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Home ›Punti fermi di teoria e di prassi rivoluzionaria
La natura e il compito del partito rivoluzionario è problema che riempie di sé uno spazio ampio e tormentato, lo stesso nel quale ha avuto inizio e sviluppo la lotta del proletariato come classe antagonista al capitalismo.
Non sempre però tale problema ha coinciso con gli interessi fondamentali del proletariato e non sempre ha portato un contributo positivo nella elaborazione della teoria rivoluzionaria.
Quello che ci proponiamo con questo nostro esame è di riunire in una panoramica obiettiva, anche se limitata, alcune posizioni teoriche che riteniamo più fortemente caratterizzanti nello schieramento di sinistra ora turbato dalla pletora di sedicenti “sinistri” incomprensibili per certa estemporaneità e superficialità, che a volte rasenta l'improntitudine, attingendo alle fonti originarie e servendoci, per obiettività, degli scritti più qualificati e responsabili.
Non è facile compito quello di mettere ordine nella congerie di posizioni diverse e a volte contraddittorie sulla funzione del partito e sul rapporto tra partito e classe data la disfunzione teorica che ha colpito la maggior parte dei raggruppamenti che si richiamano genericamente alla sinistra rivoluzionaria non escluso quello della “sinistra italiana”, considerato nel suo complesso, forse entrato in crisi l'assunto ideologo e politico, a cui abbiamo creduto e per il quale abbiamo lottato, del ruolo storico del partito rivoluzionario come è stato concepito e realizzato dal partito bolscevico nella stagione rivoluzionaria di Lenin e di Trotzky?
Certamente no, ma una considerazione va fatta ed è che nella coscienza di molti si è venuto determinando un senso di vaga insoddisfazione e una conseguente impressione di scadimento del ruolo del partito come organismo permanente della classe operaia e come coefficiente indispensabile e determinante dell'atto rivoluzionario. E questo per due ordini di ragioni, la prima per la chiusura della fase rivoluzionaria e il passaggio della Russia dei Soviet sul fronte della controrivoluzione realizzato senza un evidente e violento scontro di classe, ma per un occulto processo interno di osmosi economico-sociale non facile a capirsi; la seconda, per la banale identificazione dello stalinismo con il leninismo in quanto continuazione storica, in una fase diversa, del partito bolscevico.
Va alla “sinistra italiana” il riconoscimento di aver affrontato per prima e criticamente i problemi inerenti al partito e alle sue implicazioni, ne mettiamo in evidenza il fulcro centrale sempre valido e le devastazioni che ne sono derivate in parte motivate da imprecise enunciazioni e in parte al prevalere, a volte, di quel sottile veleno della polemica che inclina, per il gusto di distinzione intellettualistica, al paradosso.
Ne diamo alcuni precisi riferimenti, a mo' di dimostrazione, risalendo a ritroso i cinquanta e più anni di questa particolare storia del partito rivoluzionario nella quale la “sinistra italiana” ha proceduto quasi sempre come corrente di opposizione superando le enormi difficoltà che sempre accompagnano il cammino di una minoranza rivoluzionaria.
Il rapporto, inteso come nesso dialettico tra il partito e la classe, è espresso con semplice linearità senza cioè porre un accento particolare sul partito nei confronti della classe e neppure sulla classe in confronto al partito; il partito è visto come una parte del tutto (classe), certo la parte ideologicamente e politicamente più sensibile, più preparata, più pronta, in una parola la parte più avanzata della classe cui compete il compito di guida, di sprone della classe stessa. Parlando delle varie fasi che si situano nel processo storico, Bordiga (Lenin nel cammino della rivoluzione, 1924) si chiede: “Che cosa le separa? Tra lo Stato della borghesia e quello del proletariato non può che collocare il culminare di una lotta rivoluzionaria alla quale la classe operaia è guidata dal partito politico comunista, che vince nel rovesciare colla forza armata il potere borghese, col costituire il nuovo potere rivoluzionario”.
Sempre su questo argomento e nello stesso anno in “Il comunismo e la questione nazionale” scrive:
“Questo interesse generale è, in una parola, l'interesse della rivoluzione proletaria, ossia l'interesse del proletariato considerato come classe mondiale, dotata di una unità di compito storico e tendente ad un obiettivo rivoluzionario, al rovesciamento dell'ordine borghese...
La maniera di coordinare le soluzioni “singole” a questa finalità generale si concreta in postulati acquisiti al partito e che si presentano come i cardini del suo programma e dei suoi metodi tattici. Questi postulati non sono dogmi immutabili e rilevati, ma sono a loro volta la conclusione di un esame generale e sistematico della situazione di tutta la società del presente periodo storico nel quale sia tenuto esatto conto di tutti i dati di fatto che cadono sotto la nostra esperienza. Ma non neghiamo che questo esame sia in continuo sviluppo e che le conclusioni si elaborino sempre meglio, ma è certo che noi non potremo esistere come partito mondiale se la esperienza storica che già il proletariato possiede non permettesse alla nostra critica di costruire un programma di regole e di condotta politica. Non esisteremmo, senza di questa, né noi come partito, né il proletariato come classe storica in possesso di una coscienza dottrinale e di una organizzazione di lotta.”
In questi termini senza ombra di cerebralismi, anche se l'ipotesi è inverificabile, la “sinistra” resa più matura e avvertita attraverso il duro travaglio della costruzione del partito Comunista d'Italia e della sua direzione, esprimeva con Bordiga il rapporto, non formale, che deve intercorrere tra il partito di classe e la classe stessa.
A questo proposito riuniamo le varie elaborazioni miranti a definire la natura del partito e i suoi compiti di fronte alla classe che si sono susseguite dal “Manifesto dei Comunisti” (1848) al 1925 le quali, pur esprimendo situazioni storicamente diverse del conflitto di classe, tuttavia la loro formazione rimane fondamentalmente la stessa.
Dal “Manifesto dei comunisti”
“Gli operai cominciano a coalizzarsi contro i borghesi, si uniscono per tutelare le loro mercedi, fondano associazioni stabili per procurarsi da vivere durante i conflitti... Gli operai vincono di quando in quando, ma sono vittorie effimere. Il vero risultato della loro lotta non è l'immediato successo, bensì l'organizzazione sempre più estesa dei lavoratori... Operai delle diverse località si alleano e basta la sola unione perché le molte lotte locali, avendo quasi dappertutto lo stesso carattere, si accentrino in una lotta nazionale (intendi una lotta estesa su tutto il territorio dello Stato, da cui si passa poi al campo internazionale), in una lotta di classe. Ma ogni lotta di classe è lotta politica... e i proletari... effettuano in pochi anni la loro organizzazione. Questa organizzazione dei proletari in classe e quindi in partito politico, viene ad ogni istante incagliata dalla concorrenza che si fanno i lavoratori stessi, ma rinasce sempre più forte, più salda e potente... Vedemmo come intere parti della classe dominante sono respinte nel proletariato, o per lo meno minacciate nelle loro condizioni di esistenza... e forniscono molti elementi di educazione al proletariato. Finalmente, in tempi in cui la lotta di classe si avvicina a soluzione, il disgregamento prende, nella classe dominante, nella vecchia società, carattere così crudo e violento, che una piccola parte dei dominatori diserta e si unisce ai rivoluzionari di quella classe che ha con sé l'avvenire.”
Dalle “Tesi del Secondo Congresso”
Dalle tesi del Secondo Congresso dell'Internazionale comunista sui compiti del partito comunista nella rivoluzione proletaria:
“Il Partito Comunista si distingue da tutta quanta la classe operaia in quanto che, abbracciando con lo sguardo tutto il cammino storico della classe operaia nella sua totalità, mira a difendere, a tutte le svolte di questo cammino, non soltanto gli interessi di singoli gruppi o di singoli mestieri, ma gli interessi della classe operaia nella sua totalità.”
Dallo Statuto del Partito Comunista d'Italia
Votato ad unanimità nel Congresso costitutivo di Livorno
“L'organo indispensabile della lotta rivoluzionaria del proletariato è il partito politico di classe. Il Partito Comunista, riunendo in sé la parte più avanzata e cosciente del proletariato, unifica gli sforzi delle masse lavoratrici, volgendoli dalle lotte per gli interessi dei gruppi e per i risultati contingenti alla lotta per la emancipazione rivoluzionaria del proletariato.”
Dai “Punti di sinistra” del “Comitato d'Intesa” (1925)
Nulla di diverso da questi testi ben conosciuti e fondamentali dicono i “Punti di Sinistra”, pur nella prima loro redazione schematica, colle parole:
“Il Partito è l'organo che sintetizza ed unifica le spinte individuali e di gruppi provocato dalla lotta di classe. In quanto tale, il tipo di organizzazione di partito deve essere capace di porsi al disopra delle particolari categorie e perciò raccoglie in sintesi gli elementi che provengono dai proletari delle diverse categorie, dai contadini, dai disertori della classe borghese, ecc.”
Dalle Tesi di Roma (1922)
- “Il Partito Comunista, partito politico della classe operaia, si presenta nella sua azione come una collettività operante con indirizzo unitario. I moventi iniziali pei quali gli elementi e i gruppi di questa collettività sono condotti ad inquadrarsi in un organismo ad azione unitaria sono gli interessi immediati di gruppi della classe lavoratrice suscitati dalle loro condizioni economiche. Carattere essenziale della funzione del Partito Comunista è l'impiego delle energie così inquadrate per il conseguimento degli obbiettivi che, per essere comuni a tutta la classe lavoratrice e situati al termine di tutta la serie delle sue lotte, superano, attraverso la integrazione di essi, gli interessi dei singoli gruppi e i postulati immediati e contingenti che la classe lavoratrice si può porre”.
- “La integrazione di tutte le spinte elementari in una azione unitaria si manifesta attraverso due principali fattori; uno di coscienza critica, dal quale il Partito trae il suo programma, l'altro di volontà che esprime nello strumento con cui il Partito agisce, la sua disciplinata e centralizzata organizzazione. Questi due fattori di coscienza e di volontà sarebbe erroneo considerarli come facoltà che si possono ottenere o si debbono pretendere dai singoli poiché si realizzano solo per la integrazione delle attività di molti individui in un organismo collettivo unitario”.
In questo profilo storico la definizione del partito rivoluzionario ed il rapporto partito-classe è univoca anche se diversamente espressa nel breve scorcio di tempo degli anni '20, cioè da Livorno alla promulgazione delle “leggi eccezionali” che gettava il partito nella clandestinità. Sono i termini di una piattaforma che è stata alla base unitaria della “sinistra italiana” e nella quale noi della “sinistra” ci siamo sempre riconosciuti. Ed è su questa linea maestra teorico-politica che il nostro partito consolida i pilastri di dottrina e di coerenza politica della sinistra rivoluzionaria.
Se tale è la costante teorica che ha caratterizzato le tumultuose vicende di questa nostra corrente, bisogna rifarci ad un articolo, particolarmente significativo di Bordiga che se non veniva ad incrinare sostanzialmente tale costante teorica, tuttavia il modo della sua formulazione, preso in assoluto, poteva dare adito, come del resto l'ha dato, a delle interpretazioni devianti e per questo arbitrarie ed anguste. Ci riferiamo all'articolo “Partito e azione di classe” in cui è soltanto intravista quella tematica paradossale che ha accompagnato la personalità di Bordiga ed ha offerto una larga messe all'opera dei soliti epigoni con i quali lo stesso B. non è mai stato fortunato. Vi si afferma che:
“non possa parlarsi di una classe dotata di movimento storico, ove non esista il partito che di quel movimento si ponga all'avanguardia nell'azione...
Il partito è l'organo indispensabile di tutta l'azione della classe; ed anzi logicamente non si può parlare di vera azione di classe (che cioè sorpassi i limiti degli interessi di categoria o dei problemucci contingenti) ove non si sia in presenza di una azione di partito.”
È proprio questo modo di esprimersi alquanto impreciso e volutamente ermetico che lascia adito a più interpretazioni; si traccia in tal modo l'inizio di una strada che altri possono percorrere ad arbitrio nell'illusione di concludere il discorso non importa se tale conclusione è in contrasto con la stessa premessa come è avvenuto con la “dittatura del proletariato”, sbocco storico inevitabile, divenuto, con un frego di penna, “dittatura del partito”.
La cautela espressiva è comprensibile quando si pensa che si era negli anni subito dopo Livorno e il partito era diretto e amministrato dalla “sinistra” e Bordiga ne esprimeva al massimo il grado di influenza e di responsabilità.
Bisognerà attendere la redazione del corpo di tesi del '51, con un Bordiga slegato da ogni disciplina che la milizia rivoluzionaria impone, per vedere più accentuata la tendenza ad attenuare il nesso tra il partito e la classe, ponendo l'accento più sul ruolo del partito e meno su quello della classe.
“Il partito -- vi si afferma -- come avrà diretto da solo ed in modo autonomo la lotta della classe sfruttata per abbattere lo Stato capitalistico, così da solo ed in modo autonomo dirige lo Stato del proletariato rivoluzionario.”
Che cos'è questa se non chiara indicazione a negare validità alla dittatura del proletariato, in quanto dittatura di classe, che il partito esercita e a dare il via libera alla teorizzazione della “dittatura del partito”, che non può sostituire la classe nel suo compito di antagonista storico del capitalismo?
La classe è storicamente intesa non solo se ha chiara coscienza del fine rivoluzionario a cui è chiamata, ma lo è anche in tutta la fase precedente in cui, proprio in virtù dell'opera di critica e di convincimento del suo partito, acquista con lenta e faticosa gradualità tale coscienza che da corporativa e di semplice rivendicazionismo diviene unitaria e matura alla comprensione ideologica, politica e organizzativa del suo ruolo di classe rivoluzionaria.
Bisogna risalire al timido accenno fatto con una disputa sul centralismo organico come formulazione che Bordiga riteneva più consona alla interpretazione del centralismo democratico di Lenin e dei partiti della Terza Internazionale, per capire questo tendere a rapporti di autorità e al limite di gerarchie che finirebbero per riproporre il peggiore stalinismo.
Nella concezione leninista la dittatura del proletariato significava presenza e continuità di un contenuto di classe basato sui rapporti di democrazia nel quadro della più rigida centralizzazione propria della dittatura, da qui il rapporto dialettico tra democrazia e dittatura. Il deperimento dello Stato e della dittatura di classe aprirà la fase dell'esercizio della più larga e più completa democrazia proletaria in cui concretamente si esprime e si esalta una società socialista.
Tale tendenza alla totale socialità della classe che si articola nella fase transitoria nel grembo stesso della dittatura è quanto di avvenire, di vivo e di operante si genera dal processo di deperimento di ogni struttura di autorità, di coazione e di esercizio della forza e non trova posto in una dittatura di partito nella quale si spezza di fatto il rapporto dialettico nella misura in cui ogni decisione viene unilateralmente e unicamente dall'alto e la disciplina rivoluzionaria viene amministrata anche nella fase pre-rivoluzionaria, ad esempio, da Commissari Unici solo per viscerale amore dell'antidemocrazia. Esempio tipico il modo angusto e casermesco di considerare con criterio di ambizione il contributo di elaborazione teorica che mira ad approfondire la conoscenza critica di particolari fenomeni che si originano dalla esperienza del dominio imperialista come espressione del capitalismo in fase di avanzata putrefazione, che si avvalga degli strumenti di indagine propri del marxismo. Rileggiamo il paragrafo 7, Parte IV, dei “Punti Base” (1951) dovuti alla penna di Bordiga:
“Nessun movimento può trionfare nella storia senza la continuità teorica, che è l'esperienza delle lotte passate. Ne consegue che il partito vieta la libertà personale di elaborazione e di elucubrazione di nuovi schemi e spiegazioni del mondo sociale contemporaneo: vieta la libertà individuale di analisi, di critica e di prospettiva anche per il più preparato intellettuale degli aderenti e difende la saldezza di una teoria che non è effetto di cieca fede, ma è il contenuto della scienza di classe proletaria, costruito con materiale di secoli, non dal pensiero di uomini, ma dalla forza di fatti materiali, riflessi nella coscienza storica di una classe rivoluzionaria e cristallizzati nel partito.”
È evidente la discriminazione tra i pochi toccati dalla provvidenziale luce divina cui è dato di poter elaborare in sede teorica e i molti non favoriti dalla stessa provvidenza cui è negata la libertà di ripercorrere criticamente il corso degli avvenimenti guidati dalla bussola della metodologia marxista.
Bisognerà vedere da vicino gli effetti prodotti da una simile “forma mentis” che di marxismo ha solo la vernice esteriore ma sotto cui ristagna una incapacità a seguire nella sua dinamica complessità di flusso delle alterne e a volte contraddittorie vicende della classe operaia nella lenta formazione d'una coscienza di sé che spezzi i lacci che la lega agli interessi più immediati e contingenti della vita d'ogni giorno.
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