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Home ›L'impotenza della FAO: il capitalismo non può sfamare l'umanità
Prima o poi qualcuno dovrà pur dare un premio speciale quale miglior guitto di inizio millennio al cavalier Berlusconi, per le freddure fuori luogo buttate lì con cinica spensieratezza tra i delegati riuniti al vertice della FAO, tenutosi a Roma nella seconda settimana di giugno. E tuttavia, le sue penose battute di "spirito" non sono state altro che chiacchiere aggiunte ad altri milioni di chiacchiere al vento consumatesi nei giorni del summit su un problema tanto drammatico quanto insolubile, stanti gli attuali rapporti sociali: la fame, che tormenta più di 800 milioni di persone e ne uccide ogni anno decine di milioni, in maggioranza bambini, ma anche la malnutrizione, soltanto un po' meno peggio della fame assoluta, che perseguita circa due miliardi di esseri umani. Ma se il "nostro" Cavaliere in veste di presidente del consiglio del paese ospitante ha dovuto essere presente, i capi di stato e di governo dei paesi più sviluppati non si sono nemmeno presi la briga di salvare le apparenze, inviando delegazioni di basso profilo, mostrando così chiaramente quale sia la loro opinione (che corrisponde per altro al vero) sulla FAO e, in genere, sulle agenzie dell'ONU: baracconi sostanzialmente inutili, buoni solo per fare un po' di beneficenza all'ingrosso e tamponare le situazioni più urgentemente tragiche.
Solo i no-global - o almeno una parte di essi - credono che questi organismi e questi incontri internazionali possano avere una qualche voce in capitolo nella determinazione degli indirizzi di politica economico-sociale del pianeta, quando invece, al massimo, non fanno altro che ratificare decisioni prese in ben altre sedi. Addirittura, in questo vertice si sono fatti dei passi indietro rispetto a quello del 1996. Allora, l'agenzia dell'ONU si era data l'obiettivo di dimezzare il numero di coloro che soffrono la fame entro il 2015, mentre ora tale obiettivo risulta molto più vago; sei anni fa la dichiarazione finale parlava esplicitamente del diritto di tutti a mangiare a sazietà, oggi la parola diritto scompare o quanto meno è posta sotto stretta sorveglianza dagli USA, i quali hanno ribadito che l'unico diritto inviolabile è quello del "mercato" (leggi: le grandi multinazionali dell'agro-alimentare e i loro stati) di fare ciò che gli pare. Infine, si è aperto uno spiraglio agli organismi geneticamente modificati (OGM), di cui il meglio che si possa dire è che la non nocività per gli esseri viventi è ancora tutta da dimostrare, essendoci invece vari studi che attestano la loro pericolosità, a diversi livelli, per piante, animali ed esseri umani. Naturalmente, sono gli USA che hanno spinto di più perché gli OGM vengano considerati il cibo del futuro, visto che oltre il 70% della loro produzione si colloca proprio in quel paese (come le multinazionali che ne detengono i brevetti).
Ma se non è certamente dagli OGM che può venire la soluzione del problema della fame - a maggior ragione finché la scienza rimarrà totalmente asservita alle esigenze del profitto - altrettanto si può e si deve dire delle fantasiose proposte elaborate dall'arcipelago di organizzazioni e individui riuniti nel contro-vertice, i quali hanno sfoderato tutte le immancabili illusioni del riformismo piccolo-borghese su "un altro mondo possibile", vale a dire un capitalismo temperato e ammorbidito dalla partecipazione democratica dei "cittadini". Come diciamo spesso anche su questo giornale, il riformismo non di rado sa descrivere e denunciare le infamie del capitale, ma compartecipe (di solito inconsapevole) della sua logica più profonda, non sa individuarne le cause né, tantomeno, indicare le concrete contromisure, necessarie per farla finita con un sistema sociale storicamente ormai superato di cui la distruzione massiccia di cibo mentre c'è chi muore di fame solamente perché non ha i soldi per comprarlo (è fuori mercato...) è una delle prove più evidenti.
La presunta concretezza del riformismo
Che cosa propongono, infatti, le varie associazioni di agricoltori (tipo Via Campesina) che rappresentano contadini poveri - ma anche benestanti - del "Nord e del Sud del mondo"? Riforme agrarie in favore dei piccoli proprietari, un "giusto prezzo" per i loro prodotti da scambiare in un mercato che sia "equo e solidale", l'accesso a forme di credito agevolato col quale sostenere la concorrenza con le medie, grandi e grandissime imprese agricole e quindi - sostengono - garantire l'autosufficienza alimentare dei "popoli". A parte il fatto che i popoli sono divisi in classi contrapposte anche nel "Sud del mondo", per cui chi ha i soldi non ha affatto problemi di cibo nemmeno lì, a nessuno dei proponenti di queste misure viene in mente che, quand'anche per assurdo venissero attuate (da chi? dagli stessi governi che fanno esattamente l'opposto?) non si uscirebbe di un millimetro dal quadro dei rapporti di produzione capitalistici, cioè degli stessi che sono all'origine della fame e della miseria di miliardi di persone. Inoltre, non si accorgono che queste strade sono già state tentate in passato, in epoche in cui l'economia viveva fasi di crescita e quindi c'era una relativa disponibilità (per interesse, ovviamente) a destinare quote di capitale finanziario alla piccola e media azienda agricola e a forme di conduzione cooperativistica, ma solo dopo che dalle campagne erano stati espulsi milioni di contadini poveri proprio in virtù delle leggi di quel mercato che non è mai, per natura, solidale, ed è giusto solo se consente ai singoli soggetti economici di realizzare il massimo guadagno possibile. Ora delle vecchie cooperative socialiste sorte all'inizio del secolo scorso non è rimasto quasi niente...
Le riforme agrarie, poi, attuate nel dopoguerra in molti paesi chiamati allora in via di sviluppo, col tempo si sono rivelate per quel che erano, vale a dire uno dei più potenti mezzi di proletarizzazione della popolazione contadina, cioè di separazione - in forma più o meno apertamente violenta, ma sempre forzata - dai propri mezzi di produzione e dalla progressiva, irreversibile sottomissione dei piccoli contadini scampati a quest'ultimo processo alle leggi del mercato interno o, più spesso, internazionale. Infatti, anche che ai piccoli contadini venissero distribuite le terre migliori (piuttosto l'eccezione che la regola), le dimensioni della proprietà erano tali che ben presto hanno costretto i proprietari a indebitarsi e a perdere tutto nel giro di poco tempo.
Per chiudere il cerchio, alla violenza "impersonale" delle leggi del mercato si aggiunge la violenza feroce e sistematica dei grandi proprietari, delle multinazionali e degli apparati statali che le supportano - va da sé - nei massacri e nelle occupazioni abusive delle terre pubbliche.
L'inarrestabile applicazione della tecnologia all'agricoltura, l'invadenza estremamente aggressiva e spietata delle multinazionali, cioè il dilagare senza freni delle leggi del mercato anche nelle più sperdute foreste del pianeta, hanno come effetto lo sradicamento dai campi di milioni di esseri umani, la loro riduzione a contadini poverissimi, braccianti, schiavi e affamati. Da quando esiste il capitalismo questa è la sorte toccata all'agricoltura e alla popolazione agricola, prima in Europa e, man mano, nel resto del mondo; per questo, la malnutrizione e la fame cronica fino alla morte hanno assunto dimensioni planetarie. Anzi, le cose si sono notevolmente aggravate da una ventina d'anni a questa parte in conseguenza della crisi mondiale del capitalismo. Infatti, se un tempo, in Europa, la popolazione strappata dalle campagne prima o poi veniva in qualche modo assorbita dall'industria e dai servizi (non da ultimo attraverso l'emigrazione), oggi le centinaia di milioni di contadini senza terra vanno ad alimentare le mostruose bidonvilles delle gigantesche metropoli del "Terzo Mondo", perché risultano eccedenti, inutili (...come il vertice FAO) rispetto alle esigenze dell'economia internazionale. Esattamente come sta succedendo alla classe operaia (intesa in senso lato), oggetto di violentissimi attacchi da parte dei padroni e dei governi di tutto il mondo, anche i lavoratori rurali - siano essi salariati puri o formalmente indipendenti - dei sedicenti paesi in via di sviluppo stanno subendo massicce espulsioni dalle campagne (equivalenti ai licenziamenti), il crollo verticale dei prezzi delle materie prime destinate all'esportazione da cui dipende totalmente l'esistenza di milioni e milioni di piccoli contadini e, ancor più, di braccianti agricoli, che si vedono costretti ad accettare prepotenze di ogni genere, tra cui, in primo luogo, salari letteralmente da fame per giornate di lavoro interminabili in condizioni invivibili.
L'aggressività della borghesia verso il proletariato mondiale - e verso gli strati sociali ad esso assimilabili - è tale che la fame è ricomparsa anche nelle repubbliche dell'ex impero sovietico e non risparmia neppure il paese degli obesi per eccellenza, gli Stati Uniti d'America, dove 800 mila famiglie soffrono di sottoalimentazione cronica e altri quattro milioni di esse almeno durante una parte dell'anno.
Altro che crediti agevolati (pagati, naturalmente, con la ricchezza rapinata alla classe operaia), altro che mercato etico e simili insulse fantasticherie: per uscire da questo tragico quadro ciò che va messo concretamente in discussione è il capitalismo nel suo insieme.
cbBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #7
Luglio-agosto 2002
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