Onorio ad Alfa - 23 luglio 1951

Rispondo e a tono, come da tuo desiderio.

Prima constatazione, cui sono costretto, è il tono alquanto... asprigno del tuo scritto, che il contenuto e forse il modo delle mie osservazioni hanno involontariamente provocato. Nello scriverti sono partito dalla preoccupazione di tener conto del come i gruppi internazionali, cui l'indirizzo è rivolto, avrebbero reagito al nostro modo di porre, se non di risolvere, almeno di definire nei limiti delle possibilità subiettive e obiettive, i problemi del riannodamento internazionale dei gruppi rivoluzionari.

D'accordo col senso “politico” - sei contento così? - che ti ha guidato nel dar valore delimitativo, e in un certo senso negativo all'indirizzo, più adatto così a non respingere coloro che si vorrebbe accostare e possibilmente allacciare. Ma non sono d'accordo col tuo metodo di discussione, anche se cortese, che ha bisogno di crearsi a volte argomenti ora fittizi ed ora del tutto arbitrari, che esponi alla tua maniera e alla tua maniera combatti dando l'impressione che il tuo contraddittore porti la paternità effettiva o latente della loro formulazione. Segui pure il filo delle tue argomentazioni, ma tieni anche conto qualche volta, e obiettivamente, di quelle in realtà espresse da chi con te discute.

Seguo l'ordine della tua del 9 luglio. America Concentramento N. 1 ? Giusta la formulazione a patto però che sia intesa nel senso che il capitalismo internazionale, considerato nella sua realtà unitaria anche se diversamente graduata per effetto del suo sviluppo ineguale, ha nell'America

“il suo più grande concentramento metropolitano di capitale, di forza di produzione e di potere.”

Ma a che cosa si perviene allorché traduciamo tale formulazione sul piano della tattica e della strategia politica?

Si perviene alla tua constatazione che

“l'America oltre tutto e oltre la probabilità di vincere in ulteriori conflitti (chi potrebbe impedirlo, dico io, e a che varrebbe?!) può sicuramente intervenire ovunque una rivoluzione anticapitalistica vincesse.”

Difatti oggi avverrebbe così. E con ciò? Si dovrebbe forse per questa considerazione proclamare l'inutilità della rivoluzione in questo o in quel paese fino al giorno in cui il proletariato non fosse in grado di far fuori lo Stato di Washington?

Non scherziamo, anche se quanto scrivi va inteso storicamente.

Ripiglio il mio accenno su quest'argomento.

“La rivoluzione proletaria colpisce l'antagonista di classe quando e come può, là ove questi è più debole.”

È proprio necessario che io aggiunga per te che la rivoluzione, anche se scoppiasse a Roccacannuccia, è sempre un momento della rivoluzione internazionale, e ti senta perciò autorizzato a parafrasare proprio per me ciò che può aver detto Stalin?

Ciò che comunque interessa è la messa a punto della questione teorica.

Ecco come la porrei io. Secondo la dottrina uno scardinamento rivoluzionario si dovrebbe logicamente avere in quel dato concentramento di potere ecc. ecc. dello schieramento capitalistico mondiale in cui più intensa è stata l'accumulazione delle contraddizioni economiche e degli antagonismi sociali della dominazione del capitale, senza la presunzione però che questa abbia “raggiunto economicamente gli ultimi limiti obiettivi del suo sviluppo”.

A questo punto, invece di porre, come fai tu, il problema, a mio avviso unilaterale e statico, dell'intervento strangolatorio della polizia dell'O.N.U. (e non perché anche quello della polizia del Cominform non meno interessata allo strangolamento?), si dovrebbe porre l'altro storicamente più vivo che fa leva sulla capacità e potenza esplosiva e di irradiazione d'una prima realizzazione rivoluzionaria in un mondo obiettivamente maturo per il socialismo. t il solo modo per la rivoluzione socialista di porre in concreto il problema “di far fuori” anche lo Stato di Washington; in questo senso e solo in questo senso la “rivoluzione non perde tempo”. Ma lo perderebbe sicuramente, e con esso perderebbe tutte le occasioni che la crisi del capitalismo potrà offrire al proletariato, non importa in qual punto del suo schieramento, se la rivoluzione battesse il passo nell'attesa messianica e, peggio, subordinasse il compimento della sua missione su scala internazionale alla conquista del potere negli Stati Uniti.

In base all'esperienza dell'Ottobre bolscevico sappiamo che la spinta dinamica verso l'allargamento del fronte di lotta, insito ad ogni radicale vittorioso rovesciamento dei rapporti di forza, in parte effettivo, in parte potenziale, non consente di essere premisurata scientificamente. È una specie di riserva “atomica” che ogni rivoluzione porta in sé. La frattura psicologica si allarga? La rivoluzione straripa, travolge gli ostacoli con obbiettivo il mondo. Nel caso opposto la rivoluzione si batte per morire in piedi o si “rincartoccia” in sé, come tu dici, e sparisce. Ma la strada è questa e soltanto questa.

E veniamo all'analisi e definizione della odierna società russa. Avrai notato che su quest'argomento mi sono limitato a formulare e indirettamente quesiti e obiezioni. Scrivi:

“Non è esatto che in una fase del capitalismo sia stata protagonista la borghesia classe, e che nell'attuale sia protagonista lo Stato.”

Tale inesattezza l'hai forse pescata nel mio scritto, e formulata in modo così maldestro? Non sarebbe stato più corretto e assai più utile ai fini della chiarezza che tu ti fossi obbligato a considerare anche criticamente l'importanza delle obiezioni che ho sentito di doverti fare? Ti riporto quanto ho scritto sull'argomento “economia e Stato”:

“La tendenza a un sempre maggior intervento dello Stato, caratteristica di questa fase della economia nei paesi industrialmente più progrediti, trova nella economia sovietica la sua manifestazione più organica ecc. ecc.”

Più oltre:

“Sulla generale linea di sviluppo del capitalismo monopolistico la Russia ha potuto bruciare più d'una tappa grazie alla Rivoluzione d'ottobre che ha consentito l'accentramento più assoluto della economia nell'ambito dello Stato e grazie alla controrivoluzione stalinista che si è servita di questo enorme potenziale economico così accentrato per ingigantire il potere dello Stato e dare l'avvio alla esperienza estrema del capitalismo. Il protagonista di questa fase della storia è dunque lo Stato la cui economia (l'economia cioè dello Stato sovietico) riproduce i modi e i caratteri, su scala forse allargata, propri della produzione e della distribuzione capitalistica (salario, mercato, plusvalore, accumulazione ecc.).”

Perdonami la lunghezza della citazione ma mi premeva documentarti che nessuno ha confuso e tanto meno capovolto i termini “economia e Stato” e del tutto inutile il tuo richiamo allo Stato non protagonista dei fatti economici.

Meglio sarebbe stato invece confutarmi.

Estremamente indeterminata la formula di fase monopolistica e capitalismo di Stato? Ma non è mia ed è prima d'ogni altro di Lenin il quale affermava che il capitalismo di Stato, compatibile col sistema della dittatura del proletariato, aveva come compito di fare da intermediario tra il potere sovietico e la campagna e stabilire la loro alleanza. È sempre Lenin che considerava il capitalismo di Stato come forma dominante della economia sovietica.

Questo nel 1921; nel 1925 diamo la parola a Sokolnikov, voce non sospetta per conoscenza e sincerità:

“il nostro commercio estero è condotto come una intrapresa di capitalismo di Stato; le nostre società di commercio interno sono ugualmente intraprese di capitalismo di Stato e la Banca di Stato è allo stesso modo una intrapresa di Stato. Egualmente il nostro sistema monetario è tutto impregnato dei princìpi dell'economia capitalistica.”

E dal 1925 in poi? In “Vers le capitalisme ou vers le socialisme?” Trotskij scrive testualmente:

“Di fronte all'economia mondiale capitalistica lo Stato sovietico si comporta come un proprietario privato gigantesco.”

Inoltre l'industria dello Stato riunita in un solo trust viene poi efficacemente definita “il trust dei trusts”. Si trattava di sapere allora, l'opuscolo citato risale al 1925, se “con lo sviluppo delle forze di produzione le tendenze capitalistiche sarebbero aumentate a scapito della tendenza socialista”. La storia ulteriore ha provato la prevalenza decisiva della tendenza basata sulla economia mercantile, che è appunto dire capitalista.

Se a questo punto la rivoluzione si rincartoccia, ciò non vuol dire che l'economia trustificata nell'ambito dello Stato, e con la quale lo Stato fa corpo, debba decentrarsi e ritornare cioè al capitalismo individuale e al suo regime di concorrenza. Gli strumenti creati dalla evoluzione tecnologica della economia nazionalizzata e che dovevano operare per una più rapida realizzazione del socialismo, sono serviti, di fatto, per operare la spinta in avanti del capitalismo.

Che cosa intendo dire con lo Stato che fa corpo con l'economia trustificata? Intendo riferirmi alla tendenza dell'imperialismo a formare lo Stato che Lenin chiama dei rentiers, lo Stato degli usurai la cui borghesia vive esportando capitali e tagliando coupons. Tale fenomeno, visibilissimo nella economia americana per il noto predominio del capitale finanziario, è comune alla stessa economia russa anche se operante nei limiti d'una più ristretta zona d'influenza.

“Il mondo si divide in un piccolo gruppo di Stati usurai e una immensa massa di Stati debitori.”

Stato gestore? Stato imprenditore? Stato soggetto della economia? Non si tratta di questo, ma di considerare certi fenomeni propri di questa fase della economia quali il ruolo del capitale finanziario, una delle leve di comando manovrate prevalentemente dallo Stato, la politica della sua esportazione come strumento di dominio mondiale, la organizzazione a carattere di permanenza di una parte dell'economia nella fase di economia di guerra col mantenimento di due eserciti permanenti, quello dei funzionari e l'altro dei militari, tutti fenomeni che vanno a confluire nello Stato, la sola organizzazione unitaria e potentemente accentrata, che possa e sappia risolvere le contraddizioni economiche e i contrasti sociali, in tal modo acuiti, sul piano della forza, della violenza e della guerra. Ce n'è abbastanza, mi pare, per vedere nello Stato imperialista qualcosa di più della sua funzione di Comitato di delega degli interessi capitalistici.

E, come per ogni fenomeno del capitalismo, anche per questo la linea della interpretazione marxista va dalla economia allo Stato e non inversamente.

Che poi il capitalismo resti in piedi e permangano gli apparati di Stato storicamente più continui e persistenti, è constatazione questa aperta all'esame critico dei marxisti. Sotto chi ha filo abbastanza per tessere...

E siamo così alla classe dirigente in Russia. Io mi chiedevo e continuo a chiedermi: quale è la nuova classe in Russia che attraverso lo Stato esercita la propria dittatura? Per mio conto mi limitavo alla constatazione reale e storicamente inconfutabile che

“la strapotenza dello Stato sovietico non può non aver risolto in concreto il problema d'una sua classe dirigente omogenea e forte per la coscienza che ha del proprio essere di classe e della funzione storica che è chiamata a compiere.”

Quanto tu vai sostenendo sul ruolo della burocrazia non può che trovarmi consenziente; ma la tua formula di “ibrida coalizione e fluida associazione ecc.” esclude allo Stato attuale la esistenza d'una classe storicamente definita e si intona perfettamente con l'altra tua formula d'una economia che tende al capitalismo.

Se tende al capitalismo, vuol dire che in Russia c'è una economia che non è ancora capitalismo, per cui la classe dirigente che la esprime tende essa stessa a divenire capitalista, e non è ancora capitalista.

Che l'economia contadina tenda per gran parte al capitalismo, d'accordo; ma che tenda al capitalismo l'economia trustificata nello Stato, assolutamente no. Su questa realtà economica caratteristicamente capitalistica si articola inevitabilmente la classe dirigente che le è propria.

È qui, mi pare, la chiave di volta per la interpretazione di tutto il tuo pensiero sul problema russo, da qui la minore urgenza, per te, della rivoluzione socialista in questo paese in confronto agli Stati Uniti. Giunti a questo punto non credo che i termini della nostra conversazione manchino di chiarezza, anche se siamo andati oltre la preoccupazione dell'indirizzo internazionale.