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Home ›L'affaire Biagi-Cofferati - Una brutta storia della borghesia italiana
L'unico termine che possa definire la vicenda Biagi-Cofferati è: squallore. Tutto è squallido dall'inizio alla fine, dai personaggi politici che ne hanno preso parte, Scajola in testa, al governo che ne sta facendo un momento di conservazione politica.
È squallido che ancora una volta i servizi segreti, con la puntualità che li contraddistingue, gli unici ad aver avuto accesso ai "testi" informatici di Biagi, abbiano fatto arrivare le lettere al posto giusto, nel momento giusto, con le correzioni opportune, sollevando artatamente il caso.
È squallido che i commenti sui contenuti delle missive telematiche, che dal "palazzo" giungono al popolo attraverso l'uso dei media, pongano l'accento sulla presunta criminalizzazione politica di Biagi da parte di Cofferati, e non sul fatto che gli siano state tolte le scorte proprio nel momento in cui le minacce si facevano più forti e il rischio di un attentato sempre più possibile.
Squallido che, come sempre, ma in questo caso con inaudita determinazione nei confronti del personaggio Cofferati, si sia montata l'equazione: opposizione ai progetti governativi uguale a corresponsabilità con il terrorismo se non qualcosa di peggio.
È infine squallido che il ministro dell'Interno abbia definito " rompi palle" quella vittima sacrificale su cui si è costruito il teorema opposizione = terrorismo.
In mezzo, l'articolo 18 che in tutta fretta si è voluto liquidare come elemento non decisivo nel confronto tra capitale e forza lavoro, o se si preferisce, non determinante nel progetto di riforma dello statuto dei lavoratori. Tanto rumore per nulla dunque? No. La questione è in ben altri termini, ben più grave di quanto appaia in superficie. Al centro di tutta la vicenda campeggia il progetto di aggredire su tutti i fronti il costo della forza lavoro. L'obiettivo, peraltro più volte dichiarato, è quello di modellare sul terreno economico e normativo il fronte del lavoro dipendente in funzione delle sempre più esose richieste del capitale. Una parte è già stata ottenuta con la flessibilità in entrata, ovvero con la nascita, sindacati compiacenti, di tutti quegli strumenti normativi quali, per esempio, i contratti a termine o quelli interinali, che consentono l'impiego, per la stessa mansione, di lavoratori con salari più bassi. La seconda parte riguarda la flessibilità in uscita, in altre parole la possibilità di sbarazzarsi della forza lavoro in qualsiasi momento, senza cause più o meno giuste se non quella di far quadrare i bilanci delle imprese nei momenti di recessione economica. In altri termini il progetto prevede di avere a disposizione una forza lavoro "usa e getta", sfruttabile nei momenti opportuni, licenziabile sempre, a costi tendenzialmente sempre più bassi, con le garanzie sindacali ridotte al minimo e con l'annullamento dei costi assistenziali e previdenziali.
La cancellazione dell'articolo 18 non è in sé così importante, si licenziava anche prima all'interno dei contratti collettivi, ma sarebbe l'equivalente della di una diga che, una volta prodottasi farebbe crollare tutta la struttura e, in questo caso, quel po' che resta a garanzia della sicurezza del posto di lavoro. In più sarebbe un'enorme arma di ricatto da usare individualmente e collettivamente nei confronti di quei lavoratori che osassero ostacolare o soltanto denunciare, i nuovi livelli di sfruttamento e di precarietà.
L'acutizzazione dello scontro con di Cofferati e la Cgil, ma anche contro tutto il proletariato affinché sappia e si uniformi così com'è avvenuto per Cisl e Uil, è da ricercarsi nella crisi economica internazionale e nelle sue devastanti conseguenze sociali. La crisi, come tutte le crisi, non fa altro che aumentare il livello di competizione tra i capitali con le relative ricadute sullo sfruttamento dei rispettivi proletariati, ma in questo caso con un'aggravante che si chiama Euro.
Con l'ingresso nella moneta unica europea il costo del denaro è diventato pressoché uguale per tutti i capitali nazionali che vi hanno aderito e così anche per i prezzi che tendono sempre più ad allinearsi a livello continentale per segmenti di mercato e ambiti merceologici. Ciò significa che, data la comune base finanziaria e potendo giocare in modo minore nella determinazione dei prezzi sui vari mercati, ed essendo tutti i capitali posti nelle medesime condizioni per quanto riguarda l'approvvigionamento delle materie prime e delle fonte energetiche, fatta ovviamente eccezione per chi le detiene, l'esito della competizione è dato della ricerca tecnologica e dal costo del lavoro.
In Italia, più che altrove, la mancanza di materie prime, di fonti energetiche petrolifere e di scarsa propensione alla ricerca, fanno sì che l'attacco al costo del lavoro diventi una questione di vitale importanza. Dovendo preparare un'ulteriore stagione di sacrifici, di attacchi al proletariato, in un clima sociale non più di pace, sia per i meccanismi politici dell'opposizione borghese di sinistra, sia per la crescente insoddisfazione che, già maturata da lungo tempo, qua e là è esplosa in manifestazioni di piazza, l'arma del ricatto terroristico sembra essere ritornata sulla scena politica italiana come l'unico mezzo, peraltro secondo una lunga tradizione, per anticipare ogni possibile opposizione. L'omicidio di Biagi, così come la sospetta morte di un collaboratore informatico, avvengono nelle vicinanze cronologiche di uno sciopero generale che da anni non si vedeva. Le missive di Biagi compaiono a mesi di distanza quando la polemica tra Cofferati e il governo è diventata apertamente di rottura, ma soprattutto quando si è presentato il rischio che la ripresa della lotta di classe potesse uscire dai tradizionali binari imposti dalle parti. Questo governo, sin dal suo insediamento, aveva espressamente dichiarato di voler fare anche senza i sindacati. Incauta esternazione che da più parti gli è stata rimbeccata. In seconda battuta il governo ha pensato di spaccare il fronte sindacale isolando quella componente che per ragioni di logiche interne e d'alleanza politica con l'opposizione, sarebbe stata di maggior ostacolo. A questo punto ha giocato la carta del terrorismo non tanto e non solo contro la persona di Cofferati e del sindacato che rappresenta, ma contro il movimento di classe che potrebbe ripartire da un momento all'altro. L'opposizione, da qualunque parte provenga, ai disegni anti operai del governo e della classe economica che rappresenta, viene dunque immediatamente assunta all'interno della categoria politica del terrorismo per essere più facilmente repressa sia con gli strumenti legislativi che con la forza. Questo e non altri sono i termini del caso Cofferati. Questo e nessun altro è l'obiettivo da raggiungere, anche se all'interno di un simile scenario sicuramente trovano posto anche i piccoli regolamenti di conti fra le diverse fazioni degli schieramenti politici sia del centro sinistra che all'interno della stessa compagine governativa.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #7
Luglio-agosto 2002
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