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Conseguenti al principio della tradizione storica del partito di classe, ci siamo posti i problemi inerenti alla sua esistenza persuasi che il porseli, questi problemi, non significa averli risolti, ma soltanto incominciare a risolverli.
Pregiudizialmente dunque il problema centrale che è stato ed è alla base delle nostre maggiori preoccupazioni è quello della esistenza del partito, il che può anche significare, come infatti praticamente significa, esistenza dei quadri del partito, e di renderlo adeguato ai compiti che gli provengono dal mutare delle situazioni quale che sia la sua consistenza numerica, la capacità attuale di penetrazione e il raggio della sua attività e nella direzione delle masse operaie e sul fronte della lotta anticapitalista.
Quel che conta è trovare costantemente la conferma della esattezza delle nostre idee e della nostra critica nello svolgersi degli avvenimenti, seguire da vicino la corrosione che la dialettica di classe opera sul corpo dei partiti di massa, che si richiamano comunque al socialismo per favorire tale corrosione con una spietata e tagliente critica marxistica, ma anche e soprattutto per annodare al partito, senza accorgimenti tattici e soluzioni amministrative, cioè senza venire a compromessi, tutti coloro che dimostrano di essere disposti a battersi contro il capitalismo e i partiti che lo sostengono partendo dal postulato della dottrina elaborata da Marx-Engels e da Lenin.
In questo senso noi non abbiamo la psicologia di chi ha paura di sporcarsi le mani; non temiamo, anzi cerchiamo noi stessi il dialogo con chi dice d'essere interessato, come elemento di classe, ai problemi del socialismo e della rivoluzione e vuol essere partecipe all'opera della faticosa ricostruzione del partito della classe operaia e non esprimiamo particolari ripugnanze e irosità verso quei compagni che, dopo aver condotto a termine una loro lunga, forse troppo lunga esperienza negativa, nello stalinismo, hanno finalmente rotto o intendono rompere col partito di Togliatti, se in essi è chiara la coscienza di far loro l'ideologia, la tattica e la disciplina del partito di Lenin.
Si vanno riaffacciando oggi, anche se in una situazione sotto certi aspetti diversa, gli stessi problemi di fondo, le stesse preoccupazioni verso uomini e correnti che si presentarono nella fase preparatoria del Convegno di Imola e del Congresso di Livorno da cui doveva uscire il Partito Comunista d'Italia.
Allora la frazione astensionista del partito socialista era indubbiamente, data la forte caratterizzazione impressa alla sua piattaforma teorica e la efficiente ramificazione dei suoi gruppi su scala nazionale, l'organizzazione più viva e operante in opposizione alla linea politica della Direzione del partito e poteva già considerarsi, in embrione, un partito nel partito. Tuttavia Bordiga, nel momento più acuto della crisi del primo dopoguerra e quando più forte si era fatta la suggestione della esperienza del primo stato proletario uscito dalla Rivoluzione d'ottobre, se da un lato aveva sentito piùd'ogni altro la necessità della presenza d'un partito concretamente rivoluzionario, dall'altro aveva chiara la coscienza dei limiti della possibilità di affermazione della frazione astensionistica come partito della classe operaia. Anche se si fosse avuta la scissione al congresso di Bologna (1919), la frazione astensionista come tale non avrebbe obiettivamente potuto dar corpo ad un partito adeguato alla situazione e ai compiti della rivoluzione incombente. Se alla frazione astensionista fosse stata attribuita questa possibilità di affermazione, il non aver scissionato a Bologna, sarebbe stato errore di tali proporzioni da compromettere per sempre e l'impostazione teorica della frazione e la sua organizzazione e il nome del suo maggiore animatore.
Ecco perché Imola è stato praticamente il convegno del compromesso, una anticipazione pratica del “blocco storico” gramsciano in funzione delle forze di sinistra nel partito socialista, un centro, insomma, di convergenze di correnti di formazione diversa e tra loro in contrasto in molti problemi anche d'importanza fondamentale. Questa convergenza di forze, per la verità, non ebbe come centro la frazione astensionista anche se questa rappresentava il nucleo di maggior rilievo, ma il pensiero di Lenin e il fascino della Rivoluzione d'ottobre e le esigenze organizzative dell'Internazionale Comunista.
Del resto tutto ciò avveniva non in contrasto col pensiero della frazione astensionista, ma in perfetta armonia coi suoi stessi deliberati; si ricordi in proposito la mozione conclusiva della Conferenza Nazionale della frazione tenutasi a Firenze (8-9 maggio 1920), accapo 3, che dava mandato al C.C. “di convocare immediatamente, dopo il congresso internazionale, il congresso costituente del Partito Comunista, invitando ad aderirvi tutti i gruppi che sono sul terreno del programma comunista dentro e fuori del Partito Socialista Italiano”. Soltanto che Imola e Livorno daranno poco dopo a tale direttiva tattica una traduzione teorico-organizzativa assai peggiorata.
Ecco i gruppi e le correnti che aderiranno in condizioni di parità al Congresso di Imola e formeranno l'ossatura del partito di Livorno.
- La frazione astensionista di cui abbiamo fatto cenno più sopra e che merita una trattazione a parte per quel che ha rappresentato di positivo in questa fase di preparazione del partito e per quel che ha rappresentato di negativo per il suo eclettismo tanto nella formulazione come nell'applicazione sul piano della politica attiva delle sue tesi sull'astensionismo. Nella fase pre-Livorno, non dissimile sotto questo rapporto dalla fase attuale, il problema essenziale era quello della formazione del partito rivoluzionario e non quello dell'astensionismo, e non era storicamente possibile costituire tale partito su una base programmatica in cui l'ideologia astensionista avesse una parte preminente.
- Il gruppo dell'“Ordine Nuovo”. Per la natura della sua composizione sociale e soprattutto intellettuale questo gruppo appariva come una anticipazione della tendenza, che poi si farà strada, che attribuisce agli intellettuali il ruolo primordiale o in connessione a quello giocato dagli operai tanto nell'ambito della fabbrica come nel più vasto quadro dell'azione rivoluzionaria.
Influenzato dal neoidealismo allora prevalente nel mondo della cultura borghese, il gruppo tendeva al marxismo, ma ad un marxismo filtrato nel setaccio dell'idealismo in contrasto con gli schemi tradizionali del socialismo e della stessa sinistra socialista.
Infatti mentre la frazione di sinistra pensava che la rivoluzione è subordinata alla esistenza del partito e mira alla conquista dei suoi organi dirigenti per imprimere loro una volontà e una direzione rivoluzionaria seguendo in ciò la linea tradizionale del partito di classe, gli ordinovisti credevano meno a questo ruolo fondamentale del partito e spostavano la loro attenzione verso la fabbrica capitalista che consideravano
“come forma necessaria della classe operaia, come organismo politico, come "territorio nazionale" dell'antagonismo operaio.”
Per questi compagni, a differenza del partito e del sindacato, il Consiglio
“si sviluppa non aritmeticamente ma morfologicamente, e tende, nelle sue forme superiori, a dare il rilievo proletario dell'apparecchio di produzione e di scambio creato dal capitalismo ai fini del profitto.”
“L'urgere di questa nuova fioritura di poteri (l'organizzazione dei consigli) che sale irresistibilmente dalle grandi masse lavoratrici, determinerà l'urto violento delle due classi e l'affermarsi della dittatura proletaria. Se non si gettano le basi del processo rivoluzionario nell'intimità della vita proletaria, la rivoluzione rimarrà uno sterile appello alla volontà...”
Il contrasto tra le due correnti si precisa perciò nell'idea centrale: partito e Consigli; il partito trova il suo ambiente storico nella struttura territoriale e negli organismi politico-amministrativi dati dallo sviluppo del capitalismo, mentre i Consigli incarnano lo slancio vitale, il ritmo di progresso della società comunista; nel partito si condensa la forma più alta della coscienza del proletariato, la sua dottrina e la teoria della sua rivoluzione di classe, mentre nei Consigli la solidarietà operaia
“è incarnata anche nel più trascurabile dei momenti della produzione industriale...; è un tutto organico, un sistema omogeneo e compatto che afferma la sua sovranità, attua il suo potere e la sua libertà di storia.”
Si può quindi concludere che queste due correnti, le maggiori che formarono il Partito Comunista, potevano avere in comune la visione dello sbocco finale dell'azione rivoluzionaria ma erano quanto mai lontane nei motivi originari, nei metodi e nel modo stesso di sentire il marxismo, facendo gli uni professione di ortodossia e di integralismo, inclinando gli altri verso concezioni sindacaliste rivoluzionarie alla De Leon a cui si riallacciano oggi le tendenze operaiste.
La cerchia della confusione teorica e tattica dei gruppi che confluirono al convegno di Imola si allargherebbe ulteriormente se prendessimo in esame correnti minori e adesioni individuali, dalla mozione-passerella di Graziadei-Marabini, al massimalismo elettoralistico dei molti deputati presenti o di aspiranti tali e alla adesione di giovani combattenti rivoluzionari saldamente ancorati al marxismo tuttavia non inquadrabili in nessuna particolare scuola o tendenza.
Bisognerà ritornare all'esperienza di Imola nel riporre il problema della ricostruzione del partito là dove l'opportunismo parlamentare, la corruzione del carrierismo e il prevalere di interessi di classe avversa ne hanno spento il vigore della lotta, ne hanno offuscato gli obiettivi dopo averne corrotto il patrimonio ideale. Partendo da questa conoscenza critica si capirà il perché dei limiti, delle insufficienze e delle contraddizioni che accompagnarono la formazione del Partito Comunista d'Italia.
Potranno essere evitati tali aspetti negativi nelle nuove esperienze?
Noi rimaniamo del parere che più che agli accorgimenti organizzativi, e alle disposizioni statutarie, oltre che al dissolvimento dei gruppi, in quanto gruppi, si debba porre l'accento sul dissolvimento delle loro ideologie per quel tanto che hanno in sé di estraneo al marxismo per trovare l'unità non solo negli aspetti del tutto formali dell'organizzazione (scioglimento dei gruppi, adesioni individuali, candidatura ecc.), ma su l'adesione incondizionata e integrale ad una piattaforma teorico-pratica da cui scaturisca quella disciplina consapevole che cementa le forze, ne attenua progressivamente i contrasti e garantisce la continuità della lotta rivoluzionaria. E siamo stati fin qui conseguenti a questa impostazione critica maturata in noi anche e soprattutto dall'esperienza vissuta nella fase di formazione del partito di Livorno.
Amadeo Bordiga - Validità e limiti d'una esperienza
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