Il dopo Eltsin in Russia

La guerra in Cecenia è il preludio all'inasprirsi delle tensioni interimperialistiche

Grandi manovre sono in corso all'interno dello stato russo per ridefinire la mappa del potere e le nuove strategie imperialiste in grado di intercettare l'incessante avanzata degli Stati Uniti.

È all'interno del partito del presidente che si sono rimescolate le carte per dare continuità alla banda che governa il paese da dieci anni e congedare il logoro Boris Eltsin. Questi personaggi che hanno rapinato il paese, condotto l'economia come fosse un affare privato, pensando che gli effetti taumaturgici della speculazione finanziaria avrebbe compensato il disimpegno dell'apparato produttivo, hanno ritenuto opportuno giocare un'altra carta.

Apparentemente Vladimir Putin, che già ricopre la carica di capo del governo ed è stato designato presidente ad interim dal dimissionario Eltsin il 31 dicembre scorso, sembra una figura politicamente scialba anche se dotata di una certa energia e autorità. Il suo passato nei servizi segreti e il gradimento che riscontra tra i militari allo stesso tempo può stare ad indicare una svolta nella strategia imperialista russa.

Lo scontro in atto tra la nomenclatura post sovietica, si fa per dire visto che i notabili convertiti al liberismo provengono tutti dal vecchio regime, e quella borghesia nazional-comunista (compresa parte dei vertici militari) che è stata tagliata fuori dal banchetto e che sogna la riscossa della grande madre Russia, molto probabilmente si deciderà nei prossimi mesi. E non si può escludere che potrà essere proprio l'uomo a cui Eltsin e i suoi accoliti hanno consegnato i pieni poteri ad affossarli. La guerra in Cecenia, contrariamente a quanto ritiene la stampa borghese occidentale, non è solamente un banco di prova per Putin in vista delle elezioni presidenziali del 26 marzo, in sostanza un modo per capitalizzare la sua attuale popolarità. Al contrario l'esito positivo delle operazioni militari potrebbe essere il preludio al tentativo della Russia di ridisegnarsi un ruolo nello scacchiere mondiale che avrebbe come conseguenza l'inasprimento delle tensioni tra le maggiori potenze imperialistiche.

Dal punto di vista interno un minimo di aggiustamento e razionalizzazione dell'economia non può che passare attraverso la liquidazione dell'attuale corrottissimo entourage politico e dei suoi ricchi malavitosi referenti. Le fortune di tale apparato sono legate agli intrecci determinatesi in questi anni con l'amministrazione americana, la quale manovrando sui prestiti sborsati dal Fondo monetario internazionale ne ha sostanzialmente comprato la docilità.

Sul piano internazionale la remissività della Russia, dovuta soprattutto all'intrinseca debolezza più che alla natura della sua casta politica, ha favorito lo spadroneggiare dell'imperialismo statunitense, tanto che l'ombrello protettivo della Nato si è esteso sino agli ex paesi satelliti e minaccia direttamente i suoi confini. Inoltre un tale stato delle cose ha permesso agli americani di incunearsi nell'area petrolifera del Mar Caspio, un tempo di totale pertinenza russa, e sul controllo del greggio si gioca una partita di vitale importanza.

Naturalmente il petrolio della zona ha valenze differenti per americani e russi. I primi se riusciranno a portare a termine il loro progetto avranno praticamente il monopolio mondiale del greggio, di conseguenza un'arma di ricatto potente nei confronti dei concorrenti, sia dal punto di vista della competitività economica che, e soprattutto, per quanto riguarda il dominio del dollaro sul piano speculativo-finanziario. Condizione indispensabile per continuare a intascare parassitariamente l'enorme torta della rendita, ovvero la capacità in qualità di potenza dominante di estorcere plusvalore sul proletariato mondiale. Nella realizzazione di questo disegno gli Usa sono a buon punto visto che praticamente Georgia, Ucraina, Azerbaigian, Moldavia rientrano nel sistema di sicurezza della Nato. Oltretutto l'accordo di ottobre tra i presidenti arzebaigiano e turco, con la supervisione di Clinton, per la costruzione di un oleodotto che da Baku arriva a Ceyhan nel Mediterraneo, significa tagliare fuori la Russia dal passaggio del petrolio di tutto il Caspio meridionale.

Per la Russia, invece, venuta meno la capacità di accaparrare extra profitti a causa del tracollo dell'ex impero e ridimensionate le sue velleità di predone di pari livello rispetto ai concorrenti americani ed europei, il petrolio significa valuta pregiata, cioè dollari. Nel 1999, in conseguenza della svalutazione del rublo effettuata l'anno precedente che ha fatto precipitare i già magri salari, e all'aumento del prezzo del petrolio sul mercato internazionale, prima voce dell'export russo di materie prime, vi è stato un accenno di ripresa della produzione industriale (circa il 7,5% in più), che dovrebbe fare salire il Pil del 2%. Dopo anni di caduta della produzione, sino a dimezzarsi rispetto al 1991, non è certamente poca cosa.

Proprio per l'importanza strategica del petrolio questa volta la Russia ha deciso di intervenire decisamente per chiudere i conti con gli indipendentisti ceceni di Shamil Basev, il quale appoggiato dagli americani e utilizzando la copertura dell'ideologia religiosa sta cercando di creare anche in Daghestan uno stato islamico. Prospettiva che se realizzata precluderebbe alla Russia anche il Caspio settentrionale e i progetti di nuovi oleodotti. Cosa che Mosca non può assolutamente permettere.

All'interno di questi giochi gli europei per il momento non sono in grado di metterci il naso più di tanto, data la debole coesione interna ancora tutta in divenire, che si riflette conseguentemente nell'inconsistenza sul piano della forza militare. Però non vi è dubbio che l'imperialismo europeo, soffocato e messo all'angolo dallo strapotere americano, deve trovare una propria via di uscita. Una Russia non più in grado di ritornare agli antichi fasti, ma che in qualche modo rialzi la testa e ponga un argine alla penetrazione militare diretta in Europa degli Usa, non può che essere vista con favore dagli europei.

La collisione di interessi tra i grandi predoni imperialisti a cui le miserabili borghesie locali offrono il pretesto per confrontarsi indirettamente sono ormai una costante della dinamica di crisi del capitale. L'unico grande assente è il proletariato, più esso rimarrà impigliato nella rete del capitale incapace di reagire, più i contrasti interimperialistici si acuiranno e seguiranno il loro corso. È proprio il caso di sottolineare che la pace sociale tra le classi è oggi più che mai sinonimo di guerra.

cg

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.