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Home ›I no-global tra repressione e istituzionalizzazione - Da Firenze a Cosenza
Parlare male di questo governo è facile come bere un bicchiere d'acqua; anzi, è quasi un riflesso condizionato, tanto è squallido e ripugnante lo spettacolo della politica in salsa berlusconiana. Non ci dilunghiamo a ribadire che, da un punto di vista di classe, il centro-sinistra vale quanto il centro-destra (e, per certi aspetti, è stato anche peggio), ma la cialtroneria reazionaria della Casa delle Libertà ha indubbiamente aggiunto un "tocco di classe" alla forcaiola storia della repubblica democratica.
L'arresto dei no-global è emblematico: alle assurde e ridicole - in tutti i sensi - accuse di voler sovvertire l'ordinamento economico (o addirittura la "globalizzazione", come ha aggiunto un giornalista troppo zelante), si somma l'atto proditorio e vile di sbattere in galera i no-global dopo che Pisanu si era unito alle voci di elogio in merito allo svolgimento della manifestazione di Firenze. Così come gli orrori della scuola Diaz di Genova sono successi quando sembrava che tutto fosse finito, allo stesso modo la repressione contro gli esponenti del "Sud ribelle" ha preso il via dopo che costoro si erano visti lisciare il pelo e complimentare da tutto (o giù di lì) lo schieramento parlamentare. Come diciamo nel volantino pubblicato in questo numero del giornale, è molto probabile che l'operazione repressiva sia stata di tipo preventivo, diretta cioè a intimidire e ostacolare i collegamenti tra il movimento e gli operai Fiat, sebbene non si possa nemmeno escludere del tutto l'eccesso di zelo di qualche magistrato ansioso di guadagnarsi benemerenze agli occhi del padrone di turno, o anche lotte interne tra apparati dello stato e partiti parlamentari. Ma non è questo che qui ci interessa; ci preme invece rilevare come i recenti avvenimenti (Forum Europeo di Firenze incluso) abbiano segnato un altro passo in avanti nel processo di integrazione del movimento "antiglobalizzazione" con le istituzioni "buone" della politica borghese: dalla CGIL a Rifondazione Comunista, dai comuni "democratici e di sinistra" ai settori meno ottusi della Chiesa cattolica. La manifestazione di Cosenza, appendice, in un certo senso, di quella fiorentina, ha ulteriormente consacrato questo matrimonio.
Il ceto più propriamente politico, il gruppo dirigente - per così dire - del "movimento dei movimenti", proprio perché non ha mai espresso nemmeno una virgola di anticapitalismo vero, ha capito che assaltare i templi del colesterolo (i McDonald's) non paga più di tanto, e che per portare avanti il sogno ridicolo di rendere il capitalismo più buono (e magari per farsi eleggere in qualche parlamento, fosse pure quello comunale) è meglio presentarsi col volto del ragazzo per bene che, abbandonate le intemperanze giovanili, collabora con il meglio (si fa per dire) della società civile, cioè con le più tradizionali forze riformiste. Riformiste? A voler essere precisi, non possono nemmeno essere chiamate così, se per riformismo si intende una politica che pretende di migliorare a piccoli passi le condizioni dei lavoratori e delle classi sociali inferiori. La CGIL, infatti, da quando si è manifestata la crisi del capitale - cioè da circa trent'anni - secondo le sue "migliori" tradizioni non ha fatto altro che controfirmare e appoggiare peggioramenti progressivi delle condizioni di esistenza della "gente" che lavora (o che vorrebbe lavorare). Negli ultimi dieci anni, poi, il suo micidiale - per i proletari - "senso di responsabilità" si è scatenato, facendo ingoiare al mondo del lavoro salariato dei rospi grossi come buoi, assicurando nel contempo una pace sociale pressoché assoluta: niente scioperi, niente manifestazioni, niente di niente. Se c'è qualcuno che crede che stiamo esagerando, dovrebbe guardare i contratti di lavoro: non ce n'è uno che non sia peggiorativo di quello precedente...
Ebbene, non solo i no-global hanno del tutto smorzato le pur confuse critiche avanzate un tempo alla CGIL, ma vengono invitati alle assemblee di quest'ultima e ne appoggiano l'azione. A dire il vero, la CGIL, tramite la FIOM, una gamba dentro il movimento ce l'aveva già, ma ora è l'organizzazione nel suo insieme che è entrata con tutto il suo peso politico: chi è stato a Firenze, o a Cosenza, ha potuto vedere coi suoi occhi lo sforzo organizzativo determinante di Cofferati/Epifani.
Ma se dai giovani e giovanissimi che, pieni di entusiasmo, vogliono lottare per un mondo migliore, è anche comprensibile la mancanza di memoria storica (benché sia una storia recentissima), non lo è altrettanto - e ancor meno scusabile - l'atteggiamento del ceto politico no-global. Esso non può ignorare quello che si diceva poc'anzi, cioè che i giovani devono il loro futuro incerto e precario anche e non da ultimo alla CGIL.
Lo stesso discorso vale per Rifondazione Comunista. A parole è certamente più radicale di Cofferati e compagnia cantante, ma in realtà le chiacchiere stanno a zero e, come sempre, contano i fatti. Ebbene, anch'essa ha dato il suo piccolo-grande contributo al dilagare della precarietà, quando, "responsabilmente", votava a favore del governo Prodi che, in quanto a politica antioperaia, non è stato secondo a nessuno. E non ci soffermiamo oltre - lo abbiamo già fatto e lo faremo ancora - sulla natura intrinsecamente anticomunista di Rifondazione, che nelle sue proposte politiche ha di tutto tranne che il comunismo: dal rilancio in veste sociale dell'intervento economico statale di stampo keynesiano al capitalismo di stato vero e proprio, fino allo sviluppo del pidocchioso localismo mercantile, l'altra faccia, quella "mansueta" e democratica, degli stessi smarrimenti ideologici che alimentano le ottuse e razziste chiusure leghiste.
Infine, non si può fare a meno di rilevare come anche il dialogo aperto con le istituzioni sia ormai non solo accettato, ma ampiamente ricercato; meglio ancora se a fare da tramite ci sono ex rivoluzionari (?!) convertiti alla "ragionevolezza" della democrazia borghese. Chi meglio di Franco Piperno, un tempo teorico del "comunismo qui e ora", oggi assessore nel comune di Cosenza, può "dimostrare" ai giovanissimi che si stanno affacciando alla politica, la necessità di "non ripetere il nostro errore del '70, quando fu il movimento ad autoisolarsi" (il manifesto,24-11-02), cioè, in sostanza, la necessità di scendere fino in fondo i gradini del compromesso e della rinuncia a una lotta vera? E che dire del fatto che nessuno, sempre tra il ceto politico di cui sopra, si sia indignato e scandalizzato per la presenza nel corteo cosentino di rappresentanti "che contano" dei DS? Bello e istruttivo spettacolo davvero: i manganellatori di Napoli, marzo 2001, quelli che hanno offerto a polizia e carabinieri l'opportunità di allenarsi abbondantemente in vista Genova, nello stesso corteo dei manganellati! Decenza vorrebbe che qualcuno li avesse invitati - più o meno gentilmente - a uscire dal corteo medesimo, ma, a nostra conoscenza, così non è stato. Anzi, tutti insieme appassionatamente: Rifondaroli e preti, CGIL e Cobas, Disobbedienti e diessini (ma di sinistra, perbacco!) sembrano aver trovato un'unità nel segno del più velleitario e impraticabile riformismo borghese.
Strappare quanti più giovani (e meno giovani) possibile da quella strada senza uscita è un compito certamente non facile, ma deve essere assolutamente fatto: non possiamo né dobbiamo permettere che sincere ed entusiaste energie siano bruciate per alimentare gli apparati dell'opportunismo e del politicantismo più sordido.
PS. Mentre scriviamo, giunge la notizia che sono stati scarcerati tutti i no-global ancora in galera: non possiamo che rallegrarcene, e proseguire come sempre la nostra battaglia politica contro il riformismo di questo movimento.
cbBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #12
Dicembre 2002
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