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Home ›I referendum della "banda Bonino" un altro tassello dell'offensiva antiproletaria
Libertari o liberisti, i radicali sono sempre quelli: saltimbanchi del capitale
Tra i tanti squallidi figuri che pullulano nell'apparato ideologico della borghesia, ai radicali spetta indubbiamente un posto d'onore per i tanti anni di "onorata" carriera al servizio del capitale e delle sue cosche politiche. Coerenti con il loro opportunismo borghese, hanno cavalcato tutte le correnti della scena politica italiana, dimostrandosi abili a cambiare cavallo in corsa a seconda di dove tirava il vento. Campioni negli anni '70 di una certa sinistra "libertaria", si battevano per le cosiddette libertà civili (dal divorzio, all'aborto, al "fumo" liberi) del tutto compatibili con qualsiasi stato borghese moderno meno condizionato da preti e medici interessati, e chiamavano compagni i militanti delle Brigate Rosse. Sono stati poi le bajadere del craxismo negli anni '80 e, dopo avere adottato l'immagine di Gandhi come simbolo del partito, hanno appoggiato (e appoggiano) con ardore tutte le recenti guerre che l'imperialismo statunitense ha condotto contro gli imperialismi rivali, compreso quello europeo, costretto per il momento nello scomodo ruolo di "alleato".
L'ultima uscita di questi per niente distinti personaggi è la campagna per i referendum "liberali e liberisti" cominciata quest'estate. Come tutti sanno, sono venti le questioni su cui i radicali chiamano alla consultazione popolare, ma quelli che interessano davvero la classe operaia e il mondo del lavoro salariato-dipendendente si riducono a circa la metà. In sé e per sé non rappresentano affatto una novità, non essendo altro che una antologia espressa in termini particolarmente chiari del pensiero borghese ossia delle ricette elaborate, propagandate e soprattutto applicate dagli schieramenti politici che si sono avvicendati al governo in questi anni, da Amato a D'Alema, passando per Ciampi, Berlusconi e Prodi. Infatti, la filosofia di fondo che lega i referendum è molto semplice (e falsa): basta flessibilizzare e precarizzare al massimo grado l'organizzazione complessiva del lavoro per far aumentare i profitti di "santa" impresa, quindi creare occupazione e rendere tutti felici e contenti. Non solo, ma ci sarebbe pure il vantaggio di assomigliare alle tanto (da loro) decantate democrazie anglosassoni, dove gli operai, grazie al liberismo, non se la passerebbero poi tanto male. Non ci credete? Basta tirarsi su le maniche, tapparsi il naso, e affondare le mani nei volantoni distribuiti ai banchetti per cogliere vere perle di falsità e spietatezza antiproletarie. Per accrescere l'occupazione "facilitando l'incontro fra la domanda e l'offerta di lavoro" bisogna spazzare via ostacoli burocratici - residui di un'altra fase storica del capitale, diciamo noi, n.d.r. - quali il collocamento statale e dare il via alle agenzie private che sanno soddisfare le "esigenze delle aziende"; in sostanza, caporalato legalizzato e ridipinto come le agenzie del lavoro interinale. Stessa cosa per il part-time o i contratti a tempo determinato, oppressi, secondo la banda Bonino, da una legislazione che "limita la possibilità di trovare un'occupazione temporanea o di durata incerta" contribuendo in tal modo alla "elevata disoccupazione italiana". A dire il vero, forse presi per un nanosecondo dal senso del ridicolo, i referendari ammettono che "negli ultimi anni, per la verità, il sostanziale divieto è stato sempre più spesso aggirato attraverso il ricorso ai contratti di formazione, all'apprendistato o a deroghe", ma ritrovano subito la propria anima forcaiola accusando il sindacato di rendere macchinose quelle procedure. Al che, ci viene - si fa per dire - un dubbio: ci sono o ci fanno? Chi ha firmato, e giusto con le motivazioni addotte dai radicali ossia quelle di incentivare l'occupazione, la sfilza di contratti e Patti di vario tipo che devastano la vita del proletariato? Ma in nostri "gandhiani", da veri estremisti della borghesia, non si accontentano del già tanto che hanno e gridano: vogliamo tutto! Infatti, ai padroni non basta che la creazione di nuovi posti di lavoro di cui si vanta D'Alema sia costituita al 90% di lavoro precario (fonti ISTA e Bankitalia) come in tutte le cosiddette democrazie industriali, bisogna eliminare anche quel 10% residuo per far felici, prima di tutto, i lavoratori stessi. Come dicono i pannelliani, "milioni di persone, infatti, opterebbero per un lavoro part-time" se solo la burocrazia la smettesse di intralciare gli spiriti vitali e benefattori del mercato. Cioè, secondo quei signori, milioni di proletari preferirebbero addirittura campare con la metà, o giù di lì, dei magri salari a tempo pieno, ribaltando in tal modo i termini della questione: per chi, da proletario, si presenta sul mercato del lavoro sempre più spesso non esiste alternativa tra la disoccupazione o le diverse forme di sotto-occupazione a salario variamente ridotto chiamate flessibilità. Una flessibilità che per far sentire i suoi "benefici" influssi deve riguardare non solo l'entrata (l'assunzione) ma anche l'uscita, cioè il licenziamento. Basta con gli assurdi e dannosi vincoli alla libertà d'impresa: quando si rompe il rapporto di fiducia tra imprenditore e dipendente (dato che, come tutti sanno, si va a lavorare per la fiducia...) il padrone - pardon, datore di lavoro - deve poter mettere alla porta il lavoratore fellone senza temere il reintegro imposto da una magistratura "compiacente" (al massimo la riassunzione "comunque meno onerosa" o un'indennità in denaro) come accade per le aziende che non superano i 15 dipendenti. È evidente che se passasse la generalizzazione di una simile normativa, essa funzionerebbe come il classico cavallo di Troia nelle già debolissime difese del lavoro salariato, perché nel giro di poco tempo anche queste verrebbero completamente demolite.
Ma il culmine dell'isteria antiproletaria si raggiunge forse nel referendum "per abolire da subito le future pensioni di anzianità". Insomma, che cosa vogliono questi feroci saltimbanchi del capitale? Anche qui niente di "straordinario", cioè niente che non sia condiviso dalla quasi totalità dello schieramento parlamentare (e sindacale), governo naturalmente incluso, ossia l'applicazione immediata e integrale, qui e ora, della riforma Dini del sistema pensionistico. Perché aspettare la sua graduale attuazione, perché tirarla per le lunghe fino al 2008? Per il bene dei giovani (aridaje!) e della patria bisogna impedire già da ora che chi non ha 57 anni e almeno 35 anni di contributi possa vigliaccamente abbandonare il suo posto di lavoro, pugnalando alle spalle le speranze delle generazioni future! Con un linguaggio degno di Maria Antonietta (la regina di Francia a cui il popolo rivoluzionario di Parigi revocò senza tanti complimenti titolo e incarico) la quale agli affamati che chiedevano il pane rispose con scherno di ripiegare sulle brioches, la signora Bonino invita i lavoratori attorno ai 50 anni ormai prossimi alla pensione a non fare tanti capricci, perché
Dovrebbero soltanto fare il "sacrificio" [notare le virgolette, n.d.r.] di attendere tre o quattro anni in più [...] Non si tratta di grandi sacrifici, rispetto al gravissimo danno nei confronti delle prossime generazioni: si tratterebbe invece di un primo segnale di responsabilità e di equità nei confronti di quei giovani lavoratori che oggi pagano contributi elevatissimi in previsione [...] di pensioni pari alla metà di quelle attuali.
Già, che cosa sono tre o quattro anni in più di fabbrica, dopo una vita intera passata a sgobbare? Sarebbe un sacrificio per chi non ha mai messo piede in un posto di lavoro, per chi da sempre intrallazza e intriga nei palazzi del potere, per chi vive sulle spalle e sulla pelle degli operai, ma per questi ultimi no: sono già allenati, quindi anno più anno meno... A parte l'infamia di quelle posizioni e del linguaggio con cui sono espresse, è interessante l'ammissione che le pensioni del domani non garantiranno affatto un tenore di vita decente, anzi, un tenore di vita qualsiasi, perché saranno appunto "pari alla metà di quelle attuali", e se le dicono loro...
Giunti a questo punto, è inutile attardarsi sugli altri referendum che toccano più direttamente i salariati, quali quelli sul Servizio Sanitario Nazionale e sul "Monopolio INAIL" per "abolire l'obbligo" di iscriversi a questi enti, "fermo restando l'obbligo di assicurazione", dato che sono chiaramente uno spot a favore delle compagnie di assicurazione private, le quali non vedono l'ora di banchettare con i sempre più miseri risparmi proletari: la distruzione del sistema pensionistico e sanitario, ivi compreso l'INAIL, è in tal senso fondamentale.
Per quanto oggi siamo lontani da quel momento, da rivoluzionari comunisti lavoriamo fiduciosi perché il proletariato giunga un giorno a "revocare" alla borghesia la sua funzione, sempre disumana e da gran tempo antistorica, nonostante le signore Bonino si sforzino di farci credere il contrario.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #9
Settembre 1999
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