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Home ›Le offerte del capitale: più disoccupati e meno salari
Con le ipocrite promesse di posti di lavoro viene messo in ginocchio tutto il proletariato - A dettar legge sono i bisogni del capitale e le esigenze del mercato
Gli attacchi della borghesia contro il proletariato (una delle tante dimostrazioni concrete che la lotta fra le classi non è una ideologica invenzione del vecchio Marx) si sono da anni concentrati su due precisi obiettivi: ridurre il salario, diretto e indiretto, e aumentare lo sfruttamento della forza-lavoro attraverso l'introduzione di avanzate tecnologie e adeguate riorganizzazioni dei processi produttivi. La disoccupazione ha così raggiunto cifre spaventose e le condizioni di vita del proletariato sono peggiorate.
L'incrociarsi di cause ed effetti crea una stretta interdipendenza fra le realtà in cui si manifestano le tendenze del conflitto che contrappone capitale e lavoro, borghesi e proletari. Soprattutto quando i primi sentono su di s‚ i morsi della crisi, e i secondi si trovano in una fase di smarrimento al seguito di una serie di tragiche sconfitte ancora non criticamente assorbite.
La riduzione dei salari è oggi una impellente necessità per il capitalismo che deve recuperare maggiori quote di plusvalore, indispensabili per affrontare la crescita degli investimenti di nuovi capitali. Masse enormi di plusvalore da suddividere in profitti industriali e rendite finanziarie parassitarie. Ne fa le spese il proletariato, classe sfruttata e sottomessa, sia con la riduzione del suo potere d'acquisto in generale e sia con l'espulsione dalle fabbriche e dagli uffici, dove l'aumento della produttività richiede la sostituzione dell'uomo con sofisticati macchinari. L'imponente esercito dei disoccupati, che fa parte integrante del modo di produzione capitalistico, viene usato dalla borghesia come arma di ricatto per frenare e per ridurre le rivendicazioni degli occupati, e per abbassare le condizioni di vita di tutto il proletariato.
Il capitalismo ha esaurito ogni possibile ricetta contro uno dei suoi mali incurabili. L'unica condizione perché‚ il capitalismo possa impiegare e sfruttare forza-lavoro sarebbe la creazione di nuove aziende capaci di sfornare prodotti-merci che il mercato sia poi in grado di assorbire. (Sorvoliamo la drammatica questione delle tante produzioni inutili o dannose e dell'imbecille consumismo, fenomeni diffusi dallo "sviluppo" del capitalismo.) Questo non è più possibile oggi, quando i volumi di produzione sono già spinti al massimo e nonostante ciò mettono in forse la stessa sopravvivenza dell'economia e della accumulazione capitalistica. Non rimane altro, per la borghesia, che sforzarsi a convincere i proletari affinché, per il loro ...interesse, accettino oggi quei sacrifici che domani, forse, potrebbero assicurare giorni migliori. Nel caso specifico, e secondo la formulazione ipocritamente solidaristica lanciata da D'Almea: "meglio un salario basso che un disoccupato in più".
La borghesia attacca però il proletariato usando costruzioni ideologiche differenti. Non tutti sposano le idee del PDS ed anzi si fingono scandalizzati. Qualcuno si rende conto che con un costo del lavoro già ufficialmente inferiore del 30% al Sud rispetto al Nord (salari d'ingresso, contratti di formazione e d'area), la prossima mossa del capitale sarà quella di abbassare i salari anche al Nord. Dopo di ciò non si avrà un solo posto di lavoro in più, ma si aggraverà la curva del sottoconsumo e della recessione, mettendo inoltre il sindacato di Stato con le spalle al muro di fronte a un allargarsi del conflitto sociale. Viene quindi avanti una più ...razionale proposta che dovrebbe riformare gli accordi del luglio '93 in questi termini: i contratti nazionali di categoria definiranno (al ribasso) il salario minimo valido per tutti, mentre una contrattazione aziendale alternativa creerà le desiderate differenziazioni fra aziende più o meno produttive e fra aree più o meno sviluppate. Rimane la disoccupazione. Ma anche qui "l'approccio più ragionevole" al problema - come si usa dire - sarà presto o tardi quello, sull'esempio americano, di mascherare i dati reali del fenomeno con una sempre più diffusa occupazione saltuaria, part-time, in affitto, eccetera.
Da tempo la Confindustria va sbandierando uno studio Ocse (basato su dati 1966) che calcola il costo del lavoro in Italia su base oraria (salario netto in busta più trattenute per contributi e imposte) al 4 posto mondiale dopo Belgio, Germania e Svizzera. Seguono Olanda e Usa; quindi Francia al 9 posto e Gran Bretagna all'11. Se una azienda italiana spende 100 per un posto di lavoro, il 51% va allo Stato e il 49% nella busta paga dell'operaio. In totale 32.064 dollari, circa 54 milioni di lire annue. In virtù della media statistica, ogni lavoratore riceverebbe una paga annuale al netto pari a lire 26 milioni 500 mila lire: in realtà il 15 per cento dei lavoratori vive con un salario medio dai 13 ai 15 milioni annui (dall'ultimo rapporto Cnel).
Poiché‚ sulla base di quei dati i rapporti fra Confindustria e Governo non erano dei migliori, lo stesso Prodi si è visto costretto a calmare l'ira funesta del presidente degli industriali. E lo ha fatto nel nome di quella competitività delle merci italiane alla quale Fossa si appella ogni giorno. È apparsa quindi ufficialmente una tabella "inedita" dell'Ocse in cui si legge ciò che da anni vanno ripetendo i quattro gatti di "battaglia comunista": "fatto 100 il costo del lavoro negli Stati Uniti, in Germania è 166, in Francia 163, in Giappone 169, mentre in Italia è 101; sotto di noi in Europa c'è solo la Spagna".
Improvvisamente, gli esperti delle varie bande si trovano d'accordo nel misurare il costo del lavoro per unità di prodotto, come avviene in tutte le statistiche di macro-economia e nel calcolo del livello dei cambi e delle spinte inflazionistiche. E a questo punto, le aperture di credito fra Confindustria e Governo si sono addirittura allargate: unitariamente, prendendo atto dei buoni risultati fin qui conseguiti, ci si prepara a intensificare gli attacchi a senso unico. Persino sulle 35 ore si allarga la convinzione che con la concertazione fra le parti si potranno alleviare le conseguenze nefaste annunciate in un primo momento. Anzi, trasformarle da negative in positive per gli interessi del capitalismo. Non certamente per quelli degli operai, come qualcuno ha demagogicamente promesso, seminando illusioni per raccogliere nuove frustrazioni.
Battaglia Comunista
Mensile del Partito Comunista Internazionalista, fondato nel 1945.
Battaglia Comunista #12
Dicembre 1998
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