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Home ›Demagogia democratica e fascista e realtà di classe
Dall'archivio. In tema di guerra, vale la pena far conoscere a un più vasto pubblico moderno quel che gli internazionalisti dicevano nel lontano dicembre 1943, in piena guerra mondiale immediatamente dopo la caduta del fascismo. È un articolo di questa testata quando essa appariva, clandestinamente, in forma di giornale, prima di trasformarsi in rivista teorica del partito e Battaglia comunista ne prendesse il posto come giornale semi-legale. Lo ripubblichiamo come occasione e materiale di meditazione per coloro che oggi, proditoriamente dichiarantisi internazionalisti, pensano bene di appoggiare uno dei fronti della guerra, più debole e dunque - per loro - da sostenere. Da Prometeo del 1-12-1943
Ogni stato belligerante ha bisogno, per convincere la massa operaia della suprema utilità e santità del massacro, di prendere una certa tintarella sociale o addirittura socialista. Il "socialismo nazionale" di Hitler ha servito di paravento alla preparazione bellica della Germania; il "piano Beveridge" serve a Churchill per barattare i sacrifici presenti dei lavoratori contro la promessa di una vita comoda e di una vecchiaia tranquilla nell'avvenire.
E poiché questa demagogia sociale è tanto più necessaria quanto più profonda è la crisi del sistema borghese, è naturale ad analoghi trattamenti di chirurgia estetica sentano l'urgente bisogno di sottoporsi soprattutto gli stati in cui il marasma sociale e politico interno minaccia di sconvolgere le basi stesse della società borghese. Non per nulla, punto di minor resistenza dell'edificio capitalistico mondiale, lo stato fascista repubblicano cerca, autoproclamandosi socialista, di riguadagnare presso il proletariato il prestigio clamorosamente perduto.
Questa manovra in se stessa puerile, è uno dei più clamorosi esempi della degenerazione capitalista. Quella stessa borghesia che, nella tremenda crisi sociale dell'altro dopoguerra, lanciò sul mercato l'articolo del fascismo, movimento "repubblicano e proletario", e poi - una volta imbrogliati i più ingenui - gli tolse la maschera e lo presentò per quel che era, cioè un movimento monarchico, forcaiolo e schiettamente padronale, per abbatterlo infine quando minacciava di travolgerla nell'abisso dell'avventura bellica, quella stessa borghesia rispolvera oggi i vecchi arnesi demagogici del 1919 nella speranza di legare al suo carro una parte almeno della massa operaia come se fossero passati invano venti anni di reazione antiproletaria, di orge capitalistiche, di sfrontati guadagni digeriti all'ombra dei bassi salari, della protezione doganale, dell'autarchia e, infine, della guerra.
Con un colpo di bacchetta, il capitalismo si trasforma in...socialismo. Ora, che cos'è questo socialismo di cui la recente dichiarazione programmatica del Partito fascista preannuncia la funzione rivoluzionaria? Il socialismo dei cosiddetti "adeguamenti salariali" e della partecipazione agli utili (arma vecchia di almeno mezzo secolo), con cui la classe padronale ha spesso cercato di cointeressare l'operaio alle sorti dell'azienda promettendogli per la fine dell'anno un invito a pranzo; il socialismo della difesa del piccolo coltivatore, delle cooperative di produzione e di consumo, dell'esproprio delle terre coltivate male o non coltivate affatto, che riprende cioè i temi obbligati del più logoro e pantofolaio riformismo; un socialismo che si impegna a ricostruire le commissioni interne e a dar vita ad una confederazione generale di soli lavoratori liberamente eletti, nello stesso momento in cui scatena nei centri operai e nelle fabbriche una reazione spietata; un socialismo, soprattutto, che dichiara di voler mettere al centro dello stato il lavoro, ma si affretta subito a proclamare inviolabile e protetta dallo stato la proprietà privata; che minaccia la guerra alla plutocrazia internazionale, ma ripudia la lotta di classe, anzi vuole la conciliazione fra le classi; che lancia fulmini e tuoni contro il capitalismo monopolistico, ma non ha neppure il coraggio di parlare di nazionalizzazione del monopolio.
Salari equi, partecipazione agli utili, commissioni interne, sindacato libero, cooperative di produzione e consumo: un altro passo avanti e il programma fascista repubblicano coinciderà punto per punto col programma sociale dei cinque (o sei) partiti antifascisti, tanto è giusta la nostra tesi che fascismo e democrazia sono due facce diverse di una realtà sola. Ed è naturale, poiché, se nell'Italia fascista repubblicana il programma di rivendicazioni sociali tende a rendere più popolare la guerra tedesca, nell'Italia democratizzata lo stesso programma tende a rendere popolare la guerra inglese.
Demagogia, dunque, da ambo le parti. Ma al fondo di questa mascheratura c'è una realtà tragicamente seria: la realtà di una crisi sociale di cui la classe dominante avverte già i sintomi minacciosi, e della quale si preoccupa di ritardare a qualunque costo l'esplosione. Siatene certi: pur di non cedere sulla questione di fondo - sul suo dominio di classe - la borghesia fascista o democratica sarà domani disposta (e lo è già oggi) a cedere sulle questioni secondarie, ad aumentare un pochino i salari, a lasciar sorgere delle commissioni interne che ha tanti modi per corrompere, a subire il controllo delle entrate da parte di organismi operai preventivamente narcotizzati. Può darsi anche che, in extremis, ceda su qualche cosa di più e che in questo gioco trovi un fraterno appoggio nell'opportunismo di certi sedicenti partiti operai. Spetta a noi fin da oggi smascherare una manovra che, con la vecchia e sempre giovane arma della collaborazione, tende a spuntare l'impulso rivoluzionario del proletariato e dimostrare ogni giorno e ogni ora che la soluzione della tesi sociale non può avvenire entro i confini dell'economia e dello stato capitalista, e presuppone come primo e fondamentale atto il grande colpo di scopa della rivoluzione proletaria.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #3
Marzo 2000
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