavoro. L'inchiesta individua tra le cause principali la mancanza di addestramento, la mancanza di attrezzature di sicurezza, la presenza di barriere linguistiche e ambienti di lavoro oppressivi, che sicuramente scoraggiano le lamentele. La maggior parte degli incidenti sono definiti "prevenibili". Ma è ormai evidente che l'OSHA, l'agenzia fantoccio che dovrebbe vigilare sulla sicurezza e la salute dei posti di lavoro, non ha nessun interesse ad imporre il rispetto delle leggi e perseguire legalmente le aziende che le violano, garantendo di fatto l'impunità per quelli che non possono essere considerati altro che omicidi.

Panama

Circa 3mila lavoratori delle piantagioni di banane lungo la costa pacifica, che una volta appartenevano alla multinazionale statunitense Chiquita Brands, sono entrati nuovamente in sciopero il 10 marzo. Questo è il secondo sciopero in meno di due settimane contro la Coosemupar, una cooperativa controllata dal sindacato, che ha acquisito le piantagioni dopo il ritiro della Chiquita a causa del costo del lavoro giudicato eccessivo. Un altro sciopero c'era già stato il 28 febbraio, per chiedere soprattutto paghe più alte per le ore di straordinario.

La nuova azienda, formalmente di proprietà dei lavoratori, ora produce metà delle banane esportate dal Panama su 3 mila ettari di terra. Dopo l'acquisizione da parte della Coosemupar, i lavoratori hanno subito sistematicamente tagli ai salari e ai vantaggi di cui godevano sotto la Chiquita, tra cui acqua ed elettricità gratuite nelle abitazioni. Il sindacato si è dimostrato sordo a qualsiasi protesta, sostenendo che i salari sono ancora al di sopra del minimo legale e che anzi, se le proteste dovessero continuare, chiuderebbe le piantagioni perché i costi di produzione sarebbero superiori al prezzo di mercato. Infatti, sono proprio le regole del mercato in crisi, la decadenza del modo di produzione capitalistico, ad affamare il proletariato mondiale, nonostante sindacalisti, politici e parolai d'ogni paese affermino il contrario, attribuendo le responsabilità unicamente alla volontà o all'incapacità dei singoli capitalisti. E i lavoratori delle banane, tra i più sfruttati al mondo, sono quelli che maggiormente soffrono la crisi del sistema. Se quelli di Panama e Costa Rica devono sopravvivere con 8 dollari al giorno, addirittura in Ecuador non guadagnano più di 2 dollari, privati anche dei più elementari diritti di associazione.

Colombia

Il 26 febbraio decine di migliaia di dipendenti pubblici hanno condotto una giornata di protesta per opporsi ai piani di privatizzazione del governo Uribe, che porterebbero all'eliminazione di interi dipartimenti e a licenziamenti di massa. La situazione sociale ed economica in Colombia è già terribile: 13 milioni di persone vivono nella povertà assoluta e 4 milioni sono disoccupati. Il governo intanto si prepara a ridurre gli impiegati statali di altre 800 mila unità, dopo aver già provveduto al diretto licenziamento di 40 mila lavoratori.

mic

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.