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Home ›L'accordo separato governo-sindacati - La CGIL non firma, ma...
Proprio in questi giorni si è conclusa la vicenda riguardante la "riforma" delle normative del lavoro voluta dal governo Berlusconi. La bozza del "patto per il lavoro", proposta dal governo ai sindacati confederali, che prevede la modifica dello statuto dei lavoratori e, in particolare dell'articolo 18, è collegata organicamente al Dpef, così da ottenere il consenso delle "parti sociali" sull'intera programmazione economica. Mentre CISL e UIL hanno accettato e firmato l'accordo col governo, la CGIL si è dichiarata in disaccordo con la proposta e ha criticato il "patto scellerato", non accettando di sedersi al tavolo delle trattative per il punto riguardante l'articolo 18. Il governo naturalmente, come tutti i governi borghesi, anche se l'attuale in modo smaccatamente arrogante, attua le manovre economiche e finanziarie volute dalla Confindustria, centrate sulla flessibilità, l'aumento dello sfruttamento, sulla precarizzazione, sul passaggio, in parte già avvenuto in questi anni, ai contratti individuali e differenziati e non più statutariamente regolati anche nelle imprese al di sopra dei 15 dipendenti, fino alla volontà di legittimare i licenziamenti senza giusta causa. Provvedimenti che servono per ristabilire la crescita dei profitti, mediante la compressione dei salari, in un periodo di accentuazione della crisi strutturale del capitalismo, già da diversi anni in atto.
Per certi versi sembra essersi riprodotto un clima da anni 50-60, quando CISL e UIL firmavano gli accordi e la CGIL no, fedele alla linea, borghese e riformista, del PCI stalinista, anche se mutato è però il quadro politico generale e internazionale. Ma vediamo meglio. Nella differenziazione tra le posizioni della CGIL rispetto a CISL e UIL entrano in gioco almeno due ragioni: la prima politica, per la opposizione della CGIL al governo di destra, che trova però, in questa fase, l'appoggio solo dell'ala sinistra dei DS e non della maggioranza di Fassino che non vuole rischiare di rompere i rapporti politici nel Centrosinistra e vuole attenuare la linea già moderata, riformista e civile della CGIL; la seconda "sociologica", se consideriamo che tradizionalmente questo sindacato raccoglie il proprio consenso tra gli operai e il proletariato e deve in qualche modo giostrarsi tra le proprie origini classiste e accettazione di fatto della flessibilità, salariale e delle assunzioni, cercando di esercitare una pressione in direzione del mantenimento di alcuni diritti. Per questo la CGIL si mobilita organizzando scioperi, sempre nel rispetto della limitante normativa antisciopero, articolati, regionali e generali. CISL e UIL, invece, vogliono assumere a pieno titolo il ruolo di "cogestori" del business dei "servizi" per i lavoratori, assieme a governo e padroni, attraverso le agenzie di collocamento e gli enti bilaterali, punti cardine della "riforma", che gestirebbero i servizi per i lavoratori, come gli ammortizzatori sociali, la lotta al sommerso da far riaffiorare, la formazione.
Accettano ben volentieri dunque anche il superamento della contrattazione collettiva, puntando sempre ad ottenere l'accordo con le alternative coalizioni politiche borghesi, ora quella berlusconiana, che si avvicendano al governo. Motivano questa politica spregiudicatamente "innovativa" e collaborativa, basandosi sui mutamenti prodotti dal capitalismo, vale a dire il ridimensionamento delle grandi concentrazioni operaie con conseguente tragico aumento della precarietà (esercito industriale di riserva) e la drastica riduzione fino alla scomparsa degli spazi di contrattazione.
Si comprendono meglio storicamente i termini della questione se si tiene presente che i sindacati, fin dalle origini, basano la loro azione di difesa dei lavoratori sulla contrattazione del costo del lavoro e delle condizioni lavorative. Da un punto di vista strategico il sindacato non può essere, per sua stessa natura, uno strumento rivoluzionario, anzi diviene uno strumento di conservazione nei momenti di ascesa della coscienza e della lotta proletaria. Quando si verifica una crescita della coscienza di classe e delle lotte in senso politico, superata dunque la fase della mera contrattazione, i lavoratori decidono attraverso i propri organismi politici di autorganiz --
zazione sempre più orientati alla strategia internazionalista del partito comunista rivoluzionario, senza il quale non esiste possibilità di vittoria e di emancipazione per il proletariato. I sindacati non lottano per il potere, ma conciliano gli interessi dei lavoratori con quelli dei padroni, hanno una funzione di mediazione nello stabilire il costo della forza lavoro all'interno di un quadro economico dato. Se dunque la contrattazione avviene in un periodo di acutizzazione della crisi strutturale, il sindacato, agendo all'interno delle compatibilità del sistema, abbassa il livello della contrattazione in rapporto alle diminuite possibilità di redistribuzio --
ne. Oggi, nella fase prolungata e marcescente del capitalismo monopoli
stico, hanno perso la loro originaria caratterizzazione classista, anche se riformista, e sono diventati, mantenendo alcune differenze tra di loro, per tradizioni storiche e sociali, un autentico pilastro del sistema praticando la concertazione a tutti i costi e la collaborazione, come erogatori di servizi, alle nefaste, per i lavoratori, politiche del lavoro. Detto questo, per entrare più nel merito della odierna vicenda, CISL e UIL, che affermano strumentalmente di voler contrattare in cambio di forti garanzie in materia di ammortizzatori sociali, vengono pienamente smentite dalla sostanza della trattativa. A tal proposito è apparso un articolo di C. Casalini sul Manifesto del 28 giugno sulle assunzioni senza l'articolo 18 che così dice: "volevano a tal punto l'accordo con Berlusconi che gli andava bene qualsiasi cartucella del governo, al buio:...di qui le penose bugie sullo stralcio dell'art.18, che Berlusconi non ha affatto stralciato ma traslocato semplicemente dalla delega, l'848, al testo chiamato 848 bis...CISL e UIL infatti sostengono che nel documento presentato loro dal governo sono già state tolte due delle tre ipotesi di sottrazione ai lavoratori dell'art.18". Rimarrebbe cioè solo la modifica riguardante la sua non applicabilità in rapporto alle nuove assunzioni delle piccole aziende che, attraverso queste, supererebbero la soglia dei 15 dipendenti. In realtà l'articolo 18 viene sospeso per tutti i nuovi assunti, i quali, tra l'altro, potranno essere scelti tra gli assunti con contratto di formazione o con altro tipo di contratto. La CGIL, non potendo, a queste condizioni, firmare l'accordo, si vede spiazzata e totalmente deprivata di potere contrattuale e si mobilita alla ricerca di un consenso, messo in crisi dagli accordi-bidone di questi anni, da lei stessa firmati assieme a CISL e UIL, tutti a sfavore dei lavoratori. Punta dunque alla riconquista delle masse lavoratrici, non secondo un progetto operaio e anticapitalista, ma per contrastare gli effetti più dirompenti del patto dai caratteri nettamente corporativi. La bassa accusa rivolta contro la CGIL, nella quale compare lo spauracchio della complicità col terrorismo, sempre in chiave antioperaia, sempre buono per far quadrare conti che non tornano, si colloca in questo quadro ed emerge proprio nel momento in cui la borghesia punta diritto ad azzerare ogni livello contrattuale che limiti la flessibilità e la sfrenata concorrenza tra le aziende sul piano internazionale e voglia ottenere, con la massima complicità dei sindacati, garanzie di pace sociale nel timore che possano diminuire o annullarsi gli effetti dell'accelerazione "riformista". Dal canto loro, i lavoratori e gli oppressi dovrebbero invece intensificare le lotte in modo autorganizzato, che puntino all'autonomia decisionale della classe, partendo dalle giuste rivendicazioni economiche ma rifiutando la delega e la mediazione sindacale nonchè le posizioni, anch'esse contrattualistiche (vedi salario di cittadinanza europea) dei sindacati antagonisti, e, considerando che la crisi in atto non offre possibilità nemmeno di una redistribuzione delle briciole come nei passati anni, assumere una posizione politica coerentemente anticapitalista.
SBBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #7
Luglio-agosto 2002
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