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Home ›Chavez: l'incredibile ritorno di una illusione
A partire dalla crisi scoppiata al principio degli anni '90 nel governo di C. A. Pérez (il celebre CAP artefice della nazionalizzazione del petrolio nel 1976) i partiti politici storici (il democristiano COPEI e il socialdemocratico AD) si dimostrarono incapaci di arrestare la disintegrazione dello Stato e di assolvere il ruolo di mediatori tra una società sempre più indocile e lo Stato. Dopo i vari tentativi falliti di contrastare la ribellione antistituzionale attraverso la costituzione di nuovi partiti, alla borghesia non rimaneva come ultima carta che il radicalismo democratico. Dopo le "ribellioni" militari burla del 1992 e, specialmente, negli ultimi due anni, è emersa la figura del colonnello Hugo Chàvez. Quasi immediatamente, attorno alla sua immagine si è scatenato un incandescente dibattito che, a causa dell'importanza del paese (il principale fornitore occidentale di petrolio degli USA) ha avuto una grande eco nei mezzi d'informazione del globo. Occorre dunque sapere quale sia il ruolo di Chàvez in Venezuela e, partendo da qui, stabilire in quale modo inciderà sugli indirizzi futuri del continente. Mentre alcuni vedono in lui il vecchio caudillo militar-populista latino-americano, altri lo considerano una figura innovatrice nella quale confluiscono le influenze dei generali antimperialisti del Perù degli anni '70, il castrismo, le teorie keynesiane e, naturalmente, il panamericanismo bolivariano. Alla fine pare che abbia prevalso l'opinione della stampa "di sinistra" internazionale che lo presenta come un rappresentante degli oppressi e degli emarginati, sollevatosi contro "le ineguaglianze", "contro la mondializzazione economica e la dittatura dei mercati finanziari".
Malgrado "la sinistra" mitomane, il clamore attorno a Chàvez è in relazione con i panegirici su di lui, ma anche con la reazione dei portavoce del potere tradizionale, i cui timori tendono ad ingigantirlo sempre di più. Tuttavia, l'apprensione che ispira la riforma dello Stato alle sfere del potere non è sufficiente per farne un rivoluzionario. Solo l'estrema semplificazione con cui la sinistra associa il sistema di dominio con un regime politico specifico, di cui presumibilmente è emanazione, permette di dare una qualifica di "rivoluzionario" a personaggi come Chàvez. Ma quali sono le ragioni per le quali viene identificato con un attributo tanto minaccioso? Forse le sue critiche ripetute al neoliberalismo e all'impatto dei mercati finanziari mondiali? Ancora una volta i popoli e solo i popoli - i quali non sono nient'altro che un'immagine usata indistintamente da opposte fazioni borghesi per dare un'apparenza di universalità agli interessi particolari che rivendicano politicamente - "devono recuperare la sovranità sul proprio destino, usurpata dalla cospirazione dei consorzi finanziari imperialisti"? In questo senso, lo stesso G. Soros, il celebre re delle borse mondiali, dovrebbe a giusto titolo essere considerato un rivoluzionario. Nel 1997 egli pubblicò un polemico scritto in cui "attaccava" con grande durezza il sistema capitalista, affermando che "il libero mercato e il laissez - faire sono la più grave minaccia esistente oggi contro la società aperta, la pace mondiale e la cultura democratica. Senza un'accorta regolazione da parte dello Stato e un'avanzata politica di ridistribuzione della ricchezza, il mercato polarizza barbaramente la società tra pochi ricchi e moltissimi poveri, crea un clima di tensione e di violenza sociali, distrugge il consenso e genera un clima propizio alla rinascita delle ideologie antidemocratiche".
Ma a noi non interessa la retorica, bensì le condizioni reali che la sottendono. Lo stesso Chàvez, l'ultimo arrivato sul podio dei rivoluzionari, ha capito perfettamente, a differenza degli ideologi della sinistra europea, che la sua influenza politica deriva da un clima di emergenza del Potere sempre più pesante. Conviene sottolineare gli aspetti più rilevanti della situazione per capire le vere coordinate della sua azione. Negli ultimi vent'anni il suo paese, che nel 1970 occupava il terzo posto nell'esportazione mondiale di petrolio, è passato al quinto posto; con la diminuzione del prezzo del greggio degli ultimi dieci anni (escludendo, naturalmente, gli ultimi sviluppi, n.d.r.), anche gli introiti dell'esportazione sono crollati. Il tenore di vita della maggior parte della gente oggi è inferiore a quello di dieci anni fa. Lo stesso Chàvez ha descritto l'amministrazione pubblica come il regno della burocrazia, nel quale il controllo di una posizione offre ampie possibilità di arricchimento personale e di sottopotere. I partiti che si succedettero al governo, AD e COPEI, semplicemente creavano istituzioni, nominavano o licenziavano funzionari secondo l'andamento dei governi. Da ciò emerge come le diverse amministrazioni abbiano subordinato l'apparato dello Stato ai loro propri particolari interessi di casta, limitandosi a disimpegnare una funzione vegetativa nella riproduzione dell'economia e della società, senza una visione strategica dello sviluppo. Per avere un'idea dello svilimento delle amministrazioni dello Stato venezuelano è utile riferirsi al raffronto fatto da U. Pietri: "La vendita di idrocarburi ha fatto incassare allo stato, tra il 1976 e il 1995, circa 270 miliardi di dollari. A titolo di raffronto, il Piano Marshall, che dopo la seconda guerra mondiale permise la ricostruzione dell'Europa Occidentale, rappresentò un aiuto di appena 13 mld di dollari. Un piccolo paese come il Venezuela che riceve, in diritti petroliferi, una somma equivalente a 20 piani Marshall... Questa cifra astronomica non è riuscita a dotare il paese né di infrastrutture minime né a ridurre le scandalose ineguaglianze sociali" (Le Monde diplomatique, dicembre '98). Quando il prestigio dei partiti precipitava sotto il peso delle accuse di pertinace corruzione cui veniva comunemente attribuita la responsabilità della decadenza economica e politica del Venezuela, Chàvez, col suo golpe da operetta del 1992, elettrizzò un paese umiliato dal corrotto giogo dei baroni politici. Mentre costoro si facevano impopolari con l'eliminazione dei sussidi per i servizi di base - col conseguente aumento di prezzo dei beni essenziali - Chàvez emergeva santificato dall'aureola del martirio. Stanche di penare mentre i loro dirigenti prosperavano, le masse desideravano ardentemente un cambiamento e facilmente si riconobbero in Chàvez, il politico che era andato più in là di tutti nella sfida al regime. Fu anzi colui che seppe meglio sfruttare la psicologia del boom che ha spinto la gente a conservare la speranza di continuare a vivere come durante l'epoca dorata del petrolio e fa in modo che la spiegazione del nuovo stato di cose si cerchi fuori dalle condizioni strutturali dell'economia capitalista e dei suoi movimenti ciclici. Pertanto, la sua vera forza sta nella storia recente del paese, della quale sono vittime e carnefici i suoi immediati predecessori.
Come movimento politico il chavismo parte dalla constatazione che le privatizzazioni dell'ultimo decennio hanno arricchito solo i ricchi. I costi immediati sono pagati dalla classe media e dai lavoratori. L'orizzonte della classe media si è completamente oscurato: le piccole e medie industrie sono incapaci di competere con le maquilas (1) e le grandi concentrazioni industriali del Messico, gli impiegati pubblici perdono il posto nella misura in cui gli apparati burocratici si ridimensionano e i lavoratori sprofondano nella disoccupazione e nella miseria allo stesso ritmo con cui le imprese si riconvertono tecnologicamente o i proprietari trasferiscono i capitali ad altre latitudini. In questo contesto il lavoro dei politici per somministrare sedativi sociali alle masse diventa troppo difficile. Il loro discredito cresce tanto quanto devono tagliare i presupposti con i quali controllavano i movimenti sociali. Malgrado la sua retorica incendiaria, Chàvez è venuto per neutralizzare tutto questo. Applicherà lo stesso programma portato avanti dallo screditato Salinas de Gortari in Messico verso la fine degli anni '80: l'ipertrofia dello stato venezuelano (il quale conta 1.3 milioni di statali in un paese con 20 milioni di abitanti) è precisamente uno degli obiettivi delle riforme progettate. Egli stesso darà continuità, con un rigore che i suoi due predecessori mai avrebbero potuto conseguire, alla restaurazione dello Stato iniziata nella prima metà degli anni '90, vendendo un vasto portafoglio di imprese e riducendo la burocrazia con cui pagavano i loro favori politici, rallentando l'inflazione, rafforzando la rendita petrolifera e negoziando migliori condizioni per il debito esterno. Insomma, quello che CAP ha vissuto prima come tragedia, Chàvez lo vive oggi come commedia.
La commedia nella tragedia
L'America Latina vive oggi tra la tragedia e la commedia. La tragedia delle masse sopra le quali si sono abbattuti tutti i cicloni del mondo: quelli della natura e quelli della mondializzazione capitalista. La commedia della sinistra che si appresta a ripetere le formule salvatrici che sono appena naufragate nel resto del mondo. Il panorama è chiaro: la nuova ondata cosmopolita del capitale si scontra con le resistenze nel seno stesso delle proprie borghesie nell'ambito di una reazione "naturale" contro l'impoverimento delle classi medie causato dall'andamento del capitale. Guardate gli zapatisti e il PRD [Partito Rivoluzionario Democratico, n.d.r.] in Messico, Chàvez in Venezuela, Il P.T. [Partito dei Lavoratori, n.d.r.] in Brasile, le FARC e l'ELN [formazioni guerrigliere, n.d.r.] in Colombia... Nonostante tutte le loro differenze, queste forze hanno un tratto comune: l'appello allo Stato come meccanismo di salvezza. Formata dalla vecchia e nuova classe media, la cosiddetta "sinistra" latino-americana non è, in tal senso, niente più che un movimento di resistenza alla mondializzazione e ai suoi effetti: eliminazione dello "Stato sociale", deindustrializzazione, crescita della disoccupazione, maggiore concentrazione del capitale. In generale, gli interessi e la coscienza di quei settori non si sono adattati alla situazione concreta del mondo moderno né alla rivoluzione che esso contiene: non rappresentano gli interessi del futuro, ma quelli della conservazione sociale. Malgrado la strumentalizzazione di alcune rivendicazioni dei lavoratori, il loro movimento usa il proletariato solamente come combustibile e forza d'urto dei meccanismi del dominio. Infatti, la soluzione alle urgenze delle masse non è compresa nei propositi di questa nuova socialdemocrazia: il suo obiettivo è di usare lo Stato per proteggersi dall'assalto spietato delle leggi del capitalismo. Però, potranno le nazionalizzazioni e gli strumenti giuridici e amministrativi dello Stato creare di nuovo quel mondo paradisiaco immobile e circondato da sicure mura protettrici a cui tanto aspira lo sconsolato piccolo-borghese di fronte alla mondializzazione dell'economia e alle sferzate del capitale finanziario internazionale?
JA(1) Le maquilas sono le fabbriche e fabrichette sorte numerosissime in Messico - spesso con capitale statunitense - immediatamente a ridosso del confine con gli USA, nelle quali lavorano in condizioni di super sfruttamento miglia e migliaia di operai, in gran parte donne e ragazzi.
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Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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