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Home ›Il sindacato, asso nella manica del centro-sinistra? Gli "avvertimenti" della CGIL al nuovo governo
Le considerazioni critiche sull'apparente nuovo corso della CGIL, apparse sulle pagine di questo giornale qualche tempo fa (vedi BC/4), possono essere non solo ulteriormente sviluppate, ma ancor più confermate nonostante le bellicose dichiarazioni rilasciate dai vertici del maggiore sindacato italiano all'indomani della vittoria del centro-destra. Anzi, alla luce del disastroso esito elettorale del centro-sinistra, nella scelta della CGIL di non firmare l'accordo sui contratti a tempo determinato (contrariamente alla scelta di UIL e CISL) emerge la lungimiranza politica di alcuni settori, tutt'altro che secondari, dei DS, che, in vista della probabile sconfitta alle elezioni, si sono posti il problema di rifarsi anticipatamente una verginità agli occhi dell'elettorato proletario o genericamente "popolare", più che maltrattato durante i cinque anni di governo dell'Ulivo. Tutti i pezzi grossi del sindacato "di sinistra", Cofferati in testa, hanno lanciato chiari avvertimenti al futuro governo, mettendolo in guardia dall'applicare meccanicamente la "lista della spesa" confindustriale - resa nota a Parma e accolta con entusiasmo da Berlusconi - comprendente la cancellazione di uno dei due livelli contrattuali, l'assoluta libertà di licenziamento, forti sgravi fiscali alle imprese pagati con nuovi tagli al welfare, ecc. Detto in altri termini, questo significherebbe l'esclusione o l'emarginazione del sindacato dalla gestione della forza-lavoro e delle politiche economico-sociali ad essa connesse. Ecco, allora, Cofferati che, in occasione dei festeggiamenti per i cento anni delle Camere del Lavoro di Modena e Reggio Emilia, ha fatto la voce grossa, assegnando alla sua organizzazione il ruolo di difensore irriducibile dei deboli e degli sfruttati e, più in generale, di "vendicatore" del cosiddetto popolo di sinistra.
Al centrodestra che governerà il paese noi diciamo che non accetteremo che vengano messi in discussione alcuni fondamenti dello Stato laico: la scuola pubblica, la sanità uguale per tutti, regole uniformi per la tutela dei diritti delle parsone che lavorano.
il Manifesto, 24-05-01
Così, Cofferati, a Modena. Se non ci fossero in ballo cose estremamente serie, questa dichiarazione potrebbe certamente concorrere alla gara per la miglior barzelletta dell'anno, roba da far impallidire i comici più navigati.
Infatti, se vogliamo cominciare dalla laicità dello stato, senza addentrarci sul terreno più specificamente di classe, è molto facile osservare che nemmeno ai tempi d'oro della Democrazia Cristiana nella televisione "pubblica" si dava tanto spazio alla ruffianeria più sguaiata nei confronti della Chiesa e del suo capo, né i politici - e gli ulivisti in prima fila - avevano raggiunto i virtuosismi nell'arte di prostrarsi ai piedi del vaticano che siamo costretti a sorbirci tutti i giorni durante i telegiornali. Ma, a parte questo, che in fondo potrebbe anche essere considerato un aspetto folkloristico dell'osceno avanspettacolo borghese, ciò che più conta è che va all'Ulivo - con l'apporto determinante dei sindacati confederali - la responsabilità di avere per primo cominciato la svendita della scuola pubblica a vantaggio di quella privata, a grande maggioranza di carattere confessionale. Sia in maniera aperta, con l'istituzione dei "buoni scuola" a favore degli alunni poveri (?) frequentanti le scuole private, sia in modo più subdolo - per es., astenendosi dal costruire asili e scuole comunali per stipulare grasse convenzioni con enti religiosi - alcune regioni "rosse" (Emilia Romagna) hanno fatto da apripista alla privatizzazione della scuola.
Così, mentre da una parte l'Ulivo ha aperto e/o allargato canali per il finanziamento della scuola privata, dall'altra il sindacato ha introdotto nella gestione del personale scolastico criteri peggiorativi, da sempre in vigore negli istituti privati, favorendo il "dimagrimento" del numero dei lavoratori della scuola e del loro stipendio. Solo tagliando posti di lavoro e buste paga, infatti, è possibile "risparmiare" per rimpinzare il portafoglio di "pie" istituzioni in grossa crisi di astinenza... di iscritti. Certo, si tratta di misure che sono state applicate, spesso prima e in modo ancora più duro, in tutti gli altri settori lavorativi e difatti suonano stonatissimi la difesa fatta da Cofferati delle "regole uniformi" e l'attacco al "federalismo" di D'Amato, presidente della Confindustria (il Manifesto, 25-05-01).
Da anni, ormai, l'organizzazione del lavoro sembra essere diventata, agli occhi di un osservatore inesperto, qualcosa che assomiglia molto da vicino a un puzzle complicatissimo. Esternalizzazione, terziarizzazione, per cui due operai che fanno lo stesso identico lavoro gomito a gomito possono "godere" di contratti e "diritti" diversi; contratti week end, a termine, interinali, di emersione, d'ingresso e chi più ne ha più ne metta, tutti tesi ad abbassare i salari e ad aumentare la precarietà, in pratica, ad accrescere lo sfruttamento e il potere del padronato. Altro che "regole uniformi": nella divisione, nella frammentazione della classe operaia il sindacato ha una responsabilità primaria, che, per altro, rivendica continuamente per dimostrare il proprio senso di responsabilità agli occhi della nazione ossia della classe dominante. Eh sì, la faccia tosta sindacale non teme rivali: ci vuole un bel coraggio a scagliarsi contro il "federalismo" di padroni e padroncini, cioè il ripristino della famigerate gabbie salariali di una volta, quando, come abbiamo appena ricordato, le gabbie salariali - cioè il sottosalario per lo stesso tipo di mansione - di fatto esistono già in una stessa azienda e punteggiano numerose aree geografiche, soprattutto nel Meridione. Riparandosi dietro la solita foglia di fico dello sviluppo dell'occupazione, il sindacato ha firmato con padroni e governi (locali e nazionali) diversi accordi che vanno sotto il nome di contratti d'area, patti territoriali, patti per il lavoro, a causa dei quali, di contro a sostanziosi aiuti pubblici alle imprese, la forza-lavoro deve piegarsi a ingoiare salari più bassi e condizioni di lavoro nettamente peggiori dei livelli "normali" - ammesso che oggi sia possibile individuare una "normalità" nelle condizioni di lavoro.
Insomma, la CGIL, fingendo di dimenticare tutto questo, manda dire ai sempre più rapaci - e ingrati - padroni, che le misure anti-operaie non possono essere prese senza di lei, e agita strumentalmente davanti alla faccia della Confindustria e del futuro governo lo spauracchio della lotta:
Le indicazioni di Confindustria producono lacerazione sociale, quindi instabilità e conflitto.
il Manifesto, 25-05-01
Un conflitto che il sindacato ha sempre accuratamente cercato di evitare, di limitare o di addormentare nei rari casi in cui si è manifestato in maniera spontanea, al di fuori degli innocui (per i borghesi) rituali sindacali. Senza l'apporto determinante dei confederali, la devastazione sociale del proletariato non sarebbe avvenuta a costi pressoché uguali a zero per la borghesia, che, al di là della propaganda, si rende ben conto della vulnerabilità della nuova organizzazione del lavoro di fronte all'emergere generalizzato della lotta di classe (quella vera, però) e teme per la fragilità del corso economico mondiale.
Ma le minacce della CGIL non preludono certo all'apertura di una stagione di lotte anticapitaliste, no di certo - anche se il segretario generale della FIOM parla della possibilità di indire uno sciopero. Sarebbe in totale contraddizione con la storia recente e lontana del sindacato, cioè con la sua natura. Ricorda piuttosto, lo richiamiamo ancora una volta in chiusura, il classico avvertimento che una cosca manda a quella rivale affinché non vengano alterati gli equilibri tra briganti.
Chi, come sempre, ne pagherà le spese, sarà il proletariato, al quale verranno offerte solamente nuove illusioni e rinnovate disillusioni, per rinsaldare le catene del capitale.
CBBattaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #6
Giugno 2001
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