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Home ›Non si costruisce il partito giocando al paradosso
Due parole di chiarimento sulla piattaforma teorico-politica redatta da alcuni compagni francesi che si sono raccolti attorno alla iniziativa di “Parti De Classe” (1).
Sulla linea della continuità storica della “sinistra italiana”, la costituzione in Italia del Partito Comunista Internazionalista, rappresentava la conclusione logica e conseguente della frazione che nella fase terminale della II guerra mondiale non poteva ricostruirsi come tale per i compiti nuovi e più complessi ch'essa era chiamata a risolvere.
Il diagramma della continuità esprime la frazione come il momento di passaggio dalla esperienza partitica della “sinistra italiana”: il partito di Imola e di Livorno con il suo ultimo atto di riconferma storica che passa attraverso il “Comitato d'Intesa” e la sua ricostruzione (1943) come Partito Comunista Internazionalista che costituisce tuttora la sola premessa teorico-organizzativa per ogni possibilità obiettiva di ricostruzione del partito rivoluzionario del proletariato internazionale.
La costruzione del partito nei suoi quadri tradizionali è stata possibile nella fase storica del crollo del fascismo avvenuto nel quadro di un più vasto crollo, quello di un settore economico-politico e militare della II Guerra Mondiale nel quale l'Italia fascista era inserita come uno dei pilastri più importanti, la stessa operazione non sarebbe stata possibile nella fase della frazione se non per effetto di uno scivolamento idealistico e spontaneista non esistendo, neppure in minima parte, le condizioni obiettive e subiettive necessarie per dar vita alla sua trasformazione in partito. Storicamente la “sinistra italiana” non era né poteva essere o impersonare una ipotetica “sinistra belga” o “franco-belga”.
Non bisogna arrampicarsi sugli specchi di un discorso costruito “more geometrico” e di logica formale per intraprendere un esame degli accadimenti che hanno portato alla formazione del P.C. Internazionalista. Avviene che partendo da un presupposto teorico errato, o almeno non conforme alla metodologia marxista si perviene non ad una critica costruttiva che, in quanto tale, è sempre feconda, ma al suo contrario ad un piano inclinato della degenerazione.
Puntualizziamo i termini reali del problema.
La “sinistra italiana”, pur negli alti e bassi della sua esperienza, non ha mai teorizzato che il partito sorge ed opera solo nella fase rivoluzionaria e si dissolve e si riduce a compiti di frazione nella fase controrivoluzionaria; forse che il Partito Comunista d'Italia non è sorto a Livorno sotto la spinta ideologica e politica della “sinistra italiana” nella fase montante della controrivoluzione?
Tipica a questo riguardo è la esperienza vissuta dai comunisti italiani nel periodo fascista con il passaggio alla clandestinità del partito nella quale fu risolto non solo il problema della continuità e del contatto con le masse, ma quello soprattutto della formazione di nuovi quadri che avrebbero, sì, rafforzato l'organizzazione stalinista ma proporzionalmente avrebbero servito ad allargare la zona d'influenza della “sinistra italiana”. (Si tenga presente a questo proposito che l'espulsione dal partito di Damen, Fortichiari e Repossi avvenuto nel 1933 fu motivato dal fatto che questi compagni operavano alla ricostruzione della frazione di sinistra).
Ma l'argomento più specioso, che risulta da un attento esame del documento, è quello del rapporto tra partito e classe. Quando si postula “La ricostruzione del proletariato in classe, cioè in partito politico classista” si è nel pieno dell'interpretazione marxista se si vuole affermare che non vi è classe rivoluzionaria se manca il partito rivoluzionario uscito dal seno della classe stessa; ma il postulato si ridurrebbe a barzelletta se si affermasse l'inutilità del partito se la classe è temporaneamente prigioniera dell'opportunismo e delle forze della controrivoluzione.
Questo tipo di identità tra partito e classe è al di fuori di ogni rapporto dialettico, è concepito meccanicisticamente ed ha la serietà e la consistenza d'una esercitazione intellettualistica.
La classe, nel suo complesso, nel suo operare quotidiano e nella lunga storia delle sue lotte non è mai andata oltre il limite corporativo, oltre lo stimolo rivendicativo; la coscienza tradunionista della classe operaia non è mai divenuta coscienza del fine storico in quanto classe rivoluzionaria; battaglie, rivolte, insurrezioni che punteggiano la lunga strada del movimento operaio non si sono mai trasformate, per virtù propria, in altrettanti momenti dell'assalto rivoluzionario di tutto il proletariato contro tutto il capitalismo.
Da qui la funzione storica, permanente, del partito rivoluzionario di classe, a cui è demandato il compito della elaborazione della teoria, di preparazione dei quadri, di laboratorio scientifico della classe, di sprone e di guida per il raggiungimento degli obiettivi storici che vedranno la costituzione del proletariato in classe dominante.
Assegnare questo compito di autosufficienza alla classe in una fase prerivoluzionaria, come legare la costruzione del partito alla fase dell'assalto al potere in cui la presa di coscienza delle masse è ancora e soprattutto istintiva, anche se la sua violenza spezza le strutture dell'avversario di classe, significa pensare in termini di metafisica e non secondo una metodologia rivoluzionaria marxista che all'assalto ha sostituito il concreto, all'ideologismo il dato scientifico desunto dalla realtà economico-sociale.
E veniamo agli appunti critici sulla formazione del Part. Com. Internazionalista formulati dai compagni di “Parti De Classe” che tuttavia si richiamano a questa nostra esperienza (che vorrebbero però debitamente corretta) come momento da cui trarre indicazioni e prospettive in vista della costruzione nel loro paese del Partito Comunista Internazionalista.
Scrivono:
Al di fuori e contro l'erroneo e volontarista tentativo trotskista di costruzione di una nuova Internazionale “sorta dalla più grave disfatta”, la Sinistra mostrò che il dovere dei rivoluzionari non era di tentare dei compiti pratici d'ampiezza (rispondenti ad epoche rivoluzionarie) ma di mantenere il filo d'una continuità non tanto organizzativa (nel senso più stretto del termine) quanto teorica.
Ma l'attivismo, attitudine allora suriettivamente falsa in una situazione obiettivamente sfavorevole, si immaginò che il corso della situazione potesse essere infranto non da fattori economici obiettivi (la fine del periodo di ricostruzione capitalista) ma da una attività febbrile il cui carattere di esempio ecciterebbe all'avvio di un nuovo processo rivoluzionario. È in questa intenzione (ad onta di qualche reticenza) che fu proclamato in piena orgia democratica (intervento degli Stati Uniti, Comitato Italiano di Liberazione Nazionale anti-fascista) e completa inesistenza del proletariato come classe rivoluzionaria, nel 1943, il Partito Comunista Internazionalista d'Italia, artificio organizzativo di cui si può dire che la pratica fu sempre inversamente proporzionale allo sforzo teorico.
All'inizio si ebbe questa illusione che il partito rivoluzionario non poteva non essere al rendez-vous dell'immediato dopo-guerra nella considerazione che lo schema “guerra-rivoluzione” da cui era uscita la vittoriosa Rivoluzione dell'ottobre 1917 non mancherebbe, una volta ancora, di riprodursi nelle sue linee essenziali per l'Italia fascita militarmente battuta, economicamente rovinata. Lo schema dato per scontato in vista del quale fu proclamata l'organizzazione - perché non poteva trattarsi di costruirla progressivamente: essa doveva essere immediatamente presente e disponibile - non solo non si riprodusse ma si ebbe esattamente l'inverso.
Il “partito” del 1943, sorse non dalla profonda contraddizione del capitale, ma dagli increspamenti di superficie della sua riaccumulazione del periodo di ricostruzione, vide progressivamente diminuire il numero dei suoi militanti, perdendo così, dal 1948, ogni giustificazione marxista alla sua esistenza immediata.
Il nostro attivismo?
Si tratta d'un discorso, come è facile vedere, estremamente contradditorio, in cui è evidente che l'adesione e la conseguente estremizzazione formale ad alcune posizioni tipiche della “sinistra italiana”, possono sembrare di comodo e servire di copertura ad un sottaciuto sottofondo critico al leninismo che di fatto è stato e continuerà ad essere anche il leninismo della “sinistra italiana” che negli anni più fecondi e conseguenti della sua attività, è stato totale.
Del resto anche la vexata (non troppo per la verità) quaestio dell'elezionismo e del parlamentarismo rivoluzionario era stata prudentemente messa a bagnomaria ridotta, cioè, a momento tattico e sarà poi compito di alcuni epigoni, acquisiti posteriormente dalla sinistra, a rimettere la questione sul primo piano, quello della immutabilità teorica dell'astensionismo. Ma anche queste posizioni hanno, nel caso specifico, vita breve e non è una stranezza che la vantata “invarianza” si riduca in definitiva in un coacervo di variazioni più o meno funamboliche che ridicolizzano quanto di più serio è nel patrimonio della “sinistra italiana”.
Per noi la Rivoluzione d'Ottobre è un dato di fatto inoppugnabile che presuppone un partito bolscevico che è quanto dire il partito di Lenin come precedente storico e modello ideale a cui riferirci; tutto il resto offertoci dalla posteriore cultura revisionista e obiettivamente antileninista, nasce dalla psicologia della sconfitta della rivoluzione ed è prevalentemente un sottoprodotto sentimentale di avversione allo stalinismo.
Abbiamo detto modello ideale il partito di Lenin, il solo valido nella storia del proletariato rivoluzionario, i cui connotati sono:
- permanenza e continuità del partito senza la cui opera di propedeutica rivoluzionaria e di stimolo, il proletariato non potrà liberarsi dalle remore e dai limiti che una coscienza tradunionista e tendenzialmente corporativa porta per sua natura con sé;
- è necessario ripercorrere criticamente le posizioni assunte dalla “sinistra italiana” già nel cuore della prima guerra mondiale per rintracciare il filo rosso della sua continuità le cui tappe maggiormente significative sono quelle del Congresso di Bologna (1920), del Congresso di Livorno (1921), alla gestione del P.C. d'Italia fino alla defenestrazione della direzione di sinistra (1923), del Comitato d'Intesa alla vigilia del Congresso di Lione (1925-1926).
La frazione che aveva raccolto i quadri tradizionali e più efficienti della sinistra che avevano già costituito la spina dorsale del P.C. d'Italia e che si erano poi raggruppati attorno al “Comitato d'Intesa” per difendere come corrente di maggioranza la sua linea politica alla direzione del partito e per sostenere in vista del Congresso di Lione, la sua piattaforma di opposizione al nuovo corso imposto dall'Internazionale, era già il partito in potenza.
Nel 1943 nella fase convulsa e conclusiva della seconda guerra mondiale con in prospettiva il crollo di un settore essenziale del fronte della guerra e con esso lo sfacelo economico e politico già in atto del fascismo e l'inevitabile deterioramento della struttura dello Stato, compito elementare ed immediato dei comunisti era quello di lavorarci dentro e creare gli strumenti più idonei a questo compito per determinare situazioni favorevoli ad una soluzione rivoluzionaria della crisi. Lenin aveva operato in questo senso con esito favorevole ma avrebbe operato allo stesso modo anche se l'esito fosse stato non conforme alle aspettative immediate del partito. Nessuno di coloro che allora hanno creduto nella necessità della organizzazione del partito si era prefissa la ripetizione meccanica dello schema di un succedersi di accadimenti simili a quelli vissuti da Lenin prima dell'Ottobre bolscevico.
Le posizioni espresse dal compagno Perrone al convegno di Torino (1946), ribadite poi dallo stesso, al I Congresso di Firenze (1948), erano libere manifestazioni di una esperienza del tutto personale e con prospettive fantapolitiche a cui non è lecito riferirsi per dare crisma di validità ad una formulazione di critica alla formazione del P.C. Internazionalista. Come è del tutto arbitraria e lontana da ogni seria indagine marxista attribuire il posteriore calo quantitativo del partito a cause obiettive e ad errori di prospettiva e non si ha il coraggio di affondare la propria analisi nel processo di disgregazione interna operata a difesa di interessi personali di chi non era disposto ad una milizia attiva e dissentiva sull'analisi della natura dell'economia sovietica e sul ruolo del P.C. Internazionalista.
Questo è il clima nel quale abbiamo inserito l'iniziativa della costruzione del partito di classe e il riferimento a Lenin e al partito bolscevico costituiva e costituisce tuttora il solo riferimento storicamente possibile e valido; una valutazione diversa sarebbe stata impossibile per la ripugnanza comune a tutti noi di non legare la nostra opera ad una ipotesi posta al di fuori di ogni esigenza della lotta operaia perdentesi nelle nuvole di qualche paradosso teorico come quello, ad esempio, che considera il partito e la sua legittimazione storica di esistenza meccanicamente legata alla contemporanea ricostruzione del proletariato in classe. Da qui il tentativo del tutto idealistico di identificare partito e classe come quando si pone tra gli obiettivi “la ricostruzione del proletariato in classe, cioè in partito politico classista...”. Sofisma intellettualistico che brilla per la sua geometricità, ma del tutto campato in aria se riferito alla vicenda della lotta operaia e al ruolo storico e permanente del partito saldato alle alterne vicende di queste lotte. Sotto questo profilo non è meno falsa la distinzione bordighista tra “partito storico” e "partito formale” perché non si è mai dato il caso di un partito portatore di un corpo di tesi e di dottrina, di un programma e di una capacità di elaborazione della teoria rivoluzionaria che viva nella stratosfera e non attinga giorno per giorno, nel cuore della lotta operaia, i motivi di tale elaborazione teorica e la conferma costante della sua validità.
Il problema fondamentale e il più difficile da risolversi per una minoranza rivoluzionaria è quello della sua presenza e di operare su una piattaforma politica per tutto un arco storico, quello del capitalismo quali che siano le condizioni obiettive, non escluse quelle della guerra e della controrivoluzione ancora in atto, per aiutare la classe operaia a elevarsi da una coscienza degli interessi immediati e contingenti ad una coscienza del proprio essere di classe storica, antagonista al capitalismo.
Il problema della continuità del partito non è una invenzione nostra ma è posizione caratteristica della “sinistra italiana”. A prescindere da quanto Bordiga ha notoriamente scritto su questo argomento, riteniamo utile riportare un passo significativo di una dichiarazione redatta dalla “Commissione Esecutiva della frazione di sinistra del P.C.I., agosto 1933”:
Il fascismo, vittorioso in Germania, ha significato che gli avvenimenti prendevano il cammino opposto a quello della rivoluzione mondiale per prendere la strada che può condurre alla guerra.
da “Verso l'Internazionale due e tre quarti?...”, Bilan, anno I, n. 1
Il partito non cessa di esistere anche dopo la morte della Internazionale. Il partito non muore, tradisce. Il partito ricollegandosi direttamente al processo della lotta di classe, è chiamato a continuare la sua azione anche quando l'Internazionale è morta. Così, in caso di guerra, quando l'Internazionale scomparisse dalla scena politica, il partito esiste e chiama il proletariato a prendere le armi, non per la trasformazione della guerra imperialista in guerra civile ma per continuare la sua lotta nel corso stesso della guerra...
E questo problema, noi della “sinistra italiana” che portiamo la responsabilità d'aver dato vita al P.C. Internazionalista, se non riteniamo d'averlo risolto, abbiamo tuttavia la coscienza di andarlo risolvendo con perseveranza e tenacia attraverso contatti permanenti di fabbrica, con l'attenzione data ai problemi quotidiani dei lavoratori per la loro traduzione in termini di classe, con la diffusione della stampa di partito che alimenta costantemente e su scala nazionale i quadri di militanti e i gruppi di fabbrica che si vanno via via costruendo.
Ma non siamo immalinconiti dalla preoccupazione di sapere con precisione matematica dove finisce il compito della frazione e come e quando comincia quello del partito.
Noi tutto ciò lo abbiamo vissuto, ne siamo stati i protagonisti e siamo paghi d'averlo fatto nel momento che ritenevamo fosse giusto farlo.
Nel caso specifico il Partito Comunista Internazionalista ha le sue carte in regola: ha al suo attivo la definizione della natura capitalista dell'economia russa; la denuncia aperta fatta nel cuore della II guerra mondiale del ruolo imperialista della Russia schieratasi tra gli stati belligeranti con la sua partecipazione alla suddivisione del mondo in zone di influenza economica e politica; l'attacco frontale condotto contro lo stalinismo in quanto momento della controrivoluzione mondiale; la lotta contro la guerra e contro il moto partigiano della guerra nazionale antifascista considerandolo, come è stato nella realtà, un coefficiente positivo della strategia dell'imperialismo americano e non una insurrezione armata di popolo contro il capitalismo e la sua guerra imperialista. Sempre al suo attivo è la lotta aperta e senza ripiegamenti tattici, contro la direzione togliattiana del P.C.I., edizione italiana dello stalinismo imperante sul terreno dello schieramento operaio uscito dalla guerra fascista e già sulla china d'essere trascinato in una nuova turlupinatura, quella della guerra nazionale antifascista, preludio all'agganciamento del proletariato alla politica della ricostruzione economica per una ripresa del processo di accumulazione praticamente spezzato dall'esito disastroso della guerra.
La borghesia italiana deve soprattutto (per non dire unicamente) alla politica di Togliatti e quindi del suo partito, se la liquidazione del fascismo si è limitata ad alcuni aspetti del tutto esteriori e se la vera essenza del fascismo nei suoi gangli essenziali e nelle sue strutture portanti siano passate sane e salve nelle mani degli uomini e dei partiti della nuova gestione democristiana e comunista, i due maggiori pilastri della resistenza e quindi i due maggiori profittatori della partitocrazia democratico-repubblicana.
Il nostro partito, forte dei migliori quadri forgiati al fuoco del conflitto ideologico e politico di Imola e di Livorno o ereditati dalla frazione; forte dell'adesione di considerevoli gruppi partigiani che avevano capito la vera natura del partigianesimo a cui tutto poteva essere chiesto meno una condotta della lotta armata in senso anticapitalistico prima che fascista; forte soprattutto della adesione di giovani leve impegnate contro la guerra imperialista e contro lo stalinismo mistificatore, ha imposto alla direzione togliattiana il ricorso ad una politica provocatoria e di ricatto per spezzare e far tacere la sola voce che parlasse allora il linguaggio di classe e ponesse davanti alle masse la sola prospettiva possibile per il proletariato, quella della rivoluzione socialista.
Va vista e intesa in questo quadro la partecipazione del partito alla battaglia elettorale del 1948: non mire elettoralistiche e neppure applicazione pedissequa delle tesi sul parlamentarismo rivoluzionario del secondo Congresso della Internazionale. Al fondo delle decisioni “partecipazioniste” era un solo obiettivo: inserimento del partito nel dispositivo elezionistico per consentire all'organizzazione di combattere una grande battaglia politica di chiarificazione; non richiesta di voti ma la possibilità di mostrare alle masse operaie nel modo più ampio possibile il vero volto del partito rivoluzionario che la stampa e la propaganda del partito di Togliatti cercava di insozzare con accuse e insinuazioni che si è sempre ben guardato di provare. L'occasione era quanto mai propizia per affrontare la belva nella sua stessa tana. In realtà mai al partito si era offerta, né prima né dopo, la possibilità di attaccare frontalmente e a viso aperto la malabestia stalinista nelle fabbriche, nei maggiori complessi industriali e sulle piazze con la conseguenza di vedere ogni volta rotto il fronte dello schieramento stalinista e lo schierarsi con gli internazionalisti degli elementi più politicizzati e più inclini ad una indipendenza critica.
Questa tattica può sembrare avventurista solo a chi guarda al partito con gli occhi fissi alla frazione.
A questo proposito ecco come si esprimevano i compagni della “Sinistra Comunista Internazionale”:
La partecipazione o meno alle elezioni è condizionata e soggetta al postulato che l'una o l'altra tattica non si giustifica che nella misura in cui, in una situazione data, essa favorisce l'aumento della tensione politica contro il capitalismo.
Da Schema di progetto di dichiarazione di principio per l'ufficio internazionale della Sinistra Comunista Internazionale, 1946
Dal punto di vista tattico, per la prima volta il partito era uscito all'aperto e aveva ingaggiato una battaglia di classe contro il più saldo e più pericoloso fortilizio del sistema democratico parlamentare del capitalismo.
Tra la tattica che tende ad uscire all'aperto e la tattica opposta di tirare i remi in barca; tra lo sviluppo del partito e la riduzione del partito a frazione si trova il nocciolo della rottura del partito in due tronconi, che, guarda caso, saranno poi di fatto due partiti.
E quel che è grave in questo riesame degli avvenimenti è la constatazione che la scissione avveniva in un momento della storia del movimento operaio in cui le condizioni erano favorevoli per un ampliamento e consolidamento del partito rivoluzionario. Lo dimostrerà poi il fatto della continuità e della crescente influenza avuta ulteriormente dai due partiti, la sola forza politica nell'esperienza italiana che impersoni una tradizione, un metodo, una piattaforma di sinistra rivoluzionaria di classe cui spetta ora il compito di ritessere pazientemente la trama interrotta dell'unità internazionalista. Del resto i problemi, le dispute di ordine teorico, organizzativo e di tattica che avevano diviso le due formazioni internazionaliste, quali le rivoluzioni nazionali, la natura della economia russa, la natura e il ruolo del sindacato nella fase dell'imperialismo, sono ormai alle spalle nel senso che un ventennio di esperienze ha risospinto i dissenzienti del 1952 alle posizioni originarie della “sinistra italiana”.
Sindacato e insegnamento leninista
E siamo alla questione sindacale, il punctum dolens, delle minoranze della sinistra rivoluzionaria francese. Il gruppo francese di “Parti de Classe” cui dedichiamo questa nota, parte su questo argomento da una premessa critica relativa alla tattica entrista che presuppone un diverso e opposto modo di vedere sulla natura del sindacato nella fase dell'imperialismo che riteniamo giusta e coincidente con la posizione sempre sostenuta dal nostro partito, ma conclude con delle indicazioni di tattica sindacale che ci lasciano sorpresi e fortemente perplessi.
Anche in questo gruppo è viva la tendenza a sottrarsi all'insegnamento leninista del come lavorare da parte dei comunisti nei sindacati integrati al sistema.
Ma allontanarsi dalla linea tracciata dall'opera di Lenin è in ogni caso una caduta verticale nel vuoto.
Ed è per lo meno sorprendente che un movimento che si richiama alla metodologia marxista e alla lineare tradizione della “sinistra italiana” affronti il problema sindacale in termini di sicurezza pari al semplicismo della sua formulazione.
Tatticamente, scrivono questi compagni, il partito rivoluzionario, in luogo di voler estendere in pura perdita la sua influenza nei sindacati integrati al sistema capitalista, dovrebbe, al contrario, esercitarla nelle organizzazioni economiche non ufficiali create più o meno spontaneamente dai lavoratori - ed anche suscitarle - e trasformare queste in veicolo delle sue parole d'ordine. Diversamente esso introdurrebbe questa confusione tra gli operai, consistente a lasciar loro credere che i sindacati ufficiali sono organizzazioni che gli appartengono o suscettibili di appartenergli, a condizione che una direzione rossa se ne impossessi. La mobilitazione delle forze proletarie non si farà più nei sindacati ufficiali, ma al di fuori di essi e contro di essi.
L'argomento polemico che questi compagni conducono contro la deformazione della politica sindacale così come è stata intesa e applicata dai compagni di “programma comunista” su cui siamo d'accordo, non ci riguarda perché non riconosciamo a questo raggruppamento, in contrasto con quanto credono i compagni di “Parti de Classe”, nessun ruolo di interprete esclusivo e di continuità della “sinistra italiana”, a meno che non si voglia considerare personificazione di questa corrente il compagno Bordiga quale lo abbiamo conosciuto noi prima e dopo Livorno, prima e dopo la II Guerra Mondiale. In questo caso i compagni di “Parti de Classe” sono invitati a indirizzare la loro indagine critica alla linea politica seguita da quel troncone, il nostro, della sinistra i cui componenti sono stati gli iniziatori e gli animatori della costituzione del “Comitato d'Intesa” (1925) che aveva per obiettivo la rimessa in moto della corrente con una piattaforma di difesa e di attacco contro l'opportunismo; gli stessi che si fecero continuatori e animatori della frazione contro il suo scioglimento voluto dal compagno Perrone allo scoppio della seconda guerra mondiale; gli stessi che nel 1933 vennero espulsi e denunciati alla polizia fascista dai dirigenti del P.C.I. sotto l'accusa della riorganizzazione della “sinistra”, gli stessi che daranno vita e sviluppo al Partito Comunista Internazionalista; gli stessi infine che per la difesa non formale della piattaforma della sinistra e della sua continuità hanno capito di dover rompere anche con chi aveva dato alla “sinistra” fino al 1926 il meglio della sua attività di teorico e di militante.
Per tornare all'argomento “sindacale” la confutazione migliore sta nel ricostruire per sommi capi ciò che il partito ha fatto e intende fare in coerenza alla nota posizione della sinistra:
- Nella fase dell'imperialismo e della economia programmata per il fatto stesso che ogni programmazione sarebbe impossibile senza il consenso attivo dei sindacati, questi sono divenuti di fatto, alla pari con lo Stato e con gli imprenditori privati, gli artefici garanti del successo del piano.
- Il sindacato giunto così al vertice del potere economico-politico dello Stato di cui si sente parte integrante e necessaria, farà la sola politica che gli è possibile, quella di saldare, subordinandola, la spinta rivendicativa delle masse operaie che inquadra alle esigenze del piano e della realizzazione del maggiore profitto. A questa sola condizione offerta da un sindacato distorto dal suo compito storico, la politica di piano sarà resa possibile e con essa il consolidamento e la salvezza del sistema.
- Ma una politica di vertice del sindacato è possibile se questo possiede con fermezza la disponibilità delle masse sindacate a soggiacere alla sua politica di potere, strategia questa che delimita ed attenua la minaccia di intervento delle masse, con la spada di Da-mode dello sciopero articolato reso sempre possibile dalla gamma sempre più vasta e pressante delle rivendicazioni sia economiche che politiche. Su questa realtà in movimento il sindacato, quale che sia il suo colore politico, trova alimento alla sua esistenza e funzionalità in tutto l'arco storico del capitalismo.
- Se il sindacato è integrato al sistema attraverso il suo apparato, non lo è o lo è soltanto indirettamente la massa degli operai che vi è inquadrata che tuttavia non ha mai cessato di lottare contro il capitalismo che la sfrutta anche se tuttora è incapace di andare oltre il limite tradunionista e corporativo della rivendicazione. È fondamentalmente il quadro di sempre tale e quale lo ha conosciuto Marx, tale e quale lo ha conosciuto Lenin, tale e quale lo conosciamo noi, e conseguentemente il sindacato della III Internazionale non ha detto una parola nuova in confronto al sindacato socialdemocratico della II Internazionale e in confronto al sindacato odierno che delizia la nostra vita sociale e politica.
- Spontaneamente e autonomamente le masse operaie non perverranno alla conoscenza del loro essere di classe antagonista e alla coscienza del fine storico implicito nella lotta che esse conducono contro il capitalismo, ma sono queste stesse masse di lavoratori che creano con il loro operare le condizioni obiettive di questa conoscenza e di questa coscienza che il partito della classe assomma in sé e rielabora ai fini di una propedeutica rivoluzionaria da far rivivere nel complesso della classe.
- A questo fine la “sinistra italiana” con l'organizzazione e la permanenza dei “gruppi di fabbrica” tende a creare, anche se in mezzo ad enormi difficoltà, centri di formazione e di irradiazione ideologica e politica che divengono di fatto altrettanti veicoli per parole d'ordine di critica sindacale che rendono risolvibile il problema del contatto con le zone operaie socialmente e politicamente più sensibili a recepire la propaganda del partito, condizione prima e insostituibile d'una politica di reclutamento di sempre nuovi quadri operai sul piano della milizia attiva e della lotta rivoluzionaria.
- Nuovo sindacato da crearsi al di fuori e contro il sindacato ufficiale? Oppure adesione a nuovi organismi sorti spontaneamente per iniziativa operaia? A prescindere dalla facile constatazione che nuovi sindacati non troverebbero spazio adeguato per enuclearsi in una organizzazione di base autosufficiente ed anche se ciò fosse possibile il nuovo sindacato si modellerebbe su quello ufficiale con tutti i vizi e i pochi pregi che sono propri del sindacato tradizionale.
Vorremmo chiedere ai compagni di “Parti de Classe” di indicare un solo esempio di sindacato non ufficiale su scala internazionale che faccia eccezione alla nostra analisi e possa essere preso a modello dalle organizzazioni rivoluzionarie al di fuori delle esperienze offerteci dalla storia del movimento operaio della Seconda e Terza Internazionale.
Se poi vogliamo riferirci agli organismi sindacali nati più o meno spontaneamente e di cui dovremmo servirci per diffondere la politica sindacale del partito, va detto senza timore di smentita che tali organismi formatisi sull'onda delle agitazioni sindacali dell'autunno caldo del 1968 ad opera di gruppi extraparlamentari e studenteschi in Italia, in Francia e altrove, sono lentamente rifluiti e sono in ogni caso destinati a rifluire nell'alveo della conservazione del sistema provocando sulle scarse minoranze che hanno risposto al loro richiamo del tutto velleitario, una più cocente e amara disillusione e il motivo ad un nuovo sbandamento verso i partiti contro cui avevano condotto la loro battaglia sedicente rivoluzionaria.
Circa la presenza o meno dei comunisti internazionalisti nei sindacati, trascriviamo quanto è affermato dallo stesso “Schema di progetto di dichiarazione di principio per l'ufficio internazionale della Sinistra Comunista Internazionale” (1946):
a) In una situazione storica che non permette di porre il problema della presa del potere, l'organizzazione di massa non può essere basata che sull'azione rivendicativa: il sindacato. Quando la situazione diviene rivoluzionaria, e si pone il problema della presa del potere, è allora che possono apparire i consigli di operai di fabbrica (Soviet) il cui scopo non è di rivendicare dei miglioramenti nella società capitalista ma di esigere la presa del potere nelle fabbriche.
È evidente che se delle rotture storiche non determineranno avvenimenti rivoluzionari, il processo di collegamento dei sindacati attuali allo Stato continuerà. Fino a tanto che tale processo non è terminato, non portato cioè a compimento, la nostra posizione è di restare nei sindacati. Se questi verranno statizzati si porrà la questione di dar vita a nuove organizzazioni di massa.
Il problema di fondo che comunque scaturisce da questo nostro dibattito è uno, uno soltanto: rompere le paratie di un presupposto teorico viziato da una serie di sofismi tra loro legati da una logica formale che ignora l'impegno reale e storico della lotta operaia e rattrappisce, immiserendolo, il ruolo di classe del partito rivoluzionario del proletariato.
È sofisma l'affermazione della inesistenza della classe nel quadro della situazione attuale anche se è, nelle condizioni di classe, temporaneamente sconfitta; è sofisma la conseguenza che se ne vuol dedurre che vuole, mancando la classe, manchi anche il partito politico legato geneticamente alla classe; è sofisma infine l'altra identificazione della dittatura del proletariato con la dittatura del partito trasferendo nel dopo rivoluzione l'identità partito-classe della fase precedente la rivoluzione.
Conclusione? Con un proletariato che non è ancora classe, con una organizzazione politica che non è partito, con un sindacato ufficiale nel quale gli operai sono considerati come perduti alla lotta di classe e ad ogni tentativo di influenzamento ideologico-politico da parte della minoranza rivoluzionaria, il quadro che ne risulta e le prospettive che su di esso possono essere formulate indurrebbero alla considerazione malinconica di autoeliminazione dalla scena politica se il marxismo non indicasse come permanentemente presenti nel movimento operaio queste certezze, anche se relative, ma pur sempre certezze.
Il proletariato è classe, la sola storicamente antagonista al capitalismo in tutto l'arco storico della sua esistenza che perviene alla coscienza del suo essere di classe rivoluzionaria nella fase dell'attacco al potere capitalista, e condizionato com'è ad un processo di formazione e di sviluppo attraverso il travagliato e ininterrotto corso della insopprimibile lotta di classe.
Processo di formazione e di sviluppo reso possibile alla classe dalla presenza operante del partito che dalla classe si articola e in essa riunisce in poderosa sintesi le ragioni ideali della sua crescita di forza rivoluzionaria.
(1) I compagni, riuniti in Francia attorno alla rivista “Parti de Classe”, inizialmente uscirono con un gruppo di compagni francesi dal P.C.I. che diedero vita alla rivista “Invariance” di cui ci occupiamo in questo libro (pag. 180) e solo in un secondo tempo ruppero anche con “Invariance” per formare gruppo a sé.
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- Philosophy and religion
- Repression and control
- Science and technics
- Social unrest
- Terrorist outrages
- Transports
- Unemployment and precarity
- Workers' conditions and struggles
Storia
- 01. Prehistory
- 02. Ancient History
- 03. Middle Ages
- 04. Modern History
- 1800: Industrial Revolution
- 1900s
- 1910s
- 1911-12: Turko-Italian War for Libya
- 1912: Intransigent Revolutionary Fraction of the PSI
- 1912: Republic of China
- 1913: Fordism (assembly line)
- 1914-18: World War I
- 1917: Russian Revolution
- 1918: Abstentionist Communist Fraction of the PSI
- 1918: German Revolution
- 1919-20: Biennio Rosso in Italy
- 1919-43: Third International
- 1919: Hungarian Revolution
- 1930s
- 1931: Japan occupies Manchuria
- 1933-43: New Deal
- 1933-45: Nazism
- 1934: Long March of Chinese communists
- 1934: Miners' uprising in Asturias
- 1934: Workers' uprising in "Red Vienna"
- 1935-36: Italian Army Invades Ethiopia
- 1936-38: Great Purge
- 1936-39: Spanish Civil War
- 1937: International Bureau of Fractions of the Communist Left
- 1938: Fourth International
- 1940s
- 1960s
- 1980s
- 1979-89: Soviet war in Afghanistan
- 1980-88: Iran-Iraq War
- 1982: First Lebanon War
- 1982: Sabra and Chatila
- 1986: Chernobyl disaster
- 1987-93: First Intifada
- 1989: Fall of the Berlin Wall
- 1979-90: Thatcher Government
- 1980: Strikes in Poland
- 1982: Falklands War
- 1983: Foundation of IBRP
- 1984-85: UK Miners' Strike
- 1987: Perestroika
- 1989: Tiananmen Square Protests
- 1990s
- 1991: Breakup of Yugoslavia
- 1991: Dissolution of Soviet Union
- 1991: First Gulf War
- 1992-95: UN intervention in Somalia
- 1994-96: First Chechen War
- 1994: Genocide in Rwanda
- 1999-2000: Second Chechen War
- 1999: Introduction of euro
- 1999: Kosovo War
- 1999: WTO conference in Seattle
- 1995: NATO Bombing in Bosnia
- 2000s
- 2000: Second intifada
- 2001: September 11 attacks
- 2001: Piqueteros Movement in Argentina
- 2001: War in Afghanistan
- 2001: G8 Summit in Genoa
- 2003: Second Gulf War
- 2004: Asian Tsunami
- 2004: Madrid train bombings
- 2005: Banlieue riots in France
- 2005: Hurricane Katrina
- 2005: London bombings
- 2006: Anti-CPE movement in France
- 2006: Comuna de Oaxaca
- 2006: Second Lebanon War
- 2007: Subprime Crisis
- 2008: Onda movement in Italy
- 2008: War in Georgia
- 2008: Riots in Greece
- 2008: Pomigliano Struggle
- 2008: Global Crisis
- 2008: Automotive Crisis
- 2009: Post-election crisis in Iran
- 2009: Israel-Gaza conflict
- 2020s
- 1920s
- 1921-28: New Economic Policy
- 1921: Communist Party of Italy
- 1921: Kronstadt Rebellion
- 1922-45: Fascism
- 1922-52: Stalin is General Secretary of PCUS
- 1925-27: Canton and Shanghai revolt
- 1925: Comitato d'Intesa
- 1926: General strike in Britain
- 1926: Lyons Congress of PCd’I
- 1927: Vienna revolt
- 1928: First five-year plan
- 1928: Left Fraction of the PCd'I
- 1929: Great Depression
- 1950s
- 1970s
- 1969-80: Anni di piombo in Italy
- 1971: End of the Bretton Woods System
- 1971: Microprocessor
- 1973: Pinochet's military junta in Chile
- 1975: Toyotism (just-in-time)
- 1977-81: International Conferences Convoked by PCInt
- 1977: '77 movement
- 1978: Economic Reforms in China
- 1978: Islamic Revolution in Iran
- 1978: South Lebanon conflict
- 2010s
- 2010: Greek debt crisis
- 2011: War in Libya
- 2011: Indignados and Occupy movements
- 2011: Sovereign debt crisis
- 2011: Tsunami and Nuclear Disaster in Japan
- 2011: Uprising in Maghreb
- 2014: Euromaidan
- 2016: Brexit Referendum
- 2017: Catalan Referendum
- 2019: Maquiladoras Struggle
- 2010: Student Protests in UK and Italy
- 2011: War in Syria
- 2013: Black Lives Matter Movement
- 2014: Military Intervention Against ISIS
- 2015: Refugee Crisis
- 2018: Haft Tappeh Struggle
- 2018: Climate Movement
Persone
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