Il governo D'Alema e il futuro delle pensioni

In nome delle future generazioni, il governo D'Alema ha varato dei provvedimenti che servono solo ad affossare la previdenza pubblica per favorire l'appropriazione da parte del capitale di una massa enorme di denaro da utilizzare nelle attività finanziarie.

L'attacco della borghesia italiana allo stato sociale ed in particolare al sistema pensionistico pubblico nel corso degli ultimi anni è stato perpetrato senza soluzione di continuità. Tutti i governi italiani degli anni novanta hanno fatto a gara per vincere la sfida fra chi si dimostrava più incisivo nel tagliare la spesa sociale e risanare i disastrati conti pubblici. Tutto questo era giustificato con l'obbiettivo di raggiungere l'Europa di Maastricht. Con l'entrata dell'Italia nell'euro ci si aspettava un cambiamento di rotta nella politica economica dell'esecutivo, ma a guardare i fatti nulla è cambiato. Il governo D'Alema ovviamente non è sfuggito alla logica imposta dal grande capitale è puntualmente a più riprese, con la fattiva collaborazione dei sindacati, ha manifestato la volontà di mettere mano in materia pensionistica, anticipando i tempi della riforma previdenziale. Gli ex stalinisti al potere, per il cinismo connaturato nel loro DNA con il quale perseguono gli obbiettivi, si sono dimostrati e si dimostrano rappresentanti insostituibili della borghesia italiana.

Lo scorso dicembre, in concomitanza della crisi burla e la nascita del "nuovo" governo, il D'Alema bis è stato varato un provvedimento per favorire la crescita della previdenza integrativa privata. Grazie agli incentivi fiscali concessi ai grandi gruppi bancari ed assicurativi, il governo spera di far decollare definitivamente la finanziarizzazione del sistema pensionistico italiano con l'obbiettivo di affossare ulteriormente il sistema pensionistico pubblico, quello cosiddetto a ripartizione e favorire lo sviluppo dei fondi pensioni privati. Per i sostenitori del sistema previdenziale basato sui fondi pensione privati, nei prossimi anni se non si riforma la previdenza pubblica si andrebbe verso un collasso della stessa, con danni incalcolabili per le generazioni future. Secondo costoro, inoltre, la riforma sarebbe necessaria anche per garantire ai contributi pensionistici versati dai lavoratori rendimenti più elevati poiché i fondi pensioni privati, in quanto collegati ai mercati finanziari, sarebbero molto più redditizi di quelli a ripartizione; insomma: una riforma che nel medio-lungo periodo si dovrebbe dimostrare non solo necessaria ma sostanzialmente conveniente per gli stessi pensionati italiani.

Andiamo a vedere se le affermazioni dei sostenitori della privatizzazione della previdenza sociale trovano conferma nell'esperienza storica, oppure se sono solo il frutto di una propaganda che ha come unico scopo quello di mettere mano ad una massa enorme di denaro, finora gestito dall'INPS, e con che scopi. Uno studio di John Mueller sulla situazione previdenziale degli Stati Uniti, pubblicato sul numero quattro della rivista "Surplus ci aiuta a capire come stanno le cose.

Lo studio è il frutto di anni di ricerca statistica sulla realtà dove con maggior intensità si è sviluppato il fenomeno dei fondi pensione privati. Affinché un sistema previdenziale sia efficiente, il rendimento dei contributi previdenziali deve avere nel lungo periodo un andamento simmetrico alla crescita dell'economia reale; negli ultimi 70 anni tale crescita è stata del 3,2%, ma secondo i sostenitori della privatizzazione della previdenza tale percentuale è destinata a ridursi all'1,4 mentre nello stesso periodo il rendimento delle attività finanziarie, al netto del rischio di volatilità, è stato del 7,4%. Nel suo lavoro Mueller dimostra che il rendimento annuale delle attività finanziarie se viene depurato dal rischio di volatilità dei mercati, che secondo un suo precedente studio statistico rappresenta il 2,5% dell'investimento, è in realtà più basso di un sistema a ripartizione.

Anche i più accesi sostenitori della privatizzazione del sistema pensionistico non possono fare a meno di ammettere che in passato il sistema a ripartizione ha avuto dei rendimenti nettamente superiori a quelli fatti registrare dal mercato finanziario; infatti, negli ultimi 75 anni il sistema pensionistico pubblico ha avuto un rendimento di circa il 9% annuo. Ma per i privatizzatori tali rendimenti saranno destinati a ridursi considerevolmente nei prossimi anni per tre ordini di motivi. Il primo elemento che bisogna considerare è che in futuro il sistema a ripartizione non potrà più godere dei vantaggi d'avvio del sistema; secondo i privatizzatori il sistema pensionistico pubblico ha goduto di rendimenti più elevati anche a causa dei vantaggi che si registrano sempre nella fase d'avvio di un sistema ma che in futuro non potranno più verificarsi. Un secondo fattore sarà determinato dal rallentamento dell'economia nei prossimi anni; se l'economia reale è destinata a rallentare il proprio ritmo di crescita ciò non potrà che tradursi in una proporzionale riduzione dei rendimenti dei contributi previdenziali. Un terzo fattore è costituito dal pensionamento dei baby boomers che in ultima stanza tradotto significa che sempre meno lavoratori debbono produrre per pagare la pensione a un numero sempre più grande di pensionati.

L'insieme di questi tre fattori dovrebbe portare, secondo i fautori della privatizzazione, il sistema a ripartizione se non al collasso quanto meno ad avere un rendimento più basso di quello del mercato finanziario. Ma, come fa giustamente rilevare nel suo lavoro Mueller, non si capisce perché il cambiamento del quadro generale dell'economia nei prossimi anni si rifletterà negativamente solo sul sistema a ripartizione e non anche sull'andamento del mercato finanziario. Mueller ha confrontato i dati statistici dell'andamento del mercato finanziario e quelli relativi all'economia reale ed ha notato che, tranne qualche brevissimo intervallo, il rendimento degli investimenti finanziari è del 2,5% più elevato rispetto a quello della crescita dell'economia reale. Però tale maggior rendimento del 2,5% rappresenta il rischio di volatilità che gli investitori sono disposti ad assumersi per investire nel mercato finanziario. Ora se consideriamo che la crescita dell'economia nei prossimi anni, a detta degli stessi privatizzatori, è destinata ad avere un ritmo annuo del 1,4% anche il mercato finanziario è destinato ad avere rendimenti nettamente più bassi rispetto al passato senza contare il rischio di veder svanire nel nulla i contributi pagati dai lavoratori per la propria pensione a causa di qualche sempre possibile crollo verticale dei mercati borsistici internazionali.

In realtà, come dimostra lo studio di Mueller, i tagli alle pensioni e le agevolazioni ai fondi pensione privati, non servono per tutelare i futuri pensionati da improbabili bancarotte della previdenza pubblica, ma mirano a favorire la confluenza sul mercato finanziario di ingenti capitali e la loro centralizzazione con lo scopo di dare anche in Italia impulso a tutte quelle attività finanziarie di tipo speculativo con cui il grande capitale finanziario si appropria di quote crescenti di rendita finanziaria per compensare la diminuzione del saggio medi del profitto vero elemento motore della crisi del terzo ciclo di accumulazione del capitale.

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Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.