Un nuovo patto sociale per il lavoro (e i profitti)

Le grandi trasformazioni del tessuto economico e i tagli alle spese sociali avvenute in questi anni, hanno messo in crisi il complesso sistema di ammortizzatori che negli anni ’80 aveva tamponato e diluito gli effetti delle ristrutturazioni produttive e della crescente disoccupazione.

Il ridimensionamento dei grandi complessi industriali, la delocalizzazione nel territorio delle attività produttive, il diffondersi del modello di fabbrica flessibile, hanno dilatato la disoccupazione in tutte le sue forme e determinato la nascita di nuove e complesse tipologie di lavoro, anche formalmente autonome ma con alti livelli di controllo e direzione da parte delle imprese committenti, tanto più elevati quanto più le prestazioni lavorative sono inserite nel ciclo della produzione e hanno a che fare con le attività di servizio alle imprese.

I dati statistici, affermano che ogni tre nuovi lavori che si creano, due di questi hanno la caratteristica di occupazioni cosiddette atipiche (collaboratori, soci-lavoratori di cooperative, saltuari, stagionali, trimestrali). Già adesso il rapporto tra il lavoro considerato tradizionale (dipendente più o meno stabile) e il lavoro non tradizionale (instabile, comprese le occupazioni autonome) è di 9,4 milioni a fronte di 14,2 milioni di occupati. Alla lista dei nuovi lavori instabili bisogna infatti senz'altro aggiungere una buona fetta di quelle 5.000.000 di partite IVA presenti in Italia, aperte da lavoratori che prestano la loro opera prevalentemente e esclusivamente per un solo cliente o ricevono in subappalto temporaneo pezzi di lavorazione da parte delle imprese locali.

Sul piano sociale poi, i continui tagli alla spesa hanno logorato il sistema di incentivi e di assistenza che permetteva la sopravvivenza in condizioni difficili dei ceti più deboli e garantiva il consenso nei confronti delle istituzioni pubbliche.

Per cercare di arginare la crisi, governo, padroni e sindacato, stanno elaborando un nuovo patto sociale in grado di andare oltre il vecchio sistema di garanzie e integrare le esigenze di flessibilità delle imprese con la necessaria razionalizzazione dei servizi sociali attraverso l’utilizzo dei disoccupati in lavori di pubblica utilità e in attività mirate, a basso profitto, promossa da imprese miste.

Per quanto concerne il mercato del lavoro è in preparazione un accordo quadro finalizzato a rivedere le regole fissate nell’accordo del 23 luglio '93.

Nella prima bozza, diffusa dai quotidiani, le imprese dovrebbero destinare parte dei profitti futuri a investimenti nelle aree più svantaggiate per ampliare la base produttiva e creare occupazione e i sindacati dovrebbero accettare di ridurre le rigidità del mercato del lavoro (libertà di assumere a tempo determinato e di licenziare).

Ma il progetto degli industriali è andare ben oltre la libertà di licenziamento, la loro intenzione dichiarata è il superamento della dicotomia tra lavoro dipendente e autonomo istituendo una nuova figura giuridica di "lavoro coordinato" che dovrebbe raccogliere da un lato il lavoro autonomo-professionale che gravita attorno all'impresa e dall'altro alcune figure professionali ancora presenti nei posti di lavoro e che invece i padroni vorrebbero espellere ricavando un alleggerimento di alcune fasi del ciclo produttivo (progettazione, assistenza, manutenzione, controllo di qualità ecc.). Con questa operazione gli industriali avrebbero così l’opportunità di avvalersi di manodopera temporanea e servizi a basso costo da utilizzare esclusivamente per la durata di tempo desiderato eludendo di fatto qualsiasi limitazione legale o vincolo contrattuale.

Agli enti pubblici invece spetta il compito di riorganizzare la sfera del volontariato, dell'associazionismo, della cooperazione sociale creando le condizioni perché sorgano imprese miste in grado di competere, anche con il privato, sul terreno della produzione dell'offerta di servizi alla persona, per la valorizzazione dei beni ambientali e culturali, per la cultura il tempo libero e lo sport.

Questa prospettiva esige però anzitutto una disponibilità da parte dei precari e disoccupati ad accettare come vincolo i criteri della sostenibilità economica delle nuove strutture di servizi. Questo significa, in definitiva accettare un impiego magari come soci-dipendenti di imprese che saranno costrette a lavorare in condizioni precarie, con orari prolungati a basso salario.

Per reperire finanziamenti inoltre, verranno attivate forme inedite collaborazione con istituti privati e fondazioni bancarie disposte ad investire in questo settore utilizzando, congiuntamente agli enti locali, capitali misti e finanziamenti europei.

Ai disoccupati, precari e al volontariato si lascia il mercato dei servizi sociali, dell’assistenza agli anziani e disabili, dei lavori più gravosi e peggio remunerati mentre alle imprese, le finanziarie e le banche si offre l’accesso agevolato ai finanziamenti e ai progetti economicamente più appetibili.

Come piano per lo sviluppo sostenibile ed equo non c’è male.

LP

Battaglia Comunista

Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.