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Home ›Elezioni 2001 - La resistibile ascesa del Cavaliere
Queste elezioni, apparentemente scontate, si prestano ad una serie di considerazioni. La prima è che la Casa delle Libertà, l'involucro di cui Berlusconi si è servito per i suoi interessi elettorali e non, ha vinto nonostante che in Europa e all'interno della stessa destra storica italiana, le perplessità e le ostilità fossero tante e pesanti. Non soltanto riguardo alle sue presunte aderenze alla mafia, ai suoi trascorsi piduisti, ai falsi in bilancio per ungere i meccanismi politici italiani, francesi e spagnoli, ma anche per le sue dimostrate incapacità a tenere le piazze, e per quel suo dichiarato sentimento politico verso l'amministrazione Bush, che lo ha reso sospetto presso la quasi totalità della socialdemocrazia europea e presso buona parte dei cosiddetti poteri forti italiani. Non che con Berlusconi al potere la vocazione italiana all'Europa venga meno, ma in un clima politico ed economico sempre più teso tra Europa e Usa, la ricerca di accreditamento oltre oceano ha fatto storcere il naso a molti, fatta salva l'augusta, e peraltro moderata eccezione di Agnelli, in maggiore sintonia con gli Usa grazie agli accordi produttivi con la General Motors.
Tutto merito delle televisioni e della indiscussa capacità di sfruttare la tecnica della comunicazione in chiave di condizionamento delle coscienze politiche più deboli? Si certo, ma solo in parte, la conflittualità all'interno dell'Ulivo ha fatto abbondantemente il resto. La borghesia di sinistra, quella che ha amministrato la più pesante politica anti operaia del dopo guerra, quella che in nome della pace sociale e del senso di responsabilità nei confronti del capitale, ha imposto al proletariato italiano di tutto, dalla precarietà del posto di lavoro alla riforma delle pensioni, ha fatto anche di tutto per perdere lo scontro elettorale. Prima la lite con il radical riformismo di Bertinotti, poi le accuse d'egemonismo da parte di Castagnetti contro i Ds, a seguire la faida tra D'Alema e Veltroni, infine la decisione degli ex stalinisti di non aiutare il candidato Rutelli.
Conclusione, sullo scenario mediatico, già ampiamente dominato da Berlusconi e dai suoi stipendiati, sono mancati gli apporti di tutti i Ds. Ognuno ha curato il suo collegio, ha ingaggiato tenzoni elettorali sulla candidatura a sindaco, ha tentato di rafforzare la sua posizione all'interno del partito annunciando rifondazioni di tipo laburista, senza dare un serio contributo alla vittoria dell'Ulivo. È stato così che i vari D'Alema, Veltroni, Folena, Violante e Salvi non sono apparsi nell'arengo telematico lasciando campo libero ai colleghi della destra, in una sorta di suicidio politico.
Altro dato che salta agli occhi sino all'evidenza è che la mafia ha creduto di individuare il suo "nuovo" referente politico. In Sicilia ben 61 collegi su 61 sono andati alla Casa delle Libertà. Successo storico, nemmeno ai tempi di Lima e Ciancimino, la Democrazia Cristiana era riuscita a tanto. Il patto scellerato tra mala vita organizzata e politica sembra poter continuare, trovare nuova linfa, i voti sono giunti a destinazione, ora toccherebbe al potere politico fare la sua parte in termini di revisione della legge sui pentiti, di riforma del codice penale, di insabbiamenti ecc. Bagaglio vecchio ma di fresca attualità visti i personaggi che sono in circolazione ai vertici della politica italiana.
Per l'immediato dopo elezioni, due sole osservazioni. La prima è che il neo presidente del consiglio porterà a termine l'aggressione contro il mondo del lavoro che i governi precedenti di centro sinistra hanno abbondantemente iniziato. In gioco non c'è più la precarizzazione del posto di lavoro, la flessibilità in entrata, il lavoro interinale, la decurtazione del potere d'acquisto dei salari, lo smantellamento dello stato sociale. A questo hanno pensato i governi Prodi e D'Alema, quel centro sinistra che chiedeva voti e fiducia perché altrimenti sarebbero arrivate al potere le destre che avrebbero fatto lo stesso lavoro ma con meno successo nel condizionare la classe operaia. Al centro destra, dunque rimane soltanto il compito di completare l'opera. Berlusconi ha già annunciato misure impopolari quali una ulteriore riforma delle pensioni, la flessibilità in uscita, ovvero la possibilità di licenziare con o senza giusta causa, una minore tutela per i lavoratori, salari al minimo e massimo sfruttamento. Il "lavoro sporco" non cambia, non cambiano i committenti quali la Confindustria, il mondo imprenditoriale delle grandi concentrazioni produttive, il capitale finanziario e l'inderogabile legge del profitto. Cambiano i commis, prima erano di "sinistra" oggi sono dichiaratamente di destra, ma qui sta il problema. Per la borghesia è indifferente che a fare il "lavoro sporco" sia la destra o la sinistra, l'importante è che il lavoro sia fatto mantenendo la pace sociale, ovvero facendo in modo che l'oggetto dei sacrifici sociali subisca senza scendere in piazza, senza porre ostacoli ai meccanismi di valorizzazione del capitale. Riuscirà il nuovo governo ad ottenere la stessa sudditanza da parte della classe operaia? C'è da dubitarne.
Lo stesso Berlusconi ne è cosciente al punto che la sua prima mossa sarà quella di tentare di rompere il fronte sindacale. Una rottura che abbia come finalità, non la rinuncia ad un organismo di mediazione di cui la borghesia non può fare a meno, bensì l'isolamento di quella componente che, per il gioco delle parti e per la sua collocazione nelle file dell'opposizione, è da considerarsi estranea alle dinamiche dell'attuale governo. La rottura dovrebbe isolare la Cgil di Cofferati e puntare sulla collaborazione di Cisl e Uil degli ex Larizza e D'Antoni. Da qui la seconda osservazione.
Negli scenari futuri dell'opposizione, indipendentemente dalla rottura o meno del fronte sindacale, è già prefigurato il ruolo della Cgil. Opposizione dura, intransigente, in termini di pensioni e sanità, difesa degli interessi dei più deboli, delle famiglie mono reddito e dei lavoratori in generale. Ben detto "compagno" Cofferati, ma ci sorge il dubbio che simili slogan abbiano soltanto un involucro strumentale e nessun contenuto effettivo.
È un copione già visto e recitato nel '94. Allora, durante il primo governo Berlusconi, la Cgil di Cofferati con tutta l'opposizione diessina, ha mobilitato oltre un milione di lavoratori contro la proposta di riforma della pensioni. Caduto il governo Berlusconi, la stessa Cgil ha appoggiato la realizzazione delle riforme Dini - Prodi senza battere ciglio. Con il governo D'Alema ha fatto passare il più pesante attacco nei confronti dei lavoratori che mai la borghesia abbia imposto. I problemi del proletariato non sono merce di scambio per finalità politiche. Non si finge di impugnarli quando conviene avere dietro una massa d'urto per combattere un governo di segno opposto, né si violano nel momento in cui le forze borghesi di riferimento sono al potere.
Il proletariato deve avere coscienza che la ripresa della lotta di classe, l'individuazione e il perseguimento dei propri interessi non devono essere oggetto delle tattiche politiche del sindacalismo. Sarà ripresa di lotta di classe solo se i lavoratori sapranno separare il loro percorso politico da quello strumentale del sindacato, in caso contrario tutte le istanze di lotta finiranno per essere strumento politico di una parte della borghesia contro l'altra, ma mai nel solco di un'autonomia di classe lontana dalle sirene della borghesia di "sinistra".
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #6
Giugno 2001
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