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Home ›Movimento anti G8: miopia riformista
Il fronte unico della società civile, fossa dell'anticapitalismo proletario
C'è tanta voglia di concretezza nel movimento anti-G8. Altro che comunismo. Altro che rivoluzione proletaria. Certo, certo, in fondo al cuore siamo tutti comunisti e rivoluzionari - ognuno con la sua sfumatura, beninteso - ma ora bando ai massimi sistemi! Per fare le cose seriamente, sostengono a gran voce tutti i paladini dell'anti-G8, bisogna mobilitarsi per conquistare risultati concreti, reali, tangibili... come metter piede nella zona rossa, ad esempio.
Oh, questa sì che è concretezza! Altro che lotta di classe! Altro che scioperi generali che paralizzano la nazione e intaccano i profitti! La zona rossa... Comunque, se proprio vogliamo scioperare, facciamolo tutti insieme! Tutti, tutti, anche gli intellettuali democratici e gli imprenditori "giusti", i professionisti corretti e i bottegai onesti; insomma, facciamo uno sciopero innovativo, basta col solito vecchiume. Facciamo un bello sciopero di cittadinanza!
Ferma, però. Il 20 luglio c'è lo sciopero e la manifestazione del sindacalismo di base, e pur non avendo in termini politici una connotazione proletaria cristallina, sono pur sempre uno sciopero e una manifestazione di lavoratori, i quali, tra l'altro, risultano essere ora come ora i soggetti più sensibili e più disponibili alla lotta del proletariato. E questo è vero. I sindacati di base, però, fedeli alla loro natura profondamente riformista e alla logica opportunista che sempre ne consegue - al di là di un anticapitalismo di facciata sbandierato a intermittenza - non hanno fatto altro che integrarsi nel movimento anti-G8 dei vari Social Forum cittadini, accodandosi al nauseabondo interclassismo dozzinale che li domina.
Uno schieramento politico che avesse avuto a disposizione i numeri e la forza organizzativa del sindacalismo di base e avesse voluto effettivamente affrontare sul terreno di classe la mondializzazione capitalistica, non avrebbe esitato a rompere con il colorito baraccone ultra-borghese di Agnoletto & Company. Invece no. Il pensiero unico del frontismo, ossia il tutti uniti contro il neo-liberismo indipendentemente da ogni altra considerazione, regna sovrano. Si abbandona, o meglio, ci si allontana ulteriormente dalla strada che porta all'unità del fronte di classe, per incamminarsi di buona lena su quella che porta alla cosiddetta società civile, negatrice e affossatrice dell'anticapitalismo proletario.
La guida del movimento contro la globalizzazione è tenuta saldamente in mano dal riformismo istituzionale, che in Italia viene ottimamente rappresentato dall'asse Rifondazione-Tute bianche-Attac. Le componenti più di sinistra del movimento, come ad esempio l'ex-autonomia di classe sbandata e frammentata, si appiattiscono in scioltezza sulle borghesissime parole d'ordine dell'ormai famoso ed acclamato Casarini, tentando magari di mantenere un po' d'identità stradaiola facendo i cattivi con la polizia.
Chiarire all'opinione pubblica che nei cortei non c'è differenza fra i manifestanti buoni, quelli pacifici, e i manifestanti _cattiv_i, quelli facinorosi, ecco di cosa bisogna discutere nelle assemblee pubbliche del movimento. Quando invece i nostri compagni invitano i partecipanti a spendere un po' di tempo sui contenuti politici da dare alla lotta contro la globalizzazione e quindi sul concetto di anticapitalismo, viene sistematicamente rifilato un generale no comment. Di certe cose non si deve parlare. Perché su quelle cose ci si può spaccare. A maggior ragione se - è il caso di Bologna - nel Social Forum arriva ad esserci anche la sinistra della CGIL, oltre che all'Unione degli Studenti e l'Unione degli Universitari, legati niente po' po' di meno che ai DS... il frontismo non ha davvero confini...
Tutto sommato, però, pensandoci bene, è normale che sia così. Nell'epoca di profonda crisi capitalistica che stiamo vivendo, infatti, foriera a livello internazionale di pesantissimi e crescenti attacchi alle condizioni di vita del proletariato, generatrice di guerre e di giganteschi disastri economici e ambientali, i mezzi termini vengono spazzati via dalla cruda realtà: o si lavora apertamente nel campo delle compatibilità capitalistiche cercando - invano - di evitare i guasti più deleteri che il sistema produce, o si fa la scelta, dettata da una necessità storica, della lotta per la rivoluzione proletaria, seminando il programma comunista nella lotta di classe.
Le mezze vie, quelle che vogliono mantenersi antagoniste e radicali svendendo tutti i principi dell'anticapitalismo rivoluzionario, vengono prima o poi inesorabilmente cancellate.
gsBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #7
Luglio 2001
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