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Home ›Nel cuore dell'Europa le stesse riforme di casa nostra
In Germania è stata temporaneamente bloccata la riforma del mercato del lavoro ma solo per motivi elettorali. La Camera alta del parlamento tedesco, la camera che riflette i risultati elettorali regionali nella quale i democristiani hanno una maggioranza capace di bloccare le leggi approvate dal Bundestag a prevalente composizione socialdemocratica, ha rinviato il pacchetto di riforma a una commissione di mediazione che dovrà, nei prossimi mesi, elaborare una nuova proposta. Così il progetto è temporaneamente sospeso.
Di che cosa si tratta praticamente? Il progetto di riforma è nato da un rapporto presentato al parlamento da un gruppo di lavoro presieduto dal dirigente della Volkswagen Peter Hartz. In sostanza gli industriali tedeschi hanno sollecitato un intervento legislativo mirato ad allentare i vincoli attuali riguardanti le assunzioni a tempo parziale e a tempo determinato. Addirittura hanno chiesto di poter assumere i lavoratori pagandoli per i primi sei mesi con un salario pari al sussidio di disoccupazione (350 euro). Il governo, che ad agosto ha immediatamente presentato un proprio progetto di riforma del mercato del lavoro, definito come la più radicale trasformazione del dopoguerra, ha in parte accolto le proposte degli industriali e in parte le ha attenuate ben sapendo che l' opposizione democristiana ne avrebbe approfittato per opporre resistenza e far propaganda in vista delle elezioni regionali del prossimo febbraio. I sindacati nel frattempo, sembra di rivedere come in un film le identiche vicende italiane del periodo di governo di sinistra, avevano dato la loro disponibilità a discutere le richieste imprenditoriali accettando anche la loro richiesta di poter assumere i disoccupati di lungo periodo pagandoli con un salario ridotto rispetto a quello contrattuale e per un tempo determinato, tale da evitare qualsiasi onerosa stabilizzazione del rapporto di lavoro. Il governo, con l'approvazione sindacale, ha anche proposto di aumentare il livello salariale, portandolo da 350 a 500 euro, non soggetto ai contributi sociali in modo da sgravare le imprese dal costo dei contributi per altri 150 euro. Naturalmente imprenditori, governo e sindacati, in un sol coro, hanno dichiarato di muoversi per sostenere l'occupazione e nell'interesse dei lavoratori.
Per ora, ma solo per meri interessi di lotta politica che nulla hanno a che vedere con quelli veri dei lavoratori, il progetto di riforma è rinviato. Ciò che ha prevalso è lo scontro tra democristiani e l'attuale maggioranza di governo composta dall'alleanza Spd-Verdi; la riforma sarà comunque attuata in un prossimo futuro dato che anche l'opposizione non ha mai dichiarato di essere in linea di principio contraria ai contenuti della riforma del mercato del lavoro.
La Francia non è da meno. L'associazione degli industriali, il Medef, ha sollecitato il governo a varare con la massima celerità delle riforme per intervenire sia sul sistema pensionistico sia sul mercato del lavoro.
Gli industriali chiedono che il periodo minimo di contribuzione per andare in pensione aumenti oltre gli attuali 40 anni (37,5 per i dipendenti statali) e che vi sia equiparazione tra il settore privato e quello statale. Inoltre essi domandano che il mercato del lavoro, ritenuto troppo rigido, sia oggetto di un'apposita legge che lo renda più flessibile. Da alcuni mesi il governo è impegnato a rispondere a queste sollecitazioni con appositi provvedimenti legislativi finalizzati a smantellare la legge sulle 35 ore lavorative del precedente governo socialista e quella cosiddetta di modernizzazione sociale che rendeva il licenziamento più oneroso per l'azienda. Inoltre ha in cantiere dei provvedimenti per facilitare le assunzioni con sgravi fiscali per gli imprenditori e per rendere più flessibile il rapporto di lavoro.
Come si vede, nel cuore dell'Europa, in quei paesi che costituiscono il nucleo del progetto di costituzione del nuovo polo imperialistico antiamericano, si stanno adottando le stesse misure già prese da noi. La linea di condotto della borghesia è dunque la stessa in ogni paese; ciò che cambia sono solo i tempi e le modalità con cui gli stessi provvedimenti sono presi. È utile sottolineare come in Italia, grazie al precedente governo di centro sinistra e all'attiva collaborazione sindacale, il processo riformistico, improntato esclusivamente all'attacco dei lavoratori, si sia spinto più avanti rispetti ai partners europei.
Risulta evidente che la fase economica che vive il capitalismo produce sì le riforme ma a senso unico: esse sono tutte contrarie ai lavoratori. Ogni governo, da quello di sinistra a quello di destra, si impegna esclusivamente per assecondare quelle che sono le necessità vitali del capitale e cioè imporre continue restrizioni alla vita dei lavoratori per trarre da ciò maggiore competitività sul mercato mondiale. Ci pensino coloro che ancora oggi ripropongono illusorie strategie di stampo riformistico.
CLBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #12
Dicembre 2002
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