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Home ›Finanza e guerra sempre più a braccetto
Cannoni e bombe sempre più in sincronia con i movimenti dei mercati finanziari
Un tempo, le notizie provenienti dalle Borse in pieno clima festaiolo avrebbero al massimo trovato spazio in qualche trafiletto nelle pagine di borsa riservate agli specialisti. Oggi non è più così; infatti le prime pagine dei giornali sia alla fine del 1999 sia all'inizio del nuovo anno hanno riportato a titoli cubitali le notizie provenienti dai mercati borsistici internazionali per commentari le variazioni dei listini.
Già da qualche decennio i fatti del mondo finanziario hanno acquistato un'importanza tale da meritare le prime pagine dei giornali. La crisi di ciclo iniziata nei primi anni Settanta e lo sviluppo della microelettronica hanno, infatti, generato processi di ristrutturazione radicali e prodotto una nuova divisione internazionale del lavoro che nei paesi industrialmente più sviluppati si è tradotta in una crescita senza precedenti della sfera finanziaria divenuta ormai di gran lunga più grande di quella industriale. In conseguenza di ciò, nei paesi anglosassoni e negli Stati Uniti in particolare (ma da qualche tempo anche nell'Europa dell'euro), dagli alti e bassi dei mercati borsistici dipendono ormai non solo le sorti delle grandi imprese finanziarie, ma anche quelle di non pochi pensionati, di molti lavoratori e di una buona parte del ceto medio impiegatizio costretti dalle nuove politiche di smantellamento del cosiddetto stato sociale a riversare i loro contributi pensionistici e quelli sanitari nelle casse dei fondi-pensione e/o della assicurazioni e i loro eventuali risparmi nei Fondi di investimento comuni che li investono nelle borse di tutto il mondo per trarne profitti elevatissimi. Guadagni e perdite dei listini che un tempo si compensavano fra loro con scarse o nessuna conseguenza sulla cosiddetta economia reale, da almeno venti anni si ripercuotono immediatamente sulle politiche industriali delle imprese, sui livelli della domanda e su tutti i parametri macroeconomici. La nascita dei derivati finanziari e l'abbandono del sistema dei cambi fissi hanno reso possibile un'interconnessione permanente fra il mercato dei titoli mobiliari e quello dei cambi. Oggi, i paesi che dispongono di una moneta con un certo status internazionale (cioè accettata come mezzo di pagamento anche all'estero) possono facilmente trasferire sulle economie dei paesi meno forti buona parte dei propri costi di mantenimento e/o di aggiustamento che il ciclo macroeconomico via via impone e sempre più spesso anche gli affare delle varie borghesie locali vengono conclusi utilizzando di più la moneta internazionale di riferimento che quella locale. Nei paesi dell'ex Jugoslavia, per esempio, del dinaro non c'è più quasi traccia essendo stato soppiantato dal dollaro e dal marco.
Gli Stati Uniti sono il paese che meglio e più di ogni altro, grazie al loro status di unica superpotenza, hanno potuto e saputo approfittare delle nuove opportunità offerte dalla deregolamentazione dei mercati finanziari (da loro voluta e propugnata), di quella del mercato del lavoro e più in generale della cosiddetta globalizzazione dell'economia. Manovrando sui tassi di interesse, Greenspan il presidente della Fed appena riconfermato da Clinton, è riuscito a fare ciò che nessuno dei suoi predecessori non avrebbe potuto mai fare: tenere in piedi Wall Street garantendo nel contempo un flusso costante di capitali a sostegno del gigantesco debito pubblico, una bilancia dei pagamenti in perenne deficit e un dollaro superquotato; a contenere la disoccupazione e ad assicurare tassi di crescita, sicuramente inferiori a quelli ufficiali, ma tali da evitare un riaccartocciamento dell'economia e l'apertura di una lunga fase depressiva. I media borghesi parlano addirittura del "miracolo Greenspan" omettendo di parlare anche del rovescio della medaglia cioè della distruzione economica di intere aere del pianeta e l'affamamento di milioni e milioni di individui. Tutte le inversioni di rotta della politica monetaria adottata da Greenspan hanno avuto conseguenze terribili: il crollo delle cosiddette Tigri asiatiche, la grave crisi in cui da anni si dimena il Giappone, il crollo del Messico fino e quello della Russia sono tutti eventi che hanno avuto direttamente a che fare con le modificazioni dei livelli dei tassi di interesse statunitensi decisi dalla Fed. La verità è che oggi è facile fare miracoli se si dispone di una valuta forte come il dollaro. Chi per accedere al mercato internazionale è costretto a servirsi del dollaro e dalle altre valute forti paga un prezzo elevatissimo che ovviamente scarica sul proprio proletariato. Il fortissimo indebolimento delle monete e degli stati nazionali a favore dei processi di concentrazione e centralizzazione dei capitali a livello almeno continentale scaturisce appunto dalla necessità di ridurre la dipendenza e massimizzare la rendita finanziaria come unica possibile risposta alla crisi di ciclo che si manifesta con la tendenza alla caduta del saggio medio del profitto.
Il controllo del petrolio e di tutte le materie prime, che un tempo interessava i paesi della metropoli imperialista perché assicurava rifornimenti a basso costo, ora è indispensabile soprattutto perché le variazioni del suo prezzo si riflettono sui rapporti di cambio fra le diverse monete, sui tassi di interesse e tutti gli altri parametri macroeconomici e quindi sui processi di appropriazione e spartizione della rendita finanziaria. Un dollaro in più o in meno del prezzo del barile, sposta da una parte all'altra del pianeta enormi quantità di ricchezza.
La posta in gioco è talmente alta che la lotta per questo controllo sostanzia come mai è stato in passato di sé tutto il moderno scontro interimperialistico. I cannoni sparano e le bombe cadono in piena sincronia con i movimenti che i banchieri delle più importanti banche centrali imprimono ai tassi di interesse e alla massa monetaria in circolazione. La guerra, che pure sempre ha avuto nello scontro fra interessi economici contrapposti la ragione principale del suo verificarsi, è ormai a tal punto espressione di questi contrasti da essere divenuta essa stessa una leva della politica economica e monetaria. Un rincaro del prezzo del petrolio, per esempio, riflettendosi sui rapporti di cambio, può tranquillamente sostituire un rialzo dei tassi di interessi negli Usa e poiché bastano poco bombe su Baghdad per farlo crescere ecco che Baghdad viene bombardata. Né si deve pensare che ciò debba necessariamente dispiacere alla borghesia irachena (almeno quella che controlla l'estrazione del petrolio) visto che l'aumento del prezzo del greggio si tradurrà in una crescita dei suoi profitti in dollari e quindi anche della sua rendita finanziaria che il dollaro consente di realizzare. Insomma, guerra e finanza, guerra e appropriazione parassitaria di plusvalore viaggiano a braccetto come non mai e costituisce un tratto caratteristico di questa fase dell'imperialismo.
In talune situazioni, il contrasto di interessi che ciò determina è così forte che fazioni di una stessa borghesia nazionale si aggregano su fronti opposti fino a dar luogo alla frattura trasversale degli Stati, soprattutto di quelli più deboli. È da qui che proviene il combustibile che alimenta quella serie infinita di guerre che dilagano ormai in tutti e cinque i continenti. Queste ultime per non essere guerre aperte fra Stati vengono facilmente camuffate come guerre civili, tribali e/o di religione. Quella del Kossovo, per esempio, è stata spacciata addirittura come una guerra "umanitaria"; ma in realtà sono guerre imperialiste in piena regola con la tendenza a durare nel tempo e a moltiplicarsi. Per una che si chiude dieci se ne aprono e il risultato è la guerra permanente, una sorta di fabbrica a ciclo continuo con tanto di bilancio a fine anno per il calcolo dei profitti e delle perdite non tanto in termini di vite umane, ma di quattrini.
I processi di privatizzazione in atto in tutto il mondo e in tutti settori, infatti, non hanno risparmiato neppure gli eserciti e la guerra oltre che per le sue connessioni con i processi di appropriazione e distribuzione della rendita finanziaria anche come attività in sé è sempre più un ottimo affare. Per esempio, la logistica Nato in Macedonia è stata affidata interamente a ditte private e privati sono anche molti degli eserciti in campo sia perché, a causa della disintegrazione degli Stati, spesso fanno riferimento solo ai capi delle fazioni in lotta, sia perché con sempre maggiore frequenza i loro soldati sono dei mercenari. Figure "che almeno in Europa non esistevano più dal XV e XVI secolo i signori della guerra... Gente che era in grado di influire nella vicenda politica grazie all'organizzazione di un proprio esercito privato." (E. J. Hobsbawm - Intervista sul nuovo secolo - pag. 15 - ed. Laterza) sembrano resuscitare in versione moderna.
Anche se le spinte alla sua generalizzazione si fanno sempre più forti, molto probabilmente per qualche tempo ancora sarà la guerra di questo tipo a occupare la scena perciò è di fondamentale importanza la precisa comprensione del suo carattere imperialistico. D'altra parte, essa non per questo è meno distruttiva o è più basso il tributo (anche di sangue) che il proletariato internazionale è chiamato a pagare. Secondo alcune le stime, la Serbia ha subito più danni nelle poche settimane di bombardamenti dello scorso anno che in tutta la seconda guerra mondiale. Si pone, dunque, con estrema urgenza il problema della ricostruzione del partito rivoluzionario su scala internazionale perché senza di esso non potrà mai esserci una seria opposizione di classe alla guerra che poi è anche l'unica che la può fermare. Consapevolezza dell'urgenza e anche consapevolezza che non si tratta di fare una sommatoria di gruppi e gruppettini più o meno richiamantisi al marxismo, ma di un lavoro di paziente tessitura da svolgersi sulla base della più grande chiarezza programmatica e metodologica.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
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