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Home ›Dopo il 1952 - La problematica del partito e gli epigoni
Dalla dialettica al sofisma
Poiché ci si costringe a precisare come in realtà stavano le cose nei riguardi della accettazione o meno di certe teorie, diremo che il pensiero di Alfa ha sempre interessato il C.E. come espressione di un mondo assai lontano e i suoi membri erano tutti d'accordo nell'affermare che Alfa era rimasto al 1921 e che ogni suo apprezzamento politico esprimeva costantemente una posizione ideologica e tattica intermedista, situantesi cioè tra il nostro partito e lo stalinismo. Che oggi tale opinione si sia improvvisamente cambiata in qualcuno cui ben si addice la nota definizione di “segretario permanente delle opinioni trionfanti”, è cosa che non ci riguarda.
Ma passiamo all'essenziale, alla precisazione cioè dei reali dissensi che hanno portato alla frattura la nostra organizzazione, frattura che non si è potuta evitare per il persistente atteggiamento cocciuto, formalista e settario proprio di Alfa a cui conveniva rompere il partito in due tronconi ciò che l'avrebbe liberato dall'incubo di dover marciare presto o tardi al passo dei soliti scarponi.
Primo dissenso: il modo di concepire la dialettica e il rovesciamento della prassi.
Secondo dissenso: il modo di concepire la dittatura del proletariato attraverso il surrogato politico della dittatura di partito.
Terzo dissenso: l'atteggiamento del Partito di classe di fronte alla Russia; ma su questi dissensi, compresi quelli sulla necessità del partito e sui rapporti tra partito e massa, il secondo Congresso del Partito ha detto la sua parola definitiva.
E veniamo alle ultime scoperte o sistemazione scientifica di scoperte già in precedenza timidamente affacciate, quella sull'indifferentismo che per potenza “ballistica” supera quella dell'energia nucleare, e l'altra di un Marx e di un Lenin “tifanti” nelle guerre del loro tempo per questo e quel belligerante borghese.
Premettiamo che ogni compagno può aver l'opinione e la simpatia che vuole, ma senza la pretesa di farne una teoria e sopratutto di imporla al Partito.
Quale deve essere oggi l'atteggiamento dei rivoluzionari e della organizzazione nella quale militano di fronte alla guerra imperialista in genere e ai suoi protagonisti in particolare?
Se ci si muove, come ci dobbiamo muovere, sulla linea del disfattismo rivoluzionario ai fini pratici della lotta del proletariato, non ha alcuna importanza, o ne ha una del tutto astratta e intellettualistica, buona semmai per i metafisici e non per i rivoluzionari, sapere se e quale dei protagonisti del terzo conflitto mondiale porterà nel suo seno la carica storica del “progressivo” o del “regressivo” e se ai fini del destino del proletariato sia augurabile la vittoria dell'uno o dell'altro dei ladroni imperialisti.
Che cosa poi voglia significare auspici di questo genere senza un apporto diretto delle forze interessate alla realizzazione di ciò che si auspica, noi non sappiamo. È comodo semmai a chi, come Alfa, riduce la dialettica ad un giuoco, non davvero fascinoso di idee astrali ed esaurisce il suo compito di capo nel ripetere per tutta la durata della seconda guerra mondiale l'augurio per la vittoria dei regimi nazi-fascisti, mentre noi osiamo chiedere ai compagni se per caso non avessimo fatto male a seguire il destino (quello dei fessi direbbe Alfa) di difendere in altra sede, con altri mezzi e con altre idee la tradizione rivoluzionaria della Sinistra italiana.
E torniamo a precisare queste idee.
Chiusa l'epoca delle guerre nazionali condotte con l'apporto delle forze rivoluzionarie, le guerre odierne avvengono tra le contrastanti forze dell'imperialismo e sono in ultima analisi dirette contro la classe operaia di tutti i paesi.
Oggi non si pone più il problema strategico che tanto appassionò Marx ed Engels (1848-1849) conseguentemente all'incombente pressione dell'impero zarista e alla spinta verso le lotte per le indipendenze nazionali ; Marx ed Engels opponevano allora e giustamente i popoli del tutto reazionari che servivano da “avamposti russi” in Europa ai “popoli rivoluzionari” tedeschi, polacchi e magiari.
Nelle guerre imperialiste per i rivoluzionari non esiste il compito di far voti per la vittoria di chi porta sulla punta della bionetta ragioni di progresso borghese, ma l'imperativo di inserire la loro lotta e gli obiettivi della rivoluzione di classe nelle vicende della stessa guerra borghese. E per dire pane al pane, la stessa guerra condotta dalla Russia sovietica, anche nell'ipotesi di una guerra difensiva, e tenendo conto del grado del suo sviluppo economico-sociale non si sottrae a questa ferrea legge che presiede a tutta l'organizzazione del mondo borghese.
A questo proposito ci si consenta di ricordare quanto scrivevamo fin dal luglio 1946 (Prometeo N. 1 anno I):
“Le forze del capitalismo, entrate nel girone infernale della guerra per risolvere i problemi posti da questo o quell'imperialismo, non sono in nessun caso per dei marxisti suscettibili di essere suddivise in forze contrapposte in quanto progressive le une e reazionarie le altre. E come nessuna formulazione di simpatia e di auspicio si ebbe ieri da parte nostra per la vittoria delle forze dell'Asse sol perché esse, più di quelle anglosassoni, erano considerate dalla nostra analisi critica più rispondenti nel piano della organizzazione economica e politica al corso attuale del capitalismo, così nessuna formulazione di simpatia e di auspicio si avrà domani per la vittoria, ad esempio, delle forze sovietiche in lotta contro quelle anglosassoni solo perché il regime sovietico, il regime cioè del più avanzato e caratterizzato capitalismo di stato, rappresenta storicamente una fase più progressiva di questa economia evolvente verso le forme più vaste e radicali della produzione collettiva, più vicine perciò e più pregne di socialismo. L'evoluzione capitalistica procede per virtù delle proprie interne contraddizioni e non per le simpatie e i voti che gli possono venire dagli avversari di classe. Quando la guerra imperialista scuote nel profondo il sistema di produzione capitalistico e le stesse leggi che lo regolano, compito essenziale e immediato del partito rivoluzionario è quello di operare conseguentemente all'analisi marxista della natura di tutte le guerre dell'imperialismo, che trovano la loro necessaria giustificazione storica ad un dato punto dello sviluppo economico del capitalismo e degli antagonismi di classe e non in questo o in quel motivo esteriore a cui suol legarsi la fortuna degli opportunisti. Tenendo presente che il proletariato, benché appaia temporaneamente sotto il peso di peggiorati rapporti di forza, è pur sempre artefice non secondario della storia, sta al partito di illuminarlo, trarlo progressivamente dall'influenza delle ideologie della guerra, rianimarlo, ricondurlo sul piano della comprensione e della lotta di classe e convogliarne quanto è più possibile le forze per trar profitto da una eventuale situazione favorevole che gli consenta di porre concretamente il problema della trasformazione della guerra imperialista in guerra sociale.”
Questa messa a punto teorica fu allora originata proprio dai primi accenni revisionisti di Alfa sul problema della natura della guerra. Mentre in noi ciò che valeva centralmente era la soluzione proletaria della crisi determinata dalla guerra, Alfa affidava alla nazione pervenuta più di recente al capitalismo il compito di smantellare la cittadella della conservazione rappresentata dalla nazione a vecchia e consolidata economia capitalistica. Come se la potenza del giovane capitalismo vittorioso così centuplicata non desse poi l'avvio ad un nuovo ciclo di sfruttamento del proletariato e non allontanasse ogni possibilità di ogni rivoluzione socialista.
Rifacciamoci ai classici.
“L'altra guerra (1870-71) aveva accelerato lo sviluppo nella direzione della democrazia, del progresso borghese: caduta di Napoleone III, unificazione della Germania. Questa guerra (1914-16) non può accelerare uno sviluppo che nel senso della rivoluzione socialista.” (Lenin, Contre le Courant)
“Nel 1793 e nel 1848 in Francia come in Germania e come in tutta Europa, la rivoluzione borghese-democratica era obiettivamente all'ordine del giorno... Alle guerre feudali e dinastiche s'opponevano allora, obiettivamente le guerre rivoluzionarie-democratiche, le guerre nazionali-emancipatrici. Tale era il contenuto dei problemi storici dell'epoca. Al presente, per i grandi stati avanzati dell'Europa, la situazione obiettiva è un'altra. Il progresso, se si trascura certi rinculi provvisori, non è realizzabile che andando verso la società socialista, verso la rivoluzione socialista. Alla guerra imperialista borghese, non può opporsi, obiettivamente dal punto di vista del progresso, dal punto di vista della classe avanzata che una guerra contro la borghesia, la guerra per il potere, senza la quale non si può avere un serio movimento in avanti.” (Contre le Courant)
“La guerra tra l'Inghilterra e la Russia (si alludeva qui al pericolo allora incombente - 1885) a proposito dell'Afganistan può avvicinare la fine del regime borghese. Ma a chi nel caso presente, augurare vittoria? A chi augurare la disfatta? All'Inghilterra o alla Russia? Guesde risponde: io auguro la disfatta a tutti e due. E Guesde conclude: quale che sia quello dei due regimi, ugualmente oppressori benché di specie diversa, che cade sotto i colpi dell'avversario... sarà la breccia attraverso la quale passerà il nuovo regime sociale.”
Quale che sia quello dei giganti imperialisti allo stesso modo infame che cadrà nella guerra di rapina 1914-16 una breccia sarà aperta attraverso la quale passerà la rivoluzione proletaria; ecco come deve ragionare un socialista del nostro tempo.
“Nella guerra imperialista del 1914-16 (noi aggiungiamo di tutte le guerre imperialiste presenti e future) non si può essere internazionalista conseguente senza essere “disfattista”.” (Lenin e Zinoviev, Contre le Courant)
E il disfattismo non consente in sede politica di “tifare” per nessuno, né per il nazi-fascismo ieri, né per la Russia di Stalin, oggi, neppure dietro l'espediente teorico di considerare la Russia sovietica come il paese che il proletariato internazionale dovrebbe aiutare con la sua lotta a vincere la... feudalità.
Marx, Engels e persino Lenin hanno “tifato” ed era giusto che lo facessero di fronte alle guerre nazionali del loro tempo, ma è per lo meno sconcio cercare di rimpicciolirli e di ridicolizzarli nel tentativo di adattarli alla propria statura nella veste di chi, alla vigilia del terzo massacro mondiale, non si pone altro compito che quello di vivisezionare il ventre dei belligeranti per sapere chi di essi nasconde la molla dell'ulteriore progresso del capitalismo.
Finiti i dissensi? Se lo fossero nessuno e nulla avrebbe potuto impedire la loro soluzione sul piano del partito.
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