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Home ›Come si razionalizzano le pensioni
I proletari, anziani e giovani, sempre al centro delle contabilità borghese: il dare dei lavoratori e l'avere dei capitalisti
La campagna propagandistica e intimidatoria per altri tagli alla spesa previdenziale (abbondantemente coperta dai "versamenti" prelevati per oltre mezzo secolo sui salari di decine di milioni di operai) si va intensificando.
In prima battuta, il riconoscimento ufficiale del "meritevole ruolo che ha avuto il Sindacato in questi anni per rimettere in sesto l'azienda Italia", dall'accordo del 3 luglio '93 in poi, compresa l'approvazione delle tre precedenti riforme pensionistiche: 1992, governo Amato; '95, Dini; '97, Ciampi. Quindi si passa, per rispetto dei ruoli, con l'additare gli stessi Sindacati che hanno fin qui sostenuto tagli e bastonate di ogni tipo, come gli oppositori di nuovi urgenti "risanamenti" dell'economia nazionale. Al punto che l'irruente Marcegaglia, alla testa dei giovani industriali, definisce il Sindacato come "una delle principali forze conservatrici del Paese".
La verità - fra conservatori e...progressisti del bel mondo borghese - è un'altra. Il Sindacato ha ormai toccato livelli bassissimi di credibilità tra i lavoratori: se i Cofferati, D'Antoni e Larizza di turno non dovessero più riuscire a tenere a bada la base, non solo si ridimensionerebbero le quote di potere, politico e finanziario, attualmente amministrate dalle Confederazioni, ma, fatto ancor più grave, si rischierebbe il riacutizzarsi della sopita lotta operaia. Quindi, un colpo al cerchio ed uno alla botte, affinchè le Confederazioni non perdano completamente la faccia; ma mentre mass-media e partiti fingono di avere a che fare con un Sindacato che si intestardisce nel difendere i "privilegi" di operai e pensionati (additati come parassiti sociali), contemporaneamente il tenebroso Cofferati concede interviste al Corriere (14 luglio) testualmente reclamando:
a) "Il coraggio di ritirare anche uno sciopero giusto, se l'opinione pubblica lo percepisce come iniquo";
b) "Un decreto legge che regoli in maniera chiara il diritto di sciopero nei servizi pubblici: gli scioperi non regolati rappresentano una emergenza nazionale".
c) "Le tariffe ferroviarie vanno sicuramente aumentate, e così pure la produttività dei lavoratori". Più progressisti di così!
Alla recita dell'infinito tormentone previdenziale si accompagna il coro lamentoso della Corte dei Conti, Istat, Fondo Monetario, Banca Centrale Europea, Ocse, ecc. preoccupati dal debito pubblico di Germania, Francia e Italia, che varia fra il 156 e il 180 per cento del Pil. Ne danno la colpa alla copertura della spesa previdenziale e sociale invece che all'accumularsi delle ruberie gestionali statali, ai rapaci interessi delle borghesie nazionali e ai sostegni diretti e indiretti elargiti ai capitalisti. Un esempio di casa nostra: dal 1986 al '98 lo Stato avrebbe versato all'Inps 760 mila miliardi, ma di questi ben 585 mila hanno riguardato la copertura di spese improprie all'Inps. Dalle assistenze e integrazioni varie ai sussidi sociali e agli sgravi contributivi regalati alle aziende.
I conti in rosso vengono addebitati e pagati dai lavoratori - e non certo dai ladroni di ieri e di oggi - tant'è che nei prossimi anni il prelievo sui salari dovrebbe aumentare almeno tra il 2,5 e il 3,4 per cento, solo per mantenere lo stesso livello dei debiti statali. La Banca Comune Europea è esplicita: "la media dei trasferimenti alle famiglie (dei salariati - ndr) in Eurolandia deve calare in modo sensibile", a cominciare dai pensionati. Poiché il rapporto operai (iscritti all'Inps) e pensionati è stato nel '98 di 109,3 a 100, cosa accadrà fra qualche anno, quando già si prospettano due pensionati (e milioni di disoccupati) per ogni proletario occupato, magari precariamente? E per le leggi economiche del capitale poco conta se quell'operaio sarebbe in grado di produrre non per due ma almeno per una decina di anziani e giovani. Nella società capitalista si produce solo per il profitto, non certo per i bisogni di chi altro non possiede se non la propria forza-lavoro. Figuriamoci poi per chi viene considerato fisicamente e mentalmente non più produttivo o comunque superfluo nella produzione di merci per il mercato. È la logica del capitale: se il profitto è in crisi, il "reddito" proletario deve diminuire per ridargli ossigeno. La riduzione del costo del lavoro, imperativo dell'epoca imperialista, significa taglio dei salari, delle pensioni e - nel nome dell'equità e del sostegno ai più deboli in allarmante espansione - di quel che rimane del famoso Stato Sociale.
Il futuro previdenziale di una classe operaia letteralmente in ginocchio, viene così "disegnato": una pensione minima, da fame, quale "copertura di base" attraverso il vecchio sistema a ripartizione (presto sostituito per tutti da quello a contribuzione: chi non ha dato, cioè pagato all'Inps, non riceve). A chi potrà permetterselo, il capitale offrirà piani di risparmio individuali finalizzati a un assegno pensionistico integrativo, comunque anch'esso da fame. Gli strumenti previdenziali legati a schemi aziendali o di categoria avranno poche possibilità di garantire qualcosa in più: le prospettive offerte ai proletari sono quelle di lunghi periodi di lavoro precario, saltuario, part-time o di disoccupazione.
I fondi pensione sarebbero una ghiotta preda per compagnie di assicurazione, Banche, Società gestione risparmi, ecc. Ma l'allarme è già suonato: infatti l'adesione dei lavoratori, quelli occupati, vede i giovani sotto i 30 anni rappresentare meno del 10 per cento degli iscritti ai fondi chiusi di origine contrattuale. Meglio allora il risparmio individuale per soddisfare le necessità di accumulazione del capitale e sostenere il parassitario sistema finanziario. Almeno finché la crisi non azzererà i conti per tutti.
Intanto, batti batti, il taglio delle pensioni di anzianità è ormai, anche per i Sindacati, l'imminente boccone da far digerire: amaro per i proletari, ma dolce per la borghesia che "risparmierà" circa 2.500 miliardi. Pochi, certamente, ma il menù offre altri piatti: ancora innalzamenti dell'età pensionabile o aumenti del periodo di contribuzione (con risparmi previsti di 20.000 miliardi annui entro il 2.020). E i Sindacati sono pronti per i successivi passi, purché "negoziati" e tutt'al più rispettosi della fatidica data del 2.001. Un termine sul quale, eventualmente, le Confederazioni potrebbero tentare di sfiancare i lavoratori, portandoli in piazza per una pura formalità di date (e per qualche gioco politico di Palazzo).
Continuerà la classe operaia a fare da passiva spettatrice all'osceno spettacolo?
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #9
Settembre 1999
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